Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10031 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/04/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 15/04/2021), n.10031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18533-2015 proposto da:

A.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSTANTINO

MAES, 68, presso lo studio dell’avvocato ELENA DE MARTINIS, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI,

CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrenti –

nonchè contro

EQUITALIA SUD S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 10388/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/01/2015 R.G.N. 7858/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 26.1.2015, la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato le opposizioni proposte da A.I. avverso altrettante intimazioni di pagamento di contributi non pagati e già oggetto di cartelle esattoriali non opposte;

che avverso tale pronuncia A.I. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;

che l’INPS ha resistito con controricorso, mentre la società concessionaria dei servizi di riscossione è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di merito dato ingresso ad un appello privo dei necessari requisiti di specificità;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, per avere la Corte territoriale ritenuto la tardività e inammissibilità dell’opposizione intrapresa avverso le intimazioni di pagamento;

che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione dell’art. 437 c.p.c., per avere la Corte di merito acquisito indebitamente d’ufficio copia delle relate di notifica delle cartelle esattoriali presupposte alle intimazioni di pagamento, laddove esse avrebbero dovuto essere prodotte dall’INPS fin dalla costituzione in primo grado;

che, con riguardo al primo motivo, è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, il che, quando si denunci l’erroneità della pronuncia in punto di ammissibilità dell’appello, richiede che si indichino specificamente nel ricorso per cassazione i fatti processuali posti a base dell’errore denunciato (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 20405 del 2006, 12664 del 2012, 22280 del 2017);

che, nel caso di specie, nè la sentenza di prime cure nè l’appello dell’INPS, della genericità dei cui motivi ci si duole, sono stati riportati in ricorso, nemmeno nelle loro parti rilevanti al fine di dare alla censura un non opinabile fondamento fattuale, di talchè le doglianze di parte ricorrente vanno reputate inammissibili;

che, con riguardo al secondo motivo, va premesso che la sentenza impugnata, dopo aver accertato che le cartelle esattoriali presupposte alle intimazioni di pagamento oggetto del presente giudizio erano state notificate al destinatario rispettivamente in data 25.5.2005 e 1523.7.2005 e che ad esse avevano fatto seguito altrettante intimazioni di pagamento in data 16.2.2010 e 20.2.2010, ha da un lato correttamente escluso che tra la data della notifica delle cartelle non opposte e quella delle intimazioni di pagamento fosse maturata la prescrizione di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, e dall’altro non meno correttamente ritenuto che la prescrizione maturata anteriormente alla notifica delle cartelle dovesse esser fatta valere mercè l’opposizione alle medesime, da effettuarsi nel termine perentorio di quaranta giorni;

che, così ricostruito il dictum della sentenza impugnata, il motivo di censura (che peraltro invoca una disciplina normativa manifestamente inapplicabile alla fattispecie, riguardando la L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, l’opposizione all’ordinanza ingiunzione per il pagamento di sanzioni ammnistrative) appare palesemente infondato, avendo questa Corte da tempo precisato, per un verso, che l’opposizione avverso l’avviso di mora con cui si faccia valere l’omessa notifica della cartella esattoriale, deducendo fatti estintivi relativi alla formazione del titolo (come, nella specie la prescrizione quinquennale del credito L. n. 335 del 1995, ex art. 3, commi 9 e 10), avendo la funzione di recuperare l’impugnazione non potuta esercitare avverso la cartella che costituisce presupposto indefettibile dell’avviso, deve essere qualificata come opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. e non come opposizione agli atti esecutivi (così, da ult., Cass. n. 28583 del 2018), e, dall’altro, che la scadenza del termine perentorio per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo (Cass. S.U. n. 23397 del 2016), con conseguente impossibilità di eccepire la prescrizione maturata anteriormente alla notifica della cartella medesima;

che parimenti infondato è il terzo motivo, essendosi chiarito che, costituendo onere della parte opponente di dimostrare la tempestività dell’opposizione D.Lgs. n. 46 del 1999, ex art. 24, comma 5, il relativo accertamento, involgendo la verifica della proponibilità della domanda, può essere eseguito d’ufficio, ex artt. 421 e 437 c.p.c., anche con l’acquisizione di elementi attinti aliunde (così da ult. Cass. nn. 19226 del 2018 e 21153 del 2019), trattandosi di controversie in cui, venendo in considerazione la scissione oggettiva tra ente impositore e concessionario della riscossione, può rilevare l’acquisizione da quest’ultimo di ogni documento relativo ad atti della procedura di riscossione da cui derivino conseguenze di rilievo nei rapporti tra creditore e debitore, con il solo limite dell’avvenuta allegazione dei fatti (così, espressamente, Cass. n. 14755 del 2018); che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, liquidandole in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

 

 

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