Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10030 del 06/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 06/05/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 06/05/2011), n.10030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARLEO Giovanni – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale e’ domiciliata in Rema alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

F.E.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, sezione 25, n. 22, depositata l’8 giugno 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di’ consiglio del

16 novembre 2010 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco.

Fatto

FATTO E DIRITTO

la Corte:

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., e’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, sezione 25, n. 22, depositata l’8 giugno 2006, che, accogliendo l’appello di F.E., promotore finanziario, gli ha riconosciuto il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998, 1999 e 2000.

Il contribuente non ha svolto attivita’ nella presente sede.

Il ricorso contiene due motivi, che rispondono ai requisiti prescritti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente denuncia violazione della normativa istitutiva dell’IRAP sotto il profilo del presupposto impositivo costituito dalla sussistenza di autonoma organizzazione, ritenuta non ricorrente nella sentenza impugnata, pur avendo essa amministrazione dedotto spese per lavoro dipendente; con il secondo si censura la sentenza per vizio di motivazione nell’accertamento dell’insussistenza dell’autonoma organizzazione.

La ratio decidendi della sentenza impugnata non e’ conforme al principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte in materia, secondo cui l’esercizio dell’attivita’ di promotore finanziario di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31, comma 2, e’ escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attivita’ non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilita’ ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attivita’ in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass., sez. un., 26 maggio 2009, n. 12111).

La sentenza impugnata, d’altra parte, contiene un inequivoco accertamento di fatto in ordine all’insussistenza, nella specie, di autonoma organizzazione, che non e’ stato oggetto di adeguata censura. In particolare, a fronte della deduzione in appello dell’ufficio concernente l’esistenza di “spese per lavoro dipendente”, la sentenza impugnata ha, tra l’altro, rilevato come la pretesa era “infondata anche in relazione alle dichiarazioni rese in udienza dal rappresentante dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Lucca, riportate nel verbale d’udienza, secondo le quali l’appellante, in effetti, non ha avuto mai dipendenti per lo svolgimento della sua attivita’ come contrariamente sostenuto nella memoria di costituzione in giudizio”.

In conclusione, si ritiene che, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, e dell’art. 380-bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto manifestamente infondato”;

che la relazione e’ stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte ne’ memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso deve essere rigettato;

che non vi e’ luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attivita’ difensiva da parte dell’intimato.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2011

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