Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10026 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/04/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 15/04/2021), n.10026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25597/2016 proposto da:

C.P., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIACOMO GIOVANNINI;

– ricorrente –

contro

DAX DUE AGENCY DI I.B. & C. S.A.S., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 9, presso lo studio dell’avvocato EMILIANO AMATO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 165/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/04/2016 R.G.N. 161/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

C.P., già agente della DAX DUE AGENCY s.a.s., impugnò la sentenza del Tribunale di Torino con cui: – venne respinta la sua domanda diretta alla declaratoria di illegittimità della risoluzione, da parte della preponente, del contratto di agenzia, chiedendo condannarsi la società al pagamento dell’indennità di mancato preavviso e di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c.; – venne invece accolta la domanda riconvenzionale della società diretta alla condanna dell’agente al pagamento del debito residuato per campionari consegnati e non restituiti nelle ultime tre stagioni, pari ad Euro 15.213,88.

Con sentenza depositata il 22 aprile 2016, la Corte d’appello di Torino respingeva il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la C., affidato a quattro motivi, cui resiste la società con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218,1750,1751 e 2119 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto sussistere una causa legittima di risoluzione in tronco solo per non avere l’agente raggiunto gli obiettivi minimi di vendita, senza valutare adeguatamente la gravità dell’inadempimento e l’imputabilità di esso alla agente, altresì considerato che anche gli altri agenti non avevano raggiunto tali obiettivi e che la società aveva ciò tollerato per diversi anni.

Con secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere i giudici d’appello ritenuto gravare sulla ricorrente l’onere di provare la non imputabilità a sè del mancato raggiungimento degli obiettivi di vendita, senza neppure considerare che la C. aveva richiesto sul punto prova testimoniale, non ammessa.

Con terzo motivo la C. denuncia la violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., per avere la sentenza impugnata, almeno implicitamente, ritenuto il comportamento della società conforme ai principi di buona fede di cui agli articoli richiamati. Mentre gli obiettivi di vendita erano “del tutto sproporzionati” e che la società aveva per molti anni tollerato il loro mancato raggiungimento da parte degli agenti.

I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili non avendo la ricorrente adeguatamente contestato la ratio decidendi della sentenza impugnata relativa alla legittimità della clausola risolutiva espressa inerente il mancato raggiungimento degli obiettivi di vendita da parte dell’agente, basandosi essenzialmente sul mancato raggiungimento degli obiettivi da parte di un gran numero degli agenti.

Se è pur vero che anche in presenza di clausola risolutiva espressa occorre valutare la sussistenza di un comportamento inadempiente dell’agente (Cass. n. 10934/11), è altrettanto vero che il mancato raggiungimento degli obiettivi di vendita, contenuti nel sottoscritto mandato agenziale, non risulta contestato se non attraverso le deduzioni, che non risultano supportate da adeguate circostanze di fatto, che ciò avvenne anche per altri agenti e che si trattava di obiettivi difficilmente raggiungibili, a ciò logicamente ostando l’approvazione della clausola da parte dell’agente mercè la sottoscrizione del relativo accordo, rimasto peraltro vigente, senza specifiche contestazioni, per diversi anni.

Con il quarto (subordinato) motivo la C. contesta la statuizione della sentenza impugnata laddove afferma che l’importo di Euro 2.653,09 (indennità per cessazione rapporto, indicato dalla società) non sarebbe stato contestato dall’agente, laddove quest’ultima lo aveva contestato in primo grado nelle note del 2.10.14.

Il motivo risulta tuttavia inammissibile, censurando un apprezzamento di fatto della Corte di merito sul tenore della contestazione accompagnata dall’allegazione di conteggi alternativi, giudicati incontestatamente inammissibili per tardività.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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