Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10037 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 10037 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: NAPOLETANO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 3217-2012 proposto da:
CICCHESE ENRICO GIUSEPPE C.F. CCCNCG51A01B784I, in
proprio ed in qualita’ già di Direttore Generale del
Comune di Colonnella, elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20, presso lo studio
dell’avvocato MICHELE MIRENGHI, che lo rappresenta e
2015
648

difende unitamente all’avvocato TONINO CELLINI,

giusta

delega in atti;

– ricorrente contro

DI MIZIO ,ANGELA C.F. DMZNGL55R46C901T, elettivamente

Data pubblicazione: 15/05/2015

domiciliata in ROMA, VIA G.FERRARI 11, presso lo
studio dell’avvocato DINO VALENZA, che la rappresenta
e difende unitamente all’avvocato FRANCO DI TEODORO,
giusta delega in atti;
controricorrente –

COMUNE DI COLONNELLA C.F. 82001560679, in persona del
Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20, presso lo studio
dell’avvocato MICHELE MIRENGHI, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato TONINO CELLINI, giusta
delega in atti;
– ricorrente successivo contro

DI MIZIO ANGELA C.F. DMZNGL55R46C901T, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA G.FERRARI 11, presso lo
studio dell’avvocato DINO VALENZA, che la rappresenta
e difende unitamente all’avvocato FRANCO DI TEODORO,
giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 650/2011 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 03/08/2011 r.g.n. 13/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/02/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
NAPOLETANO;
udito l’Avvocato MIRENGHI MICHELE per delega CELLINI

E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G.

TONINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto di entrambi i ricorsi.

#.

RG 3217-12- N.9 UD 10-215

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello dell’Aquila, confermando la sentenza del Tribunale di
Teramo, condannava in solido il Comune di Colonnella e Cicchese Enrico

dipendente Di Mizio Angela quale conseguenza di un comportamento
mobbizzante.
La Corte del merito, precisato che la responsabilità del Cicchese era stata
fatta valere dalla Di Mizio in via extracontrattuale, osservava,
innanzitutto, che la sanzione disciplinare, la cui legittimità era ancora
sub iudice,

era stata presa in considerazione dal primo giudice solo come

fatto storico e non giuridico. Rilevava, poi, la predetta Corte che le
risultanze istruttorie confermavano “la sottrazione delle mansioni,la
conseguente emarginazione, lo spostamento senza plausibili ragioni da un
ufficio all’altro, l’umiliazione di essere subordinati a quello che prima
era un proprio sottoposto, l’assegnazione ad un ufficio aperto al pubblico
senza possibilità di poter lavorare,così rendendo ancor più cocente
propria umiliazione”..
Richiamava, inoltre, la Corte territoriale la perizia, allegata agli atti,
eseguita in sede penale da uno dei massimi esperti di mobbing che esaminata
la vicenda lavorativa della Di Mizio aveva riscontrato la presenza
contestuale di tutti e sette i parametri tassativi di riconoscimento del
mobbing.

Risultati questi, sottolineava il Collegio di appello, non

dissimili da quelli cui era pervenuto il consulente nominato nel giudizio di
e

Giuseppe a risarcire il danno alla salute e professionale in favore della

secondo grado, il quale aveva escluso qualsiasi efficienza causale sulla
riscontrata patologia

del

pregresso morbo di Basedow. Analogamente la Corte

del merito escludeva che l’allegata psicosi paranoide trovasse riscontro
nella storia clinica della Di Mizio.
Né secondo la Corte del merito “il Comune poteva essere scriminato dal danno

mobbing provenga da altro dipendente in posizione di supremazia gerarchica
rispetto alla vittima, non vale ad escludere la responsabilità del datore di
lavoro su cui incombono gli obblighi di cui all’art. 2049 cc, ove questo sia
rimasto colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo”. Nella specie,
sottolineava la Corte del merito,”la durata e le modalità con cui è stata
posta in essere la condotta mobbizzante, quale risulta anche dalle prove
testimoniali, sono tali da far ritenere la sua conoscenza anche da parte del
datore di lavoro, nonché organo politico, che l’ha comunque tollerata”.
Escludeva, infine, la Corte in parola, che vi fosse stata una fase delle
operazioni peritali non comunicata ai periti di parte.
Avverso questa sentenza Cicchese Enrico Giuseppe ed il Comune di Colonnella
ricorrono, con separati atti, in cassazione sulla base di nove motivi in
parte coincidenti_
Resiste con autonomi controricorso la Di Mizio.
Le parti ricorrenti depositano memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
Pregiudizialmente i ricorsi vanno riuniti riguardando l’impugnazione della
stessa sentenza.

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arrecato alla lavoratrice” “giacché la circostanza che la condotta di

Preliminarmente rileva il Collegio che poiché i motivi di ricorso, come
accennato in narrativa, sono in parte coincidenti si procederà per le
censure comuni ad ambedue i ricorsi ad un esame congiunto degli stessi,
mentre i motivi non coincidenti saranno analizzati separatamente.
Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione dell’art. 2909 cc e

fondato il proprio decisum sulla sentenza relativa a sanzione disciplinare
non ancora divenuta cosa giudicatq.
La censura è infondata_
Invero la Corte del merito precisa e con motivazione giuridicamente corretta
ed immune da vizi logici, che la vicenda relativa alla sanzione disciplinare
viene presa in considerazione, non nella sua valenza giuridica, ma quale
fatto storico.
A tanto aggiungasi che, comunque, dalla motivazione complessiva

della

sentenza impugnata non è dato riscontrare che il fatto storico di cui si
discute avesse un efficienza determinante nella soluzione adottata dalla
Corte del merito. Né ciò è allegato dalle parti ricorrenti.
Con la seconda censura i ricorrenti, denunciando vizio di motivazione,
sostengono che la Corte del merito ha assunto la CTU ad elemento di prova e
non ha considerato tutte risultanze di causa.
La censura è infondata.
Invero, quanto al profilo medico legale, va rilevato che la Corte del merito
facendo proprie le conclusioni del perito ne ha implicitamente condiviso le
argomentazioni.

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vizio di motivazione, rilevano che erroneamente la gorte del merito ha

Relativamente,invece, al profilo fattuale la Corte territoriale ha, con
motivazione congrua e formalmente logica, accertato che le dichiarazioni
testimoniali confermano “la sottrazione delle mansioni,la conseguente
emarginazione, lo spostamento senza plausibili ragioni da un ufficio
all’altro, l’umiliazione di essere subordinati a quello che prima era un

possibilità di poter lavorare,così rendendo ancor più cocente la propria
umiliazione”.
Circa,poi, la valutazione delle risultanze istruttorie occorre precisare che
costituisce principio del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa
Corte (ex piurimis: Cass. S.U. n. 13045/97) che la deduzione di un vizio di
motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce
al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di
controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale
spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne
l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza
all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge) ( in tal senso Cass. 12 febbraio 2008
n. 3267, Cass. 27 luglio 2008 n.2049 e da ultimo Cass.25 maggio 2012
n.8298).
e

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proprio sottoposto, l’assegnazione ad un ufficio aperto al pubblico senza

Con la terza critica i ricorrenti,allegando violazione degli artt.
1218,2087,2043 e 2697 cc, nonché vizio di motivazione,sostengono che le
risultanze processuali non fanno emergere nel caso di specie una fattispecie
riconducibile a quella tipica del mobbing.
La critica è infondata.

ricorso,concernenti la valutazione delle risultanze processuali, devesi
rimarcare che la Corte del merito pone a base del proprio decisum anche le
risultanze della perizia, allegata agli atti, eseguita in sede penale da uno
dei massimi esperti di mobbing che, esaminata la vicenda lavorativa della Di
Mizio aveva riscontrato la presenza contestuale di tutti e sette i parametri
tassativi di riconoscimento del mobbing “che sono l’ambiente; la durata, la
frequenza, il tipo di azioni ostili, il dislivello tra gli antagonisti,
l’andamento secondo fasi successive,l’intento persecutorio”, parametri
questi di cui la Corte territoriale trova riscontro, come detto, nelle
risultanze istruttorie.
Con il quarto motivo i ricorrenti,prospettando violazione degli artt. 194,
2° comma, cpc e dell’art. 90, 1°comma, disp_ att cpc nonché vizio di
motivazione, assumono che il CTU non ha comunicato alle parti una fase delle
operazioni peritali con conseguente nullità della sentenza impugnata.
Il motivo è infondato.
Invero la Corte del merito accerta che non vi è stata una fase delle
operazioni peritali non comunicata ai periti di parte.
Inoltre poiché la comunicazione alle parti ex artt. 194, secondo comma, cpc
e 90, primo comma, disp. att. cpc, è funzionalmente connessa all’esercizio

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Richiamate le considerazioni, di cui all’esame del precedente motivo di

del diritto di difesa è necessario, ai fini di cui trattasi, che venga
allegato il concreto pregiudizio del diritto di difesa e la sua decisiva
incidenza sulla soluzione della controversia.
Nella specie difetta appunto l’allegazione della predetta decisività con
conseguente non ricorrenza di un rapporto di causalità tra eventuale omessa

Con la quinta censura i ricorrenti,deducendo vizio di motivazione, criticano
la sentenza impugnata per non aver i giudici di appello chiamato a
chiarimenti il CTU a fronte delle note del CT di parte.
La censura è infondata.
Infatti secondo giurisprudenza di questa Corte rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di
riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per un supplemento
di consulenza, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere
censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione
espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza,
in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già
acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici,
risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta, non
sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che
il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia
che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché
incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione( Cass. 25
novembre 2013 n. 17906 e Cass. 15 luglio 2011 n. 15666).

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comunicazione e sentenza impugnata.

Nella specie la Corte del merito prende in considerazione i rilievi del CT
di parte e con motivazione congrua e formalmente logica, li disattende
osservando, tra l’altro, che il CTU aveva escluso qualsiasi efficienza
causale sulla riscontrata patologia del pregresso morbo di Basedow e la
psicosi paranoide non trovava riscontro nella storia clinica della Di Mizio

Con il sesto motivo i ricorrenti, denunciando vizio di motivazione, rilevano
che la Corte del merito non ha tenuto conto degli stralci del fascicolo del
procedimento penale e tanto perché gli stessi non sono confluiti nel
fascicolo d’ufficio essendo stati ritrovati nel fascicolo di parte.
Il motivo è infondato.
La mera circostanza che gli stralci in parola non sarebbero confluiti nel
fascicolo d’ufficio non può fondatamente far ritenere che di essi la Corte
del merito non ne ha tenuto conto.
Del resto la circostanza che la rilevanza di tali atti sarebbe limitata,
secondo la prospettazione degli attuali ricorrenti, alle considerazioni
svolte dai periti di parte circa l’insorgenza della patologia a causa del
presunto mobbing,

dà conto di come, sia pure implicitamente, la Corte del

merito, nel condividere le conclusioni del CTU di appello, abbia ritenuto
non fondati i rilievi dei detti periti di parte.
Con la settima censura i ricorrenti, assumendo plurime violazioni di legge e
plurimi vizi di motivazione,sostengono che la Corte territoriale:
riconoscendo anche il danno da dequalificazione professionale è andata
petita

ultra

omettendo di pronunciarsi sul relativo motivo d’appello; ha

erroneamente ritenuto sussistente un demansionamento quando invece si

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e non era stata riscontrata dal detto CTU,specialista in psichiatria.

trattava di revoca d’incarico di responsabilità d’ufficio, è incorsa in
vizio di motivazione in ordine alla prova del demansionamento ed all’entità
del danno.
La censura è infondata.
Quanto alla denunciata pronuncia

ultra petita

va sottolineato che i

dequalificazione professionale omettono di trascrivere nel ricorso, in
violazione del principio di autosufficienza, il ricorso originario della Di
Mizio non consentendo in tal modo a questo giudice di legittimità alcun
sindacato al riguardo.
Né può obliterarsi che secondo questa Corte l’interpretazione della domanda

e l’apprezzamento della sua ampiezza, oltre che del suo contenuto,
costituiscono, anche nel giudizio di appello, ai fini della individuazione
del devolutum,

un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice del

merito, e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il
profilo dell’esistenza, sufficienza e logicità della motivazione (Cfr. Cass.
24 luglio 2012 n. 12944, Cass. 6 ottobre 2005 n. 19475 e Cass.6 febbraio
2006 n. 2467, nonché in particolare Cass. 12 ottobre 1998 n.10101 – seguita
da Cass. 25 settembre 2002 n.13945 – la quale ha precisato che il sindacato
su tale operazione interpretativa, in quanto non riferibile ad un vizio in
procedendo, è consentito alla Corte di cassazione nei limiti istituzionali
del giudizio di legittimità).
Tanto comporta che rimane assorbita la denuncia di omessa pronuncia.
Relativamente alla questione del demansionamento va osservato che la Corte
del merito non prende in considerazione il demansionamento quale elemento

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ricorrenti pur assumendo che non è stato richiesto il danno da

autonomo su cui fonda la ritenuta sussistenza del mobbing, ma lo iscrive nel
z

più ampio contesto della vicenda fattuale che, nella specie, ha
caratterizzato il complessivo comportamento vessatorio a danno della Di
Mizio ed in tale prospettiva appunto valuta la verificata sottrazione di
mansioni che vengono in rilievo, per le indicate ragioni, anche se non hanno

corrispondenti alla qualifica rivestita, ma che, pur tuttavia, denotano una
dequalificazione professionale rispetto a quella acquisita( V. per tutte da
ultimo Cass.4 marzo 2014 n. 4989).
Ciò che viene in rilievo non è, pertanto, la revoca dell’incarico
dirigenziale, quanto la dequalificazione professionale, nei termini
anzidetti, conseguente alla diversa assegnazione di posizione lavorativa.
Né può ritenersi, diversamente da quanto prospettato dai ricorrenti, che la
at,

Corte del merito non dà conto delle risultanze istruttorie da cui evince la
dequalificazione in parola, atteso che nella sentenza impugnata, con
motivazione adeguata, si dà atto che i testi escussi hanno confermato
quanto, appunto, poi ritenuto dai giudici di appello sotto il profilo in
questione.
Sotto altro profilo mette conto,inoltre, sottolineare che la censura
concernente l’entità del danno non può essere valutata da questa Corte a
fronte della sua genericità non essendo precisato in quale misura il giudice
di primo grado avrebbe riconosciuto tale danno e tanto in assenza di
espressa pronuncia della Corte del merito.
Con l’ottavo motivo il ricorrente Cicchese, denunciando violazione dell’art.
410 cpc e vizio di motivazione, assume che la Corte del merito non ha tenuto

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sempre determinano di per sé l’adibizione della Di Mizio a mansioni non

conto e non ha motivato in ordine alla rilevata improcedibilità della
domanda nei suoi confronti non essendo stato convocato per l’espletamento
del tentativo di conciliazione.
La censura è destituita di fondamento.
Premesso che la Corte del merito correttamente motiva in ordine al sollevato

ha agito nei suoi confronti a titolo di responsabilità extracontrattuale, va
sottolineato che secondo giurisprudenza consolidata di questo giudice di
legittimità l’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione è
previsto dall’art. 412 bis cpc quale condizione di procedibilità della
domanda nel processo del lavoro; la relativa mancanza deve essere eccepita
dal convenuto nella memoria difensiva di cui all’art. 416 cpc, e può essere
rilevata anche d’ufficio dal giudice, purché non oltre l’udienza di cui
all’art. 420 cpc, con la conseguenza che ove l’improcedibilità dell’azione,
ancorché segnalata dalla parte, non venga rilevata dal giudice entro il
suddetto termine, la questione non può essere riproposta nei successivi
gradi di giudizio ( Cass. 16 agosto 2004 n. 15956 e Cass. 11 giugno 2009
n. 13591).
Con l’ottavo motivo il Comune di Colonnella e con il nono motivo il
Cicchese, allegando violazione dell’art. 92 cpc e vizio di motivazione,
sostengono che erroneamente il giudice di primo grado nonostante la Di Mizio
non fosse risultata totalmente vittoriosa vi è stata la loro condannaXi al
rimborso integrale delle spese di lite e la Corte di Appello pur investita
con specifico motivo ha omesso qualsiasi motivazione al riguardo.
La censura è infondata.

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difetto di legittimazione passiva del Cicchese sul rilievo che la Di Mizio

Invero, oltre alla considerazione che i ricorrenti pur deducendo
sostanzialmente un vizio di omessa pronuncia, non precisano in quali
termini, in violazione del principio di autosufficienza, la questione è
stata devoluta al giudice di appello, vi di contro il fondante rilevo che,
come precisato da questa Corte, in tema di condanna alle spese processuali,

interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima
quota, al pagamento delle spese stesse e con riferimento al regolamento
delle spese il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare
che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono
essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula
da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito
la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese
di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi
di concorso con altri giusti motivi ( per tutte V. Cass. 11 gennaio 2008 n.
406).
Nella specie i ricorrenti non sono risultati totalmente vittoriosi, sicché
non vi è violazione dell’art. 92 cpc denunciato.
Con il nono motivo il Comune di Colonnella, denunciando vizio di
motivazione, assume che la Corte del merito non motiva sulla responsabilità
dell’Organo politico_
Il motivo è infondato.
Invero la Corte territoriale sulla questione di cui trattasi specificamente
argomenta, come già detto in narrativa,che “il Comune non poteva essere
scriminato dal danno arrecato alla lavoratrice” “giacché la circostanza che

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il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte

la condotta di

mobbing

provenga da altro dipendente in posizione di

supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non vale ad escludere la
responsabilità del datore di lavoro su cui incombono gli obblighi di cui
all’art. 20149 cc, ove questo sia rimasto colpevolmente inerte alla
rimozione del fatto lesivo”e nella specie, sottolinea la Corte del

mobbizzante, quale risulta anche dalle prove testimoniali, sono tali da far
ritenere la sua conoscenza anche da parte del datore di lavoro, nonché
organo politico, che l’ha comunque tollerata”.
Trattasi di una motivazione giuridicamente corretta e formalmente coerente
che come tale è sottratta al sindacato di questa Corte di legittimità.
In conclusione i ricorsi vanno rigettati.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
>
P.Q.M.

.2

La Corte riuniti i ricorsi li rigetta e condanna ciascun ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in E. 100,00 per
esborsi ed E. 3500,00 per compensi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 febbraio 2015

T-

Il Presidente
Dott. P . o 7Stile

Il Consigliere est.
Dott. Giuset

Napoletano

12

merito,”la durata e le modalità con cui è stata posta in essere la condotta

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