Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10025 del 27/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 27/04/2010, (ud. 10/03/2010, dep. 27/04/2010), n.10025

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FIRS ITALIANA DI ASSICURAZIONI S.P.A IN LIQUIDAZIONE COATTA

AMMINISTRATIVA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BISSOLATI 76,

presso lo studio dell’avvocato GARGANI BENEDETTO, che la rappresenta

e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato MALANDRINO GIANLUIGI, che

lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6129/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/01/2006 R.G.N. 2988/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2010 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato ROBERTO CATALANO per delega BENEDETTO GARGANI;

udito l’Avvocato MALANDRINO GIANLUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.G.L., già agente della Firs Italiana di Assicurazioni spa (qui di seguito, per brevità, anche Firs), ottenne dal Pretore di Roma decreto ingiuntivo nei confronti della ex preponente per la somma di L. 68.478.459.

L’ingiunta, in sede di opposizione, formulò domanda riconvenzionale di condanna del D.G. al pagamento della somma di L. 37.002.262 per premi da questi incassati e non versati; tale domanda venne accolta dal Tribunale di Roma per la minor somma di L. 31.720.186; la domanda azionata in via monitoria venne invece dichiarata improseguibile, essendo stata la Firs, nelle more, posta in liquidazione coatta amministrativa.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 22.9.2005 -10.1.2006, accogliendo l’impugnazione proposta da D.G., respinse la domanda originariamente proposta dalla Firs, rilevando che:

– contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale la L. Fall., art. 56, non fa esclusivo riferimento alla compensazione vera e propria, ben potendo il debitore del soggetto sottoposto ad una procedura concorsuale, a fronte di un credito fatto valere dal curatore fallimentare o dal commissario nella liquidazione coatta amministrativa, eccepire in compensazione, fino a concorrenza, suoi personali crediti derivanti dall’unico rapporto obbligatorio intercorso con l’altra parte;

– non poteva sostenersi che il credito del D.G. non potesse essere accertato per mancanza del requisito della liquidità, poichè la L. Fall., art. 56, rappresenta una deroga al concorso a favore dei soggetti che si trovino ad essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l’effetto compensativo si produce e ferma restando l’esigenza dell’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte, sicchè le stesse esigenze poste a base della norma giustificano l’ammissibilità anche della compensazione giudiziale nel fallimento;

– nella specie il credito del D.G. era precedente all’instaurazione della procedura nei confronti della Firs e “certamente superiore a quello, pure incontestato”, di quest’ultima.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale la Firs Italiana di Assicurazioni spa in liquidazione coatta amministrativa, in persona del Commissario Liquidatore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico articolato motivo e illustrato con memoria. L’intimato D.G.U. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico articolato motivo la ricorrente denuncia violazione di legge (arti 56 e 208 legge fallimentare; art. 1246 c.c.) e dell’art. 23 dell’Accordo Nazionale Agenti del 1991, nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su eccezioni introdotte nel giudizio di appello e vizio di motivazione. A sostegno del mezzo deduce che:

la Corte territoriale non avrebbe potuto operare la compensazione perchè gli asseriti crediti del D.G. non erano mai stati accertati, non avendo il medesimo presentato alcuna domanda di ammissione allo stato passivo della procedura; – la Corte territoriale aveva omesso di considerare le argomentazioni ed eccezioni illustrate da essa ricorrente “nei propri scritti difensivi” secondo le quali la compensazione non avrebbe comunque potuto operare stante:

a) la non compensabilità delle somme di cui l’ex agente era depositario;

b) l’espresso divieto di compensazione secondo la previsione del contratto collettivo di settore.

2. In ordine al profilo di doglianza relativo alla non applicabilità della compensazione per mancata presentazione della domanda di ammissione allo stato passivo della procedura e, quindi, per il difetto di liquidità del credito, deve rilevarsi che la questione è già stata oggetto di disamina, in sede di risoluzione di contrasto, da parte delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr, Cass., n. 535/1999, alla quale ha fatto espresso riferimento la sentenza impugnata). Ed invero, in tale pronuncia, le Sezioni Unite, osservato che i contrasti riguardavano, in primo luogo, il momento relativo alla verificazione dei presupposti del fatto estintivo, individuati dall’art. 1243 c.c., oltre che nella certezza già conseguente al fatto genetico, nella liquidità ed esigibilità, hanno rilevato che, alla base della previsione della L. Fall., art. 56, vi sono esigenze di carattere equitativo, non apparendo conforme ad esigenze di giustizia sostanziale che il creditore in bonis sia costretto ad adempiere alla propria obbligazione per l’intero ed a ricevere il proprio credito in moneta fallimentare, non dovendo trascurarsi che tale norma comporta una deroga al principio della par condicio, perchè, nel limiti della compensazione, il creditore è soddisfatto integralmente.

Richiamato l’orientamento già in precedenza espresso dalla giurisprudenza di legittimità (cfr, Cass., n. 8132/1996) secondo cui la disposizione della L. Fall., art. 56, comma 1, si applica anche alla compensazione giudiziale, ancorchè la pronuncia giudiziale che attribuisce ad uno dei due crediti carattere di liquidità sia intervenuta dopo l’apertura della procedura concorsuale, quando il fatto genetico del credito sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, e rilevato che i poteri di liquidazione spettano al giudice fallimentare o a quello ordinario a seconda della sede dell’eccezione, le Sezioni Unite hanno composto il contrasto affermando che la disposizione della L. Fall., art. 56, rappresenta una deroga al concorso a favore dei soggetti che si trovino ad essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l’effetto compensativo si produce e ferma restando l’esigenza dell’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte, sicchè le stesse esigenze poste a base della norma giustificano l’ammissibilità anche della compensazione giudiziale nel fallimento, perchè operi la quale è necessario che i requisiti dell’art. 1243 c.c., ricorrano da ambedue i lati e sussistano al momento della pronuncia (nello stesso senso, cfr, altresì, ex plurimis, Cass., n. 9013/2003); che poi la compensazione possa essere dichiarata dal giudice del lavoro è stato affermato da Cass., 20 agosto 1997, n. 7795, e 18 giugno 1999, n. 6099. Essendosi la sentenza impugnata conformata a tali principi, la doglianza all’esame non può essere accolta.

3. La censura di omessa pronuncia su eccezioni asseritamente svolte nel giudizio di appello è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, poichè allorquando, come nella specie, è denunciato un error in procedendo, il ricorso deve indicare da quali atti del precedente giudizio è desumibile, cosicchè, nel caso di impugnazione per omessa pronuncia su una sua domanda od eccezione, il ricorrente deve indicare in quali atti, e con quali specifiche frasi in essi contenute, l’ha proposta dinanzi al giudice di merito (cfr, ex plurimis, Cass., n. 7194/2000), a soddisfare tale esigenza non essendo bastevoli le generiche indicazioni utilizzate nel ricorso all’esame, quali “giudizio di appello” o “scritti difensivi”.

4. Il profilo di censura relativo alla dedotta violazione dell’art. 1246 c.c. (fondata sull’assunto che l’agente a cui sia stata conferita la facoltà di riscuotere somme di denaro per conto del preponente si porrebbe quale detentore di somme altrui, cosicchè la sua posizione sarebbe assimilabile a quella del depositario per gli effetti di cui all’art. 1246 c.c., n. 2) è infondato, perchè la disposizione dell’art. 1246 c.c., n. 2, laddove prevede l’esclusione della compensazione con riferimento ai crediti per la restituzione di cose depositate o date in comodato, postula l’esistenza di una contratto di deposito o di comodato e, pertanto, non può trovare applicazione al caso in cui si ponga un problema di compensazione, fra il committente e l’agente, relativamente alle somme corrisposte all’agente stesso dai clienti e che questi deve versare al committente, atteso che tali somme, fintanto che non sono rimesse dall’agente al committente, non possono considerarsi oggetto di un contratto di deposito corrente fra le parti, essendo la loro temporanea detenzione riconducibile all’obbligo dell’agente di riscuoterle e versarle, obbligo che trae titolo direttamente dal rapporto di agenzia intercorrente tra le parti (cfr., Cass., n. 12454/1999).

5. La ricorribilità per cassazione anche per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e si applica ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dall’entrata in vigore del predetto decreto legislativo. Tale normativa non trova quindi applicazione nei caso all’esame, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata in data anteriore (10.1.2006).

Nè la ricorrente lamenta la violazione di alcun canone di ermeneutica contrattuale.

Ne consegue l’inammissibilità del profilo di doglianza fondato sulla pretesa violazione dell’art. 23 dell’Accordo Nazionale Agenti del 1991.

6. In forza delle considerazioni che precedono il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in complessivi Euro 15,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2010

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