Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10026 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 28/05/2020), n.10026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28479-2018 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPIANO

8, presso lo studio dell’avvocato ORAZIO CASTELLANA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO LONGARINI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TERNI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO GENNARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 161/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 12/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

T.G. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Terni il locale Comune, quale ente proprietario della strada, per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una sua caduta, avvenuta il (OMISSIS) a causa di un dislivello del marciapiede posto in (OMISSIS); al riguardò preciso che nell’occasione aveva le mani occupate per tenere il nipote di 10 anni, e che non si era avveduta della presenza del detto dislivello in quanto era stata costretta ad utilizzare un varco di 40-50 cm tra le vetture parcheggiate in corrispondenza del marciapiede.

L’adito Tribunale rigettò la domanda, ritenendo che il sinistro si fosse verificato per esclusiva colpa della T..

Con sentenza 161/2018 la Corte d’Appello di Perugia ha rigettato il gravame proposto dalla T.; in particolare la Corte territoriale ha evidenziato che la scelta di attraversare la piazza utilizzando un piccolo varco fuori dalle strisce pedonali (peraltro con un bambino di dieci anni per mano, e quindi con l’impossibilità di utilizzare le braccia per prevenire un’eventuale caduta) concretizzava un grado di colpa molto elevato, tale da escludere che il danno fosse stato cagionato dal bene in custodia, “res” ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e da far ritenere quindi integrato il caso fortuito; al riguardo ha poi soggiunto che, al momento del sinistro, vi era luce diurna ed un’ottima visibilità, mentre nessuno aveva imposto alla T. di scegliere per l’attraversamento un varco così stretto.

Avverso detta sentenza T.G. propone ricorso per Cassazione affidato a due motivi ed illustrato anche da successiva memoria.

Il Comune di Terni resiste con controricorso, anch’illustrato da successiva memoria.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli art. 2697 e 2051 c.c., art. 115 c.p.c., e art. 190 C.d.S., si duole che la Corte territoriale, finendo con l’imporre al cittadino un onere di attenzione tale da supplire all’inadempimento da parte del Comune ai più elementari obblighi di valutazione, non abbia considerato che non vi erano altri passaggi sul marciapiede e che comunque era onere del Comune provarne l’esistenza.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 4, – nullità della sentenza in relazione all’art. 115 c.p.c., e artt. 2,3, 24 e 111 Cost., sostiene che la Corte territoriale non abbia proceduto all’accertamento dell’eziologia dell’evento dannoso attraverso la ricostruzione istruttoria dello stato dei luoghi, e si duole che la Corte medesima, dopo avere accertato la non corretta manutenzione del marciapiede per l’esistenza di un impercettibile “scalino”, non abbia poi applicato la presunzione di responsabilità del Comune, tenendo conto della possibilità dello stesso, attesa la limitatezza del tratto di strada vigilato, di esercitare in concreto il potere di fatto della cosa.

I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono inammissibili.

Gli stessi, invero, hanno come presupposto circostanze fattuali e tendono, in ultima analisi, a sollecitare la S.C. ad una nuova valutazione delle stesse, non consentita in sede di legittimità, in particolare in ordine alla mancanza di altri passaggi sul marciapiede ed all’esatta consistenza dello “scalino” sul marciapiede.

Come più volte precisato da questa S.C., infatti, “in tema di responsabilità del custode, la ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione, se non nei ristretti limiti della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (Cass. 10014/2017; 6573/2004).

Nella specie, in corretta applicazione dei principi di cui all’art. 2051 c.c., la Corte ha ritenuto che il comportamento incauto del pedone danneggiato integrasse gli estremi del caso fortuito; con conseguente interruzione del nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso; siffatto apprezzamento in fatto, non è, come detto, sindacabile in sede di legittimità, con conseguenza inammissibilità del ricorso.

In ogni modo, non sussiste la violazione dell’art. 2697 c.c., che, come ribadito da Cass. S.U. 16598/2016, “si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni”, e non quando, come in ricorso, ci si duole solo che la Corte territoriale, a seguito del procedimento di acquisizione e valutazione del materiale probatorio strumentale alla decisione, abbia valutato i fatti in modo non conforme a quanto sostenuto dalla parte ricorrente; in particolare, infatti, il motivo non denuncia affatto nè la violazione nè la falsa applicazione della detta norma di diritto, ma ne postula la violazione come risultato di una sollecitazione a rivalutare risultanze istruttorie, il che (come detto) non è consentito dai limiti del controllo della motivazione sulla “questio facti” esistenti a seguito della novellazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La violazione dell’art. 115 c.p.c., dedotte in entrambi i motivi non lo è secondo i criteri indicati da Cass. n. 11892/16, ribadito da Cass. S.U. 16598/16.

Il contenuto della memoria della ricorrente non è idoneo a superale le su indicate ragioni di inammissibilità.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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