Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10030 del 27/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 27/04/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 27/04/2010), n.10030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24799/2006 proposto da:

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144;

gli avvocati RASPANTI RITA, LA PECCERELLA LUIGI lo rappresentano e

difendono, giusta procura speciale Atto Notar CARLO FEDERICO TUCCARI

di ROMA del 14/06/2006, rep. n. 71003;

– ricorrente –

contro

B.D., quale amministratore di sostegno provvisorio del

signor B.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EZIO

19, presso lo studio dell’avvocato ALLIEGRO MICHELE, rappresentata e

difesa dagli avvocati FREDIANI FEDERICO, ARAGIUSTO MASSIMO, giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 206/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/02/2006 R.G.N. 126/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO BALLETTI;

udito l’Avvocato RASPANTI RITA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale – giudice del lavoro di Siena B.O. conveniva in giudizio l’I.N.A.I.L. per ottenere il ripristino della rendita unificata per malattia di origine professionale (individuata nella angioneurosi da strumenti vibranti, nella fibrosi polmonare ed in un deficit flessorio al ginocchio destro) ridotta dall’Istituto dal 52% al 44%.

Si costituiva in giudizio l’I.N.A.I.L. che impugnava integralmente la domanda attorea e ne chiedeva il rigetto.

L’adito Giudice del lavoro – con sentenza del 28 novembre 2002 – rigettava il ricorso, ma – a seguito di impugnativa del soccombente e ricostituitosi il contraddittorio – la Corte di appello di Firenze, con sentenza del 17 febbraio 2006, in riforma della decisione di primo grado, condannava l’I.N.A.I.L. a ripristinare la rendita in favore del B. nella misura del 52% ed a corrispondere sugli arretrati gli interessi legali, con condanna dell’appellato alle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Per la cassazione di questa sentenza l’I.N.A.I.L. propone ricorso affidato ad un unico motivo e sostenuto da memoria ex art. 378 c.p.c., Per l’intimato B.O. resiste con controricorso B.D. “quale amministratore di sostegno di B.O.”

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con l’unico motivo di ricorso l’Istituto ricorrente – denunciando “violazione della L. n. 88 del 1989, art. 55, comma 4, nonchè vizi di motivazione” – rileva, a censura della sentenza impugnata, che “la Corte di appello di Firenze dopo aver accertato in fatto che l’Istituto era incorso in un errore di valutazione dell’entità dei postumi e dopo avere correttamente affermato che il caso di specie, essendo relativo ad errore rilevato nel 1996, doveva essere esaminato alla luce dell’art. 55 cit., ha poi inesattamente escluso la rilevanza dell’errore perchè non provato dall’I.N.A.I.L. e perchè relativo alla valutazione dei postumi”.

2 – Il ricorso come dianzi proposto si appalesa infondato.

2/a – Al riguardo si rileva – preliminarmente in linea generale – in materia di revisione delle rendite di mobilità a seguito di rettìfica da parte, dell’I.N.A.I.L. di pregressi errori di valutazione, il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 9, – che, modificando la L. n. 88 del 1989, art. 55, ha introdotto limiti al potere di rettifica – ha portata ricognitiva ed efficacia retroattiva, investendo ogni situazione pregressa, con la conseguenza che anche nell’ambito dei giudizi in corso, il giudice deve accertare prioritariamente l’esistenza delle condizioni che consentano al l’I.N.A.I.L. l’esercizio della facoltà di rettifica sulla base della nuova disciplina, tenuto conto che l’eventuale pregresso errore di valutazione assume rilevanza solo se giudiziariamente comprovato con i criteri, metodi e strumenti di indagine disponibili all’atto della determinazione erronea (cfr. Cass. n. 19012/2003).

2/b – Nella specie la Corte di appello di Firenze, nella sentenza impugnata, ha motivatamente statuito che, sotto l’essenziale profilo probatorio, “dalla relazione del consulente tecnico di ufficio si ricavano elementi univocamente deponenti per ritenere che la valutazione complessiva della inabilità è risultata esattamente sovrapponìbile a quella determinata al momento della costituzione della rendita unificata (1998)”.

Di conseguenza le censure dell’Istituto ricorrente in ordine alla valutazione delle conclusioni della consulenza tecnica sulle conseguenze probatorie come dianzi tratte dalla Corte territoriale non meritano accoglimento nella presente sede di legittimità, atteso che il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento: non è, quindi, necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni della parte rimasta soccombente che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili con le argomentazioni accolte: le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, (cfr. Cass. n. 8355/2007).

2/c – In ogni caso, con riferimento alle censure inerenti alla asserita errata valutazione delle risultanze probatorie – che connotano sostanzialmente il ricorso de quo -, vale rimarcare che la cennata valutazione rientra nell’attività istituzionalmente riservata al giudice di merito non sindacabile anch’essa in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. n. 322/2003).

Pervero, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un’esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati. Si rileva, altresì, che le censure con cui una sentenza viene impugnata per vizio della motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie non possono essere intese a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte – pure in relazione al valore da conferirsi alle “presunzioni” la cui valutazione è anch’essa incensurabile in sede di legittimità alla stregua di quanto già riferito in merito alla valutazione delle risultanze probatorie (Cass. n. 11906/2003) – e, in particolare, non vi si può opporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti – nella specie, sulle risultanze della c.t.u. -, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5: in caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, id est di una nuova pronuncia sul fatto sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

3/d – Circa, inoltre, le doglianze concernenti l’asserita “erronea motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia” si precisa che -) il difetto di motivazione, nel senso d’insufficienza di essa, può riscontrarsi soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice e quale risulta dalla sentenza stessa emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l’obiettiva deficienza, nel complesso di essa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, – come per le censure mosse nella specie dal ricorrente – quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; -) il vizio di motivazione sussiste unicamente quando le motivazioni del giudice non consentano di ripercorrere l’iter logico da questi seguito o esibiscano al loro interno non insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l’esame di punti decisivi della controversia – irregolarità queste che la sentenza impugnata di certo non presenta -; -) per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi – come, nella specie, esaustivamente ha fatto la Corte di appello di Firenze – le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.

4 – A conferma della pronuncia di rigetto del ricorso vale riportarsi al principio di cui alla sentenza di questa Corte n. 5149/2001 (e, più di recente, di Cass. Sezioni Unite n. 14297/2007) in virtù del quale, essendo state rigettate le principali assorbenti ragioni di censura, il ricorso deve essere respinto nella sua interezza poichè diventano inammissibili, per difetto di interesse, le ulteriori ragioni di censura.

5 – In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto dal l’I.N.A.I.L. deve essere respinto e l’Istituto ricorrente, per effetto della soccombenza, va condannato al pagamento a favore del controricorrente, ut supra, delle spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’I.N.A.I.L. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 14,00, a favore del controricorrente ut supra – oltre a Euro 2.500,00 per onorari ed alle spese generali e agli ulteriori oneri di legge.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2010

 

 

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