Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10026 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 10026 Anno 2015
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 9158-2012 proposto da:
PISTONE ANNA C.F. PSTNNA84R60F839Y, PISTONE GENNARO
C.F.

PSTGNR56P25F839H,

PSTPTR79C30F8391,
PSTRSR81R19F839X,

PISTONE

PISTONE
tutti

PIETRO
ROSARIO

C. F.
C.F.

nella qualità di eredi

legittimi di MILANO MARIA ROSARIA, elettivamente
2014
3554

domiciliati in ROMA, VIA ASSISI 7, presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCA MORFU’, rappresentati e difesi
dagli avvocati EMANUELE GUARINO, GIACOMO PACE, giusta
delega in atti;
– ricorrenti –

Data pubblicazione: 15/05/2015

contro

REALE S.R.L. P.I. 02275820732, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA COLA DI RIENZO, 271, presso lo studio
dell’avvocato MARIA CRISTINA LENOCI, rappresentata e

in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 7067/2011 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 01/12/2011 R.G.N. 5683/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/11/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

difesa dall’avvocato MICHELE BRUNETTI, giusta delega

Svolgimento del processo
Con sentenza del 15/11 — 1/12/2011 la Corte d’appello di Napoli ha accolto
l’impugnazione proposta dalla società Reale s.r.1 avverso la sentenza del giudice
del lavoro del Tribunale di Napoli, che l’aveva condannata a reintegrare Milano

licenziamento, ritenuto illegittimo, sino alla effettiva ripresa del servizio, e di
conseguenza ha rigettato la domanda della lavoratrice, disponendo la
compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
La Corte ha spiegato che non era condivisibile l’assunto del primo giudice,
secondo il quale le assenze della ricorrente dal posto di lavoro dovevano ritenersi
giustificate per il solo motivo che la datrice di lavoro era a conoscenza della
presumibile ragione che aveva indotto la Milano ad assentarsi dal servizio, tant’era
vero che in data 6/8/2008 la società aveva inviato alla lavoratrice due lettere, una
delle quali conteneva la richiesta di ulteriore documentazione ai fini della
prosecuzione della pratica di concessione del congedo non retribuito, mentre
l’altra aveva ad oggetto la contestazione disciplinare dell’assenza ingiustificata dal
lavoro a partire dall’1/8/2008. Inoltre, l’art. 2 del D.M. 21/7/2000 n. 278 disciplinava
in modo specifico il procedimento volto alla concessione del congedo e le ipotesi
in cui il datore di lavoro poteva negarlo, per cui non vi era alcun dubbio sul fatto
che l’insorgenza del diritto della lavoratrice al congedo non retribuito era
subordinata ad una valutazione della parte datoriale delle condizioni poste a
fondamento della richiesta, con la conseguenza ulteriore che l’esistenza di una
tale procedura non autorizzava la Milano, in assenza di un provvedimento di
concessione del beneficio, ad assentarsi dal posto di lavoro. Oltretutto,
quest’ultima non aveva presentato una giustificazione alla contestazione degli
addebiti ed aveva comunicato alla società di aver inviato la documentazione
richiestale per il congedo solo in data 11/9/2008, vale a dire a distanza di circa un
mese da quando le erano state inoltrate le suddette missive, per cui correttamente

1

Maria Rosaria nel posto di lavoro e a corrisponderle le retribuzioni maturate dal

le era stato intimato il licenziamento per giustificato motivo soggettivo costituto da
abbandono del posto di lavoro.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso Pistone Gennaro, Pistone
Pietro, Pistone Rosario e Pistone Anna, quali eredi di Milano Maria Rosaria, con

Resiste con controricorso la società Reale s.r.l.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli
artt. 2104 c.c. e 7 della legge n. 300/1970, oltre che l’esistenza di un vizio della
motivazione, per avere la Corte d’appello ritenuto, in base ad una erronea ed
insoddisfacente valutazione del materiale probatorio, che fosse stato validamente
comminato il licenziamento disciplinare del 29/9/2008 per assenza ingiustificata
dal posto di lavoro anche in pendenza di una richiesta della loro dante causa di
congedo non retribuito del 29/7/2008, della quale la datrice di lavoro era a
conoscenza, ma alla quale non aveva dato risposta, per cui il predetto atto di
recesso non sarebbe stato adottato nel rispetto delle norme sopra richiamate.
A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la
Ecc.ma Corte se la Corte d’appello di Napoli ha correttamente operato sotto il
profilo logico e formale e della correttezza giuridica nell’esame e valutazione di
tutte le prove acquisite al processo ed in particolare se tanto è avvenuto nel
rispetto degli artt. 2104 c.c. e dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970.”
Osserva la Corte che il quesito di diritto, nei termini astratti in cui è stato posto di
generica istanza di verifica della correttezza dell’operazione interpretativa
compiuta dal giudice del merito, è inammissibile ed inidoneo a sorreggere il motivo
del quale dovrebbe rappresentare la sintesi logico-giuridica, in quanto non
chiarisce l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla
concreta fattispecie, per cui non è dato sapere in concreto, al di là del generico
richiamo alle suddette norme, da quale “regula iuris” la Corte d’appello si sarebbe

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tre motivi.

discostata nel momento in cui è pervenuta al convincimento sulla legittimità del
licenziamento per conclamata assenza ingiustificata dal lavoro della dipendente,
con la conseguenza che il quesito stesso finisce per perdere di rilevanza ai fini
della decisione.

26020 del 30/10/2008) hanno chiarito che “il quesito di diritto deve essere
formulato, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una
sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di
enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi
ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è
inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione,
ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolve
sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua
inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in
riferimento alla concreta fattispecie.” (in senso conf. v. anche Cass. sez.
lav.n. 7197 del 25/3/2009).
Ma anche per quel che riguarda il prospettato vizio di motivazione si ravvisa un
profilo di inammissibilità del motivo in quanto viene semplicemente contestata la
valutazione operata dalla Corte d’appello in merito ai fatti posti a fondamento della
legittimità del licenziamento, vale a dire le due missive inviate alla lavoratrice
precedentemente all’adozione dell’atto di recesso, missive che riguardavano la
richiesta di ulteriore documentazione ai fini della prosecuzione della pratica di
concessione del congedo non retribuito e la successiva contestazione disciplinare
dell’assenza ingiustificata dal lavoro a partire dall’1/8/2008. In realtà,
contrariamente a quanto asserito dagli odierni ricorrenti, la decisione impugnata
contiene al riguardo un’adeguata ricostruzione dei fatti ed una congrua valutazione
della loro decisività ai fini della ravvisata legittimità del recesso, senza che a tale
motivazione siano imputabili vizi di ordine logico e giuridico.

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Aft,

Al riguardo è bene ricordare che le Sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. n.

2. Col secondo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione
dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 49 lettera a) del cali delle pulizie
del 2001 e dei successivi rinnovi per avere la Corte d’appello falsamente applicato
quest’ultima contrattazione collettiva per ciò che riguardava il licenziamento

dichiarando legittimo il licenziamento comminato in costanza di un’assenza della
lavoratrice loro dante causa, nonostante che la ragione di tale assenza fosse nota
alla datrice di lavoro. Aggiungono i ricorrenti che l’assenza dal posto di lavoro per
tre giorni non comportava lo scioglimento del rapporto di lavoro per giusta causa,
posto che la contrattazione collettiva prevedeva che l’assenza ingiustificata atta a
consentire l’adozione del licenziamento con preavviso per giustificato motivo
oggettivo doveva essere di quattro giorni consecutivi o ripetuta per ter volte in un
anno nel giorno seguente alle festività o alle ferie.
Osserva la Corte che tale motivo presenta un evidente vizio di improcedibilità in
quanto, in spregio a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., secondo comma, n. 4
c.p.c., i ricorrenti non si sono premurati di depositare il testo integrale del contratto
collettivo invocato a sostegno della doglianza.
Oltretutto, non può non rilevarsi che la produzione stessa del contratto collettivo
del 2001 concernente il settore di riferimento delle pulizie non è nemmeno indicata
tra gli atti annoverati in calce al presente ricorso, subito dopo le conclusioni.
Si concretizza, in tal modo, una evidente causa di improcedibilità, atteso che le
questioni poste non possono prescindere dalla disamina della normativa collettiva
di riferimento espressamente richiamata dai ricorrenti a sostegno delle loro
censure.
Si è, infatti, statuito (Cass. sez. lav. n. 15495 del 2/7/2009) che “l’onere di
depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a
pena di improcedibilità, dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella
nuova formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 – non può dirsi soddisfatto

4

/u>

disciplinare e per aver violato la suddetta norma dello Statuto dei lavoratori

con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il
ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi
ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente
incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo

funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di
ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e seguenti e, in ispecie,
con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo
integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello
stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva
della questione che interessa.” (v. in tal senso anche Cass. sez. un. n. 20075 del
23/9/2010)
3. Col terzo motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 del
d.lgs n. 61/2001, 3, comma 1, del d.lgs n. 66/2003, nonché l’omessa decisione
sull’applicabilità, nella fattispecie, della tutela reale in relazione alle deduzioni ed
alle prove apportate nel giudizio.
Ci si lamenta, in pratica, del fatto che la Corte d’appello, accogliendo il ricorso
della società e riformando la sentenza di primo grado, non era entrata nel merito
dell’eccezione di inapplicabilità della tutela reale sollevata dalla difesa della
società. Invece, secondo gli odierni ricorrenti occorreva tener conto del fatto che
era stato depositato un libro matricola dal quale risultavano in forza ventidue
dipendenti e che, non avendo controparte provato mediante allegazione della
contrattazione collettiva un diverso orario, doveva ritenersi che valesse il dettato
dell’art. 3 del d.lgs n. 66/2003, per cui i lavoratori dipendenti avrebbero dovuto
essere considerati nella loro interezza numerica, con un risultato che non poteva
essere che quello della sussistenza del requisito dimensionale ai fini
dell’applicazione della tutela reale, così come accertata dal giudice di primo grado.

/2)

dell’intervento legislativo di cui al citato d.lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la

Il motivo è infondato per la semplice ragione, dedotta anche dalla difesa
dell’odierna controricorrente, che una volta accertata la legittimità dell’impugnato
licenziamento, con conseguente riforma della decisione di primo grado di segno
opposto, la Corte d’appello non aveva motivo di procedere alla disamina della

soluzione si sarebbe resa necessaria solo nella contraria ipotesi, non realizzatasi
nella fattispecie, di dichiarazione finale di illegittimità del recesso datoriale.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Motivi di equità dovuti al diverso esito dei giudizi delle precedenti fasi di merito ed
alla particolarità della vicenda che diede origine al contenzioso inducono questa
Corte a ritenere interamente compensate tra le parti le spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Dichiara compensate le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 19 novembre 2014
Il Consigliere estensore

questione dell’applicabilità o meno della tutela reale, questione, questa, la cui

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