Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10024 del 06/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 06/05/2011, (ud. 29/03/2011, dep. 06/05/2011), n.10024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.G., + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

avverso la sentenza n. 127/2006 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 23/11/2006, R.G.N. 58/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Trieste, depositato in data 21.7.2003, C.A., + ALTRI OMESSI premesso di essere risultate vincitrici di un concorso per 954 posti di operatore amministrativo, 5^ qualifica funzionale, indetto dal Ministero della Giustizia, e di aver sottoscritto il relativo contratto di lavoro, integrato con la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, esponevano che, avendo richiesto, dopo circa due anni dall’inizio del rapporto, in data 12.4.2001 e successivamente nel corso del 2002, la trasformazione dello stesso in rapporto a tempo pieno, avevano riscontrato il rigetto di tali domande da parte del Ministero interessato, che per contro aveva accolto altre analoghe domande presentate da colleghi con posizione di graduatoria deteriore.

Chiedevano pertanto la trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo pieno, con condanna del Ministero convenuto al risarcimento del danno consistente nelle differenze retributive e nelle ulteriori conseguenze di carattere non patrimoniale ed esistenziale subite.

Con sentenza n. 379/2004 depositata il 5.11.2004 il Tribunale adito accoglieva la domanda, limitando peraltro il risarcimento del danno alle sole differenze retributive.

Avverso tale sentenza proponeva appello il Ministero della Giustizia lamentandone la erroneita’ sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo; e proponevano altresi’ appello incidentale le originarie ricorrenti, lamentando il mancato integrale accoglimento delle domande proposte.

La Corte di Appello di Trieste, con sentenza in data 9.11 – 23.11.2006, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Ministero, escludeva, in relazione alle somme riconosciute alle dipendenti a titolo di risarcimento del danno, il cumulo fra rivalutazione monetaria ed interessi legali; rigettava gli ulteriori motivi di gravame proposti dal Ministero, e rigettava parimenti l’appello incidentale delle lavoratrici.

In particolare la Corte territoriale rilevava che erroneamente il Ministero interessato aveva ritenuto che la domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno si riferisse esclusivamente a determinati posti di lavoro dalle stesse indicati; ed erroneamente aveva affermato che nella fattispecie dovessero trovare applicazione gli accordi sindacali, intervenuti successivamente.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia con un motivo di impugnazione.

Le lavoratrici intimate non hanno svolto attivita’ difensiva.

Diritto

Col predetto ricorso il Ministero lamenta violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 4, del CCNL Comparto Ministeri 1998 – 2001, dei contratti collettivi integrativi sulla mobilita’ sottoscritti il 18.9.2003 ed il 25.3.2004.

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che le domande delle lavoratrici volte alla trasformazione del rapporto in rapporto a tempo pieno si riferissero a qualsiasi sede, mentre dal contenuto di tali domande si evinceva che la richiesta di “trasformazione” era limitata alle sedi espressamente indicate; e rileva che in relazione a tali sedi le domande delle interessate erano state presentate successivamente alla data di inoltro di analoga domanda da altri colleghi.

Osserva inoltre che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto non applicabili gli accordi integrativi sottoscritti a decorrere dal 18.9.2003 assumendo che le lavoratrici interessate non avrebbero aderito agli stessi, atteso che i contratti collettivi del settore pubblico hanno efficacia “generalizzata” per effetto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 4.

Rileva infine che erroneamente la Corte territoriale aveva condannato il Ministero al risarcimento del danno, consistente nel pagamento delle differenze retributive ove le ricorrenti avessero lavorato a tempo pieno, non avendo tenuto conto del fatto che in tale periodo le stesse non avevano concretamente impegnato le loro energie lavorative a favore dell’Amministrazione, essendo state tali energie rivolte alla cura di altri interessi.

Il ricorso non e’ fondato.

Osserva il Collegio che il ricorso proposto si fonda essenzialmente sulla interpretazione delle domande di trasformazione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, facendo il Ministero ricorrente derivare dalla proposta lettura delle stesse la limitazione delle domande a determinati posti di lavoro, espressamente indicati.

Orbene, sul punto e’ necessario innanzi tutto ricordare che, secondo un principio costituente diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realta’ storica e obiettiva, e’ tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito ed e’ censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica e per vizi di motivazione, qualora quella adottata sia contraria a logica e incongrua, tale, cioe’, da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Il sindacato di questa Corte non puo’, dunque, investire il risultato interpretativo in se’, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito.

Alla luce di tali principi il ricorso all’esame non puo’ trovare accoglimento ove si osservi che il ricorrente ha, in buona sostanza, prospettato un’interpretazione di tali domande diversa da quella ritenuta dal Giudice a quo, non considerando che il sindacato di questa Corte non puo’ dunque investire il risultato interpretativo in se’, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto demandati – per come detto – al giudice di’ merito, al quale e’ esclusivamente riservata l’indagine ermeneutica.

Ne’ puo’ ritenersi, al fine della configurabilita’ del vizio di motivazione atto a giustificare l’invocata cassazione della sentenza impugnata, che l’iter argomentativo presenti una mancanza di coerenza logica, e cioe’ sia connotato da un’assoluta incompatibilita’ razionale degli argomenti prospettati.

Ed invero la Corte territoriale ha rilevato, con motivazione assolutamente logica e coerente, che, contenendo la domanda una incondizionata richiesta di trasformazione dei rapporti in essere in rapporti a tempo pieno, senza alcuna indicazione dei posti desiderati o degli ambiti territoriali richiesti, “il fare presente la scopertura di certi posti non equivale(va) certo ad escludere un’eventuale scelta per altri”.

E pertanto la Corte territoriale ha rilevato, dando espressa ed esauriente contezza delle proprie determinazioni, come le domande proposte non contenessero alcuna specifica indicazione circa la sede di futura assegnazione, di talche’ il ricorso in atti si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito, proponendo in buona sostanza una inammissibile richiesta di sostituzione della prospettata diversa lettura ed interpretazione dell’atto posto in essere dalle lavoratrici alle argomentate conclusioni cui sono pervenuti i giudici d’appello.

Per le esposte considerazioni il ricorso sul punto deve essere respinto.

Del pari infondato e’ il rilievo concernente la omessa applicazione degli accordi integrativi. Trattasi invero di accordi stipulati a decorrere dal 18.9.2003, in ordine ai quali la Corte territoriale ha rilevato la pacifica inapplicabilita’ “ratione temporis”; e tale conclusione, a prescindere da ogni ulteriore rilievo circa la assenza di mandato a contrattare da parte delle interessate, appare corretto e decisivo, in considerazione del fatto che i rapporti di lavoro erano stati istaurati in precedenza e che le domande di “trasformazione” dei rapporti risalivano agli anni 2001 e 2002.

E’ infine inammissibile l’ulteriore rilievo concernente la dedotta erronea quantificazione del risarcimento del danno, sotto il profilo che nel periodo interessato le ricorrenti non avevano concretamente impegnato le loro energie lavorative a favore dell’Amministrazione.

Ed invero, in violazione del principio di autosufficienza, non risulta dal ricorso se la questione suddetta fosse stata sollevata, senza ottenere risposta, innanzi al giudice di primo grado ed al giudice di appello, circostanza questa che, connotando la questione di novita’, la rende inammissibile in questa sede.

E’ noto infatti che, ove una determinata questione giuridica, la quale implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’, per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di riscontrare la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa, senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che a tali atti facciano riferimento.

Ed invece, nel caso specie, il ricorrente nemmeno asserisce di aver trattato il tema in fase di gravame mentre, dall’impugnata sentenza, emerge che la questione risarcitoria era stata posta sotto il profilo, assolutamente diverso, della decorrenza (e quindi non della quantificazione) del chiesto risarcimento dalla data degli accordi sindacali nelle more intervenuti.

Il ricorso va di conseguenza rigettato.

Nessuna statuizione va adottata per quel che riguarda le spese relative al presente giudizio di cassazione, non avendo le intimate svolto alcuna attivita’ difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 29 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2011

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