Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10030 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 28/05/2020), n.10030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25901-2018 proposto da:

D.C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO DA

CARPI 6, presso lo studio dell’avvocato GEMMA PATERNOSTRO,

rappresentata e difesa dall’avvocato OLINTO RAFFAELE VALENTINI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BISCEGLIE, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LEONIDA BISSOLATI 76, presso

lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato EMMA CASTELLANETA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 242/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 08/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a quattro motivi, D.C.A. ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Bari, resa pubblica l’8 febbraio 2018, che ne rigettava il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città, il quale, a sua volta, ne aveva respinto la domanda proposta nei confronti del Comune di Bisceglie al fine di ottenere, ex art. 2043 c.c., e/o art. 2051 c.c., il risarcimento dei danni patiti a seguito della caduta, con conseguenti lesioni personali, per l’inciampo in un tombino di ispezione fognaria sito sulla sede stradale costituente insidia;

che la Corte d’appello di Palermo, a fondamento della decisione, osservava: a) la domanda attorea poteva qualificarsi come addebito di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2051 c.c.; b) non era stata fornita dall’attrice la prova del nesso eziologico tra la sconnessione del tombino ed il pregiudizio patito dall’appellante, sussistendo, invece, una responsabilità esclusiva della D.C. circa la verificazione del sinistro sulla base di vari elementi, oggettivi e soggettivi, quali: – la presenza di una mera irregolarità del manto stradale facilmente superabile attraverso una condotta accorta e prudente, maggiormente richiesta dalla circostanza che la danneggiata si trovava ad attraversare la strada fuori dalle strisce pedonali; – la giovane età della danneggiata (43 anni) che la dotava “di buona capacità sensoriale e percettiva rispetto ad eventuali situazioni di insidia e/o pericolo presenti sul proprio percorso”; – la conoscenza dello stato dei luoghi ove il fatto è avvenuto, avendo la stessa la propria abitazione non distante (a circa 100-150 metri) dal luogo del sinistro; – la sussistenza di una buona visibilità e luminosità del tratto stradale; – la mancata prova, sulla base delle foto prodotte in giudizio, della sussistenza di rifiuti e carte sul tombino; – la non allegazione in citazione della mancata visibilità data la presenza di macchine parcheggiate; – l’assenza di una sconnessione sul manto stradale emergente dalle note emesse dal Comando della Polizia Municipale di (OMISSIS) e dall’Ufficio tecnico Comunale; b) non era comunque configurabile, anche nell’ipotesi di esistenza di un nesso causale, la responsabilità ex art. 2051 c.c., del Comune convenuto in ragione dell’idoneità del comportamento della danneggiata (in forza delle “condizioni soggettive ed oggettive” anzidette) a configurare il c.d. caso fortuito incidentale, interruttivo del nesso di causalità; c) non era configurabile una responsabilità del Comune neppure ai sensi dell’art. 2043 c.c., in quanto a fronte della “irregolarità” del manto stradale il danneggiato non aveva adeguato la propria condotta alla cautela e prudenza resa necessaria dalle caratteristiche intrinseche della strada;

che resiste con controricorso il Comune di Bisceglie;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale (ma in data 9 dicembre 2019) la ricorrente ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

in via preliminare, la memoria di parte ricorrente, in quanto tardivamente depositata, è inammissibile;

a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver erroneamente la Corte territoriale riconosciuto valore ostativo all’accoglimento della domanda della D.C. alle note prodotte dal Comune di Bisceglie ed emesse dal Comando dei VV.UU. e dall’Ufficio Tecnico Comunale di (OMISSIS), nelle quali non si rilevava la presenza di alcun tombino di ispezione fogna sulla sede stradale, conferendo, così, valore vincolante ad una prova libera;

a.1) il motivo è in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile.

E’ manifestamente infondato quanto alla dedotta violazione dell’art. 2700 c.c., poichè, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte d’appello di Bari non riconosce alle note depositate dal Comune convenuto un effettivo “valore ostativo” all’accoglimento della domanda, ossia valore vincolante ai sensi della predetta norma, ma un valore eminentemente probatorio nell’andar ad escludere la sussistenza di un nesso eziologico tra la sconnessione stradale e i pregiudizi subiti dalla D.C., elencando una serie di elementi, oggettivi e soggettivi sui quali ha fondato la propria decisione. E che la Corte territoriale non abbia riconosciuto una valenza privilegiata alle note allegate dal Comune di Bisceglie è reso evidente anche dal fatto che, sulla base delle prove orali raccolte, ha osservato che, se anche ipoteticamente fosse stata accertata la sussistenza di un nesso causale tra il dislivello stradale e l’evento dannoso, quest’ultimo doveva ritenersi interrotto dal c.d. caso fortuito incidentale, concretizzatosi nella condotta imprudente e distratta della D.C..

Sono inammissibili le censure evocanti la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., poichè (cfr., tra le altre, Cass. n. 11892/2016): a) la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo qualora il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre; b), la violazione dell’art. 116 c.p.c., (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.

b) con il secondo mezzo è dedotta l’errata applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per aver il Giudice di gravame con motivazione apparente, oltrechè illogica, ritenuto, sulla base dell’istruttoria emersa nel corso dei giudizi di merito, non provata l’esistenza della sconnessione e le condizioni in cui essa si trovava al momento dell’evento dannoso, omettendo, così, l’esame di fatti decisivi per il giudizio quali: i) la profondità del dislivello; ii) l’occultamento del dislivello da rifiuti e cartacce; iii) l’occupazione del tratto stradale in cui era presente il dislivello da un auto in sosta.

c) con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 1227 c.c., per aver erroneamente la Corte di merito ritenuto idoneo il comportamento della danneggiata a configurare un caso fortuito e, pertanto, ad interrompere il nesso causale tra l’evento dannoso e la cosa, senza esaminare se tale condotta potesse ritenersi imprevedibile, eccezionale o anomala da parte del custode;

b.c.1) i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto intrinsecamente connessi, sono inammissibili.

Lo sono, inammissibili, anzitutto ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1. La decisione della Corte d’appello di Bari si pone, infatti, in armonia rispetto al principio secondo cui la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia; una volta provate tali circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale. Tuttavia, nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento, ma richieda l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per se statica ed inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non evitabile, il danno (v. tra le molte Cass., n. 2660/2013 e Cass., n. 21212/2015).

La Corte territoriale, con motivazione tutt’altro che apparente, ma chiara ed intelligibile, ha ritenuto interrotto il nesso eziologico tra la sconnessione del tombino ed il pregiudizio patito dalla D.C. dal c.d. caso fortuito incidentale, poichè, nonostante la presenza di condizioni oggettive e soggettive (analiticamente individuate e tenute in considerazione in sentenza), il comportamento disattento, imprudente ed distratto, è risultato idoneo a recidere detto nesso causale.

Le censure sono, altresì, inammissibili in quanto: a) in relazione alla dedotta violazione delle norme sostanziali codicistiche, le critiche, lungi dall’evidenziare un error in indicando, si focalizzano sulla valutazione del corredo probatorio operato dal giudice di merito; b) le doglianze relative alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non sono veicolate secondo i principi innanzi indicati (cfr. la citata Cass. n. 11892/2016).

Infine, parte ricorrente, lungi dall’evidenziare l’omissione di fatti storici, finisce per prospettare circostanze in contrasto con l’accertamento compiuto dal giudice di gravame e di cui la stessa parte fornisce una propria lettura ai fini della ricostruzione della vicenda storica alternativa rispetto a quella accertata dalla Corte territoriale.

d) con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte territoriale, con motivazione apparente, escluso una responsabilità extracontrattuale in capo al Comune convenuto in quanto “la mera irregolarità del manto di una strada pubblica non è di per sè sufficiente a far ritenere l’ente proprietario della strada come responsabile del danno sofferto da chi, nell’attraversare la strada, non abbia adeguato la propria condotta alla cautela e alla prudenza resa necessaria dalle caratteristiche intrinseche della strada stessa”;

d.1) il motivo è inammissibile in quanto – oltre al fatto che per stessa ammissione della ricorrente (che denuncia una “motivazione apparente”, senza peraltro dolersi della violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), la Corte di merito (la cui motivazione è adeguata e intelligibile) non è incorsa in alcuna omissione di pronuncia rispetto a quanto richiesto dalle parti ex art. 112 c.p.c., – si sollecita un non consentito riesame della quaestio facci da parte di questa Corte di legittimità;

il ricorso va, pertanto, rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA