Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10030 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 10030 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BUFFA FRANCESCO

Data pubblicazione: 15/05/2015

MOTIVI DELLA DECISIONE

8. Il secondo motivo di ricorso è infondato. La corte territoriale
ha accertato infatti che, mentre il contratto collettivo
attribuisce ai dipendenti aventi la qualifica delle lavoratrici
compiti qualificanti, con responsabilità di risultati relativi ad
e
importanti diversi processi produttivi amministrativi
competenza a rendere pareri sulle proposte di deliberazione
ed emanare provvedimenti a valenza immediatamente
esterni ed atti costituenti manifestazioni di giudizio, dall’atto
di organizzazione degli uffici del comune le mansioni
contrattuali e le connesse responsabilità non sono state
mantenute in capo alle lavoratrici, che hanno svolto compiti
meramente esecutivi, ottenibili mediante inserimento di dati
in appositi programmi informatici. Dagli atti risulta dunque
che le lavoratrici in questione non solo hanno perso la
posizione organizzativa ma hanno anche visto la propria
attività lavorativa svuotata di ogni contenuto tipizzante il
profilo professionale rivestito, ed in particolare dei compiti
decisionali in precedenza svolti e delle relative responsabilità
nei settori di competenza, con la piena sottoordinazione al
nuovo responsabile di area illegittimamente nominato. Non
si tratta dunque di un demansionamento conseguente alla
perdita legittima di una posizione organizzativa, bensì della
privazione illegittima della direzione di unità operativa,
dell’esercizio di funzioni con rilevanza esterna e altresì degli
elementi caratterizzanti in senso qualitativo il profilo di
funzionario categoria D3.
9. Infine, va rigettato anche il terzo motivo di ricorso in
quanto, se è vero che la posizione organizzativa era unica a
seguito della accorpamento delle aree e che le aspiranti
entrambe non avrebbero potuto
erano due, sicché
contestualmente congiuntamente ricoprire la posizione
organizzativa unica risultante dall’accorpamento, è anche
vero che entrambe le lavoratrici avevano una chance (da
ritenersi, in assenza di elementi di valutazione, in parti

7. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non
compiutamente parannetrato alla sentenza impugnata,
essendo rivolto solo contro una delle ragioni di illegittimità
della nomina del terzo, sicché l’accertamento di tale
illegittimità (Sez. L, Sentenza n. 3386 del 11/02/2011; Sez.
3, Sentenza n. 24540 del 20/11/2009) continuerebbe a
sussistere in ragione dei capi di sentenza non direttamente
attaccati con ricorso in cassazione e definitivamente passati
in giudicato (mancanza del requisito della laurea,
illegittimità di conferimento di incarico libero professionale,
carenza di motivazione dell’atto, mancato rispetto delle
procedure per revoca alle lavoratrici delle posizioni
organizzative).

uguali) di poter conseguire la posizione organizzativa, ciò
che naturalmente implica una percentuale di probabilità che
comunque va riconosciuta (essendo certo che la posizione
organizzativa, in assenza dell’illegittima nomina del terzo,
sarebbe spettato ad una delle lavoratrici aspiranti).
10. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato, in ordine
alla perdita di chance, Sez. L, Sentenza n. 18207 del
25/08/2014 che, al fine della liquidazione del danno
patrimoniale da perdita di “chance”, la concreta ed effettiva
occasione perduta di conseguire un determinato bene non è
una mera aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale a
sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di
valutazione autonoma, che deve tenere conto della
proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto.
Nel caso, come sopra detto, le ricorrenti hanno dimostrato,
pur in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità,
la realizzazione in concreto dei presupposti per il
raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla
condotta illecita della quale il danno risarcibile è
conseguenza immediata e diretta (Sez. L, Sentenza n.
21544 del 12/08/2008; Sez. 3, Sentenza n. 1752 del
28/01/2005).
Il datore di lavoro è dunque tenuto, in presenza di perdita di
“chances” del suo dipendente, a risarcirgli i danni
patrimoniali, quantificabili sulla base della percentuale di
probabilità che il lavoratore aveva di risultare vincitore
qualora la selezione tra i concorrenti si fosse svolta in modo
corretto e trasparente (Sez. L, Sentenza n. 11522 del
19/11/1997, ed altre successive conformi).
11. Per altro verso, la commisurazione del danno da perdita di
chance alla retribuzione di posizione, operata dalla sentenza
impugnata e rapportata anche alla durata della posizione
organizzativa illegittimamente attribuita a terzi, da un lato
è in linea con i criteri indicati dalla giurisprudenza, dall’altro
lato non appare affatto superiore alla metà della
retribuzione totale cui ciascuna dipendente poteva aspirare
nel periodo di illegittima privazione della posizione
organizzativa.
12. Analogo discorso va fatto con riferimento al danno da
demansionamento, la cui liquidazione è stata attaccata dal
ricorrente unicamente in relazione al profilo del cumulo del
danno tra le due lavoratrici.
13. Quanto alla diversa eccezione relativa al riferimento
parametrico alla retribuzione ai fini della liquidazione del
danno da demansionamento -questione in relazione alla
quale non è stato formulato quesito di diritto, ma solo
deduzione di vizio motivazionale- va rilevato anche tale
deduzione è infondata in quanto, se è vero che la

p.q.nn.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento in favorerdei controricorrenti delle spese di lite,
che si liquidano in euro duemilacinquecento per compensi,
euro cento per spese, oltre accessori come per legge e
spese generali nella misura del 15%.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 gennaio
2015.

Ci. etU thi0

retribuzione
maggiore
per
titolarità
di
posizione
organizzativa non compete in ogni caso ma solo se ci sono
le condizioni economiche per i maggiori oneri finanziari, la
sentenza ha fatto riferimento parametrico alla retribuzione
già goduta in precedenza dalle lavoratrici e quindi a
retribuzione per la quale vi erano già i presupposti per la
corresponsione.
Non risultano sollevate, infine, altre questioni con
riferimento al criterio di liquidazione seguito dalla sentenza
impugnata.
14. Per quanto detto il ricorso rigettato. Le spese seguono la
soccombenza.

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