Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10024 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10024 Anno 2015
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: RAGONESI VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 6913-2008 proposto da:
SGRULLETTI COSTRUZIONI S.R.L., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CAPO MISENO 21, presso
l’avvocato GIOVANNI BONACCIO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato GLORIA NATICCHIONI,
2015

giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

673.

contro

FONDAZIONE E.N.P.A.M. – ENTE NAZIONALE DI PREVIDENZA

Data pubblicazione: 15/05/2015

ED ASSISTENZA DEI MEDICI E DEGLI ODONTOIATRI (C.F.
80015110580), in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
LARGO TRIONFALE 7, presso l’avvocato LUIGI MANNUCCI,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 156/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/01/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/04/2015 dal Consigliere Dott.
VITTORIO RAGONESI;
udito,

per

la

ricorrente,

l’Avvocato

GLORIA

NATICCHIONI che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato LUIGI
MANNUCCI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

VINCENZO SQUILLACI, giusta procura a margine del

Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

2

Svolgimento del processo

ingiuntivo emesso il 10.3.1999 dal Tribunale di Roma per lire
123.744.426 in favore dell’impresa Sgruletti in ragione di un
contratto stipulato in data 31.5.1996 , a seguito di licitazione privata,
per la manutenzione di alcuni immobili di proprietà dell’ENPAM.

Deduceva l’erroneità dell’importo relativo ai lavori eseguiti, attesa la
discrasia presente nel collaudo finale, redatto e sottoscritto in data
16 novembre 1998 dal collaudatore , tra i lavori effettivamente
eseguiti ed il relativo importo preteso dalla impresa appaltatrice, in
ordine al quale, pertanto, era stata dedotta l’insussistenza del diritto
di credito.

Il Tribunale di Roma , espletata CTU ed escussi alcuni testi,
definiva il giudizio revocando il decreto ingiuntivo opposto e
condannando la Fondazione ENPAM al pagamento della residua

La fondazione ENPAM proponeva opposizione al decreto

somma di Euro 20.759,75, così come accertata dal CTU.
Con atto di appello, notificato in data 7 maggio 2004, la Sgrulletti
Costruzioni srl, impugnava la sentenza di primo grado, deducendo

dal decreto ingiuntivo n. 784/99 del Tribunale di Roma, dell’importo
in linea capitale di allora Lire 123.744.426, oltre interessi legali dalle
singole scadenze ed oltre spese di procedura,
Dando, poi, atto che, in conseguenza della sentenza di primo grado,
la Fondazione Enpam aveva pagato la somma di Euro 24.011,07,
l’appellante concludeva per la condanna della detta Fondazione al
pagamento della differenza rispetto al credito portato dal decreto
opposto, pari ad Euro 39.897,59, oltre interessi legali dalla scadenza
e spese di giudizio.
Si costituiva in giudizio la Fondazione ENPAM, la quale insisteva
per il rigetto delle avverse domande, chiedendo l’integrale conferma
del provvedimento impugnato.
Con sentenza in data 15 gennaio 2007 la Corte di Appello Civile di
Roma rigettava il ricorso della Sgrulletti Costruzioni srl,

che il credito vantato dalla medesima corrispondeva a quello portato

compensando tra le parti le spese di lite.
Avverso il detto provvedimento ricorre per cassazione la Sgrulletti
costruzioni srl sulla base di quattro motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memorie. La ricorrente ha
altresì depositato note d’udienza.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione ad un fatto
controverso del giudizio poichè la Corte di merito non avrebbe
sufficientemente motivato in merito alla mancata sussunzione della
fattispecie de quo nella disciplina prevista dall’art. 1666 del codice
civile, in materia di appalti eseguiti e consegnati per partite.
Con il secondo motivo deduce la violazione degli articoli 1175, 1340,
1374 e 1375 del codice civile, poichè i doveri di buona fede,
correttezza e di cooperazione nell’esecuzione del contratto, relativi

Resiste con controricorso la Fondazione ENPAM.

all’equo contemperamento dei reciproci interessi in gioco, avrebbero,
comunque, imposto all’Ente di attivarsi in corso d’opera per
l’applicazione della disciplina di cui all’art. 1666 del codice civile.

cpc , avendo la Corte di Appello Civile di Roma recepito le
risultanze della CTU senza congrua motivazione, nonostante le
critiche espresse, nel corso del giudizio, dalla Sgrulletti medesima.
Infine, con l’ultimo motivo del ricorso, l’Impresa appaltatrice deduce
la violazione e falsa applicazione dell’art. 1664 e 1375 del codice
civile, esponendo come il collaudo non avrebbe dovuto avere
valenza di accertamento definitivo ed opponibile, non essendo
riscontrabile un criterio oggettivo per la stima delle opere e
ritenendo che, in siffatte circostanze, i doveri di buona fede e
correttezza in capo alle parti contraenti avrebbero imposto alla
stazione appaltante di adottare tutti quei comportamenti che
“indipendentemente dagli specifici obblighi contrattuali, siano
idonei a preservare gli interessi dell’appaltatore”.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell ‘art. 112

Il ricorso risulta ammissibile essendo stato lo stesso sottoscritto
dall’avv.to Bonaccio, cassazionista.
Il primo motivo del ricorso appare inammissibile.

dell’art 1666 c.c sulla base di un analisi e conseguente
interpretazione delle clausole contrattuali contenute sia nel capitolato
generale che in quello speciale che prevedevano che, a conclusione
dei lavori, questi dovevano essere sottoposti ad un unico collaudo
finale , il che faceva necessariamente escludere che nella specie
trattavasi di contratto d’appalto per partite.
Il motivo in esame censura tale motivazione sotto il profilo del vizio
di motivazione e non già sotto il profilo della violazione dei canoni
di interpretazione del contratto di cui agli art. 1362 e seguenti c.c.
Si rammenta a tale proposito che questa Corte ha ripetutamente
stabilito che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia
privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è
censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri
legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione,

La sentenza impugnata ha escluso l’applicabilità al caso di specie

qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da
non consentire il controllo del procedimento logico seguito per
giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni

regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei
canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle
considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonchè,
in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso,
con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia
del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza
abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il
contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del
diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La
denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece effettuata
mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero
delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio
di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione
dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da

ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle

un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che
questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal
giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per

dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in
astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più
interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto
l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità
del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra. ( ex plurimis Cass
4178/07).
Chiarito quanto sopra è di tutta evidenza che la sentenza impugnata
ha basato la propria decisione su un interpretazione delle disposizioni
contrattuali in ragione delle quali ha escluso l’applicabilità dell’art
1666 c.c al caso di specie.
Le censura mosse dalla impresa ricorrente si basano su una diversa
interpretazione delle clausole contrattuali.
Vengono a tale proposito citati e riportati gli articoli 43 e 47 del
capitolato generale nonché gli articoli 1,2 e 3 del capitolato speciale

sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data

da cui si prospetta una interpretazione difforme da quella fornita
dalla Corte d’appello.
Tutto ciò avviene però senza che venga in alcun modo dedotta la

c.c. , il che comporta necessariamente l’inammissibilità del motivo
sotto tale profilo.
Quanto al profilo specificatamente dedotto del vizio di motivazione,
per quel che poco che ne resta al di fuori della diversa prospettata
interpretazione delle norme, è agevole osservare che la motivazione
della Corte d’appello risulta del tutto coerente e basata sui dati
contrattuali per cui il motivo tende in realtà a prospettare
inammissibilmente una diversa valutazione degli elementi
processuali in tal modo investendo inammissibilmente il merito della
decisione.
Alle medesime conclusioni deve pervenirsi in ordine al secondo
motivo di ricorso con il quale si censura la lettura data dalla Corte
d’appello all’art 43 del capitolato generale di appalto.

violazione dei canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 e seguenti

Anche in questo caso infatti non viene prospettata alcuna violazione
dei canoni ermeneutici di interpretazione del contratto ma ci si limita
a prospettare una diversa lettura dell’articolo in questione investendo

Quanto poi alla censura proposta sotto il profilo della violazione
dell’art 1374 c.c ,che secondo il ricorrente obbligherebbe le parti non
solo in relazione a quanto da esso espressamente previsto ma anche a
tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge e l’equità,va
rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente
affermato che può darsi luogo all’integrazione del contratto, secondo
quanto previsto dall’art. 1374 cod. civ.,solo quando le parti non
abbiano disciplinato alcuni aspetti del rapporto, e non quando,
secondo l’insindacabile apprezzamento del giudice di merito che
abbia fatto corretto uso dei criteri di interpretazione del contratto, le
parti con le loro pattuizioni abbiano compiutamente ed univocamente
previsto il contenuto delle obbligazioni loro derivanti dal contratto
stesso e ne abbiano regolato gli effetti.( Cass 8577/02; Cass
6747/14).

così, ancora una volta, direttamente il merito della decisione.

Nel caso di specie,

essendo stata esclusa dalla sentenza

l’applicabilità dell’art 1666 c.c , il contratto risultava disciplinato in
modo completo in tutti i suoi aspetti e conseguentemente nessun

realtà, secondo la tesi prospettata dalla ricorrente, tale richiamo
avrebbe avuto come conseguenza una diversa interpretazione
sostanziale del contratto riportando lo stesso nella sfera di
applicazione dell’art 1666 c.c , invece già esclusa dalla sentenza.
Il terzo motivo, con cui si lamenta la violazione dell ‘art. 112 cpc ,
per avere la Corte di Appello di Roma omesso di pronunciarsi
sulle critiche espresse alla CTU con l’atto di appello, è infondato.
Invero la Corte territoriale si è pronunciata sul motivo di appello
così come lo stesso viene riportato nel ricorso che afferisce
sostanzialmente alla ricostruzione della contabilità fatta dal CTU
laddove questi si era basato sull’operato del collaudatore.
Sul punto la Corte d’appello si è pronunciata nei seguenti termini.
Alla stregua del contratto, dunque, la contabilità redatta nel corso
dell’esecuzione dei lavori non poteva essere considerata, come il

richiamo all’art 1374 c.c sarebbe stato adeguato anche perché in

dato definitivo quanto all’effettivo ammontare dell’importo dei
lavori e quindi del credito dell’appaltatore.
La diversa tesi propugnata dall’appellante si risolverebbe – come

L’attività del collaudatore è stata peraltro sostanzialmente
confermata dal CTU quanto alla metodologia adottata, anche se il
consulente tecnico è pervenuto ad un risultato più favorevole
all’impresa.
Non pare che la testimonianza del direttore dei lavori – come
ritenuto dall’appellante – possa indurre a diverse valutazioni post
egli stesso non ha escluso che la contabilizzazione effettuata in
corso d’opera potesse risentire di (o presentare ) alcune
imprecisioni. ….( omissis)
Peraltro, la stessa ditta non ha manifestato alcuna obiezione
all’avvio delle operazione di collaudo da parte dell’ing. Cipriani
rendendo palese che la stessa società ritenesse fisiologico e
tecnicamente possibile dar corso a quell’incombenza, che invece
non avrebbe avuto senso se l’ammontare dei lavori eseguiti

detto – in uno stravolgimento dei termini negoziali.

dovesse essere documentato dalla contabilizzazione del direttore
dei lavori, geom.Cesaretti”.

E’ di tutta evidenza che nessuna omessa pronuncia vi è stata sul

ricorrente.
Il quarto motivo ,con cui si contesta il mancato riconoscimento
della somma di lire 47 milioni da parte del collaudatore, fatto
proprio dal Consulente tecnico d’ufficio, è infondato.
In primo luogo, lo stesso è una derivazione del terzo motivo poiché
con esso si contesta un aspetto particolare della ricostruzione della
contabilità fatta dal CTU sulla base delle risultanze del collaudo e,
quindi, vale per tale aspetto quanto in precedenza detto per il
motivo che precede.
In secondo luogo, al censura, avanzata sotto il profilo della
violazione dell’art 1375 c.c, è infondata sulla base di quanto
esposto in relazione al secondo motivo.
Il ricorso va in conclusione respinto.

punto essendosi la Corte territoriale fatta carico delle critiche della

La ricorrente va di conseguenza condannata al pagamento delle spese
processuali liquidate come da dispositivo.
PQM

giudizio liquidate in euro 5000,00 oltre euro 200,00 per esborsi
ed oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di

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