Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10031 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 28/05/2020), n.10031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26267-2018 proposto da:

L.B.S., L.B.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato BENEDETTO SCHIMMENTI;

– ricorrenti –

contro

ESSO ITALIANA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERTO CARONCINI 51, presso

lo studio dell’avvocato CORRADO SCIVOLETTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO BORROMETI;

– controricorrente –

contro

CONSERVATORIA DEI REGISTRI IMMOBILIARI DI (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1319/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 19/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a tre motivi, L.B.S. e L.B.F. hanno impugnato la sentenza della Corte d’appello di Palermo, resa pubblica in data 19 giugno 2018, che ne rigettava il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città, il quale, a sua volta, ne aveva respinto le domande volte ad ottenere una dichiarazione di illegittimità dell’iscrizione ipotecaria, la sua cancellazione e, in subordine, la riduzione della stessa con limitazione ad un solo bene, effettuata nei loro confronti dalla Esso Italiana s.r.l.;

che la Corte territoriale, a fondamento della decisione, osservava: a) gli attori – come già ritenuto correttamente dal giudice di primo grado – non avevano assolto all’onere, su di loro gravante, di provare l’eccedenza del valore del compendio immobiliare rispetto al credito ipotecato, là dove poi aveva natura meramente esplorativa l’avanzata istanza di ammissione di una c.t.u. al predetto fine; b) era tardiva e, pertanto, inammissibile la produzione in sede di gravame di una consulenza tecnica di parte per provare l’eccedenza del valore dei beni sottoposti ad ipoteca; c) era irrilevante la presenza nel dispositivo della sentenza della Corte di appello, costituente titolo per l’iscrizione d’ipoteca, dell’erronea indicazione dei cognomi dei debitori ( Lo.Ba. in luogo di L.B.), attesa non solo la correttezza dei dati anagrafici nella nota di trascrizione, ma, altresì, la mancata verificazione di errori nell’identificazione dei soggetti effettivamente debitori; d) non era, comunque, configurabile una violazione dell’art. 2839 c.c., in quanto la nota di trascrizione relativa all’ipoteca in oggetto recava le indicazioni anagrafiche corrette.

che resiste con controricorso la Esso Italiana S.r.l., mentre non svolge attività difensiva in questa sede l’intimata Conservatoria dei Registri Immobiliari di (OMISSIS);

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale ha depositato memoria la società controricorrente;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente devono essere disattese le varie eccezioni d’inammissibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente per mancanza, nella relata di notifica, dell’attestazione di conformità all’originale il ricorso formato digitalmente, nonchè per aver il difensore di parte avversa sottoscritto digitalmente il ricorso quando, invece, non operando dinanzi a questa Suprema Corte le disposizioni sul deposito telematico degli atti processuali, rimangono intatte le previsioni di cui gli artt. 365 e 370 c.p.c., le quali impongono una sottoscrizione autografa e non digitale;

anzitutto, giova rilevare che, diversamente da quanto esposto da parte ricorrente, la relata di notifica contiene l’asseverazione di conformità del ricorso formato digitalmente all’originale, dovendosi, comunque, ribadire il principio, da ultimo affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “in tema di giudizio per cassazione, in caso di ricorso predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica, l’atto nativo digitale notificato deve essere ritualmente sottoscritto con firma digitale, potendo la mancata sottoscrizione determinare la nullità dell’atto stesso, fatta salva la possibilità di ascriverne comunque la paternità certa, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo” (Cass., S.U., n. 22438/2018).

Irrilevanti, inoltre, si palesano sia la censura relativa all’inesistenza della relata di notifica in difetto di sua sottoscrizione autografa, essendo, invero, la stessa correttamente sottoscritta digitalmente, sia la censura relativa alla procura speciale, in quanto congiuntamente notificata in via telematica al ricorso per cassazione con attestazione di conformità all’originale all’interno del fascicolo.

a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla omessa valutazione della documentazione prodotta in giudizio”, per aver erroneamente la Corte territoriale ritenuto il difetto di prova circa l’eccedenza del valore del compendio immobiliare rispetto al credito ipotecato a fronte dell’allegazione, sia in primo grado che nel secondo, di tutte le visure relative ai beni oggetto di iscrizione ipotecaria ed indicanti sia le rendite che il reddito domenicale, in base alle quali era possibile, mediante una semplice operazione matematica, risalire al valore catastale;

a.1) il motivo è inammissibile, giacchè esso – lungi dal denunciare errores in indicando del giudice di merito – veicola censure in ordine all’apprezzamento di fatto e alla valutazione delle prove effettuati dalla Corte d’appello (in conformità agli apprezzamenti e valutazioni del giudice di primo grado), senza, peraltro, potersi, nella specie, neppure dedurre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di omesso esame di fatto discusso e decisivo, operando la preclusione in tal senso (essendo l’appello stato proposto nel 2015) di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, per sussistenza di cd. “doppia conforme”;

b) con il secondo mezzo è dedotta “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2875 c.c., e dell’art. 115 c.p.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla scorta della produzione versata in atti e delle prove acquisite in giudizio e sulla scorta anche della giurisprudenza della Cassazione. Violazione dell’art. 345 c.p.c., ed error in procedendo”, per aver erroneamente il giudice di appello ritenuto tardiva e, pertanto, inammissibile la produzione, per la prima volta, di una consulenza tecnica di parte in sede di gravame e non aver considerato come pacifici i fatti dedotti con la medesima consulenza, mai contestata da parte avversa.

b.1) il motivo è inammissibile sotto più profili.

Lo è anzitutto, alla stregua di quanto già evidenziato in sede di scrutinio del primo motivo, quanto alla censura che, lungi dal denunciare errores in iudicando, impinge sugli apprezzamenti di fatto e sulle valutazioni delle prove riservati al giudice di merito.

Lo è, inammissibile, altresì perchè, sebbene non sia in discussione il principio di diritto richiamato dai ricorrenti (“la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, sicchè la sua produzione, in quanto sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., è ammissibile anche in appello”: Cass., S.U., n. 13902/2013; Cass., n. 20347/2017), la censura difetta di specificità, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, oltre che di localizzazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, mancando di evidenziare gli effettivi contenuti della c.t.p. (ancor prima dei contenuti degli atti processuali rilevanti ai fini della “non contestazione”) tali da integrare soltanto allegazioni difensive e non già elementi di prova, che – come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale – sarebbero stati dedotti tardivamente (intendendosi integrare con la c.t.p. la prova lacunosa di primo grado) in violazione del divieto di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, (applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata, come nella specie, dopo l’11 settembre 2012), in forza del quale vi è il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza l’indispensabilità” degli stessi, e ferma per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (Cass. n. 26522/2017): ciò che, nella specie, neppure è stato dedotto con il ricorso, là dove una tale difesa avrebbe dovuto già essere portata alla cognizione del giudice di appello;

c) con il terzo mezzo è prospettata “violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 5, in relazione all’art. 111 Cost.. Omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla accertata e documentata iscrizione ipotecaria su titolo difforme rispetto alla nota di iscrizione ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2839 c.c.”. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto ininfluente ai fini della validità della nota di iscrizione dell’ipoteca il fatto che la sentenza della Corte d’appello, costituente il titolo per l’iscrizione, recasse, nel dispositivo, una indicazione erronea del cognome dei debitori soggetti all’ipoteca quando, invece, vi doveva essere congruità tra i due atti.

c. 1) il motivo è inammissibile.

Con esso si invoca un precedente (Cass. n. 14440/2013) non pertinente rispetto alla ratio decidendi che sorregge la statuizione impugnata, la quale, pertanto, non è censurata in modo specifico e congruente, fondandosi essa sul rilievo – giuridicamente corretto in riferimento a quanto dispone l’art. 2841 c.c., – del mero ed ininfluente errore nella indicazione, nel dispositivo della sentenza titolo esecutivo, del cognome dei debitori ( Lo.Ba. in luogo di L.B.), poi riportato correttamente nella nota di trascrizione, non avendo detto errore determinato alcuna incertezza nell’identificazione dei soggetti effettivamente debitori;

in ragione della inammissibilità dei motivi di ricorso, non occorre disporre il rinnovo della notificazione irritualmente effettua tata nei confronti dell’intimata Conservatoria dei registri immobiliari di (OMISSIS) presso l’indirizzo dell’Avvocatura generale dello Stato non presente in (OMISSIS) ed in (OMISSIS), posto che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.), di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e fotinalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo (tra le molte, Cass. n. 15106/2013);

il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e i ricorrenti condannati, in solido tra loro, al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, mentre non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti della parte intimata.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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