Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10023 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/04/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 15/04/2021), n.10023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24767/2018 proposto da:

GAM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CHIANA 48, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato VINCENZO AGOSTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1079/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/06/2018 R.G.N. 1351/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per inammissibilità o

rigetto;

udito l’Avvocato FRANCESCO RONDINA, per delega verbale Avvocato

ANTONIO PILEGGI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 12 giugno 2018, la Corte di Appello di Catanzaro ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento impugnato da S.A. nei confronti della GAM S.p.a., condannando la società alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno nella misura pari alle retribuzioni globali di fatto dovute dal recesso all’effettiva reintegra, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.

2. La Corte ha rilevato che la S., sin dal ricorso introduttivo del giudizio, aveva dedotto che il recesso del rapporto di lavoro e la sua collocazione in mobilità le erano stati comunicati con telegramma del 29 luglio 2014 e aveva altresì “contestato la riferibilità del succitato telegramma al datore di lavoro”, chiedendo nelle conclusioni che fosse dichiarata “l’inefficacia del licenziamento” con le conseguenze determinate dalla “tutela cd. forte”, previste dalla legge proprio per la mancanza di forma scritta.

Secondo la Corte, “il datore di lavoro, contumace nella fase a cognizione sommaria, non solo non ha offerto alcun mezzo di prova atto a dimostrare la riferibilità ad esso del telegramma, quanto neppure ha mosso alcuna contestazione al rilievo della lavoratrice”. Quanto alla pretesa esistenza di un precedente provvedimento espulsivo comunicato con raccomandata a mani, la Corte ha ritenuto che il riferimento ad esso, contenuto nell’impugnativa stragiudiziale del licenziamento formulata dalla S., fosse “frutto di un mero errore materiale di redazione”.

Pertanto, richiamati precedenti di legittimità in ordine all’interpretazione dell’art. 2705 c.c., comma 1, i giudici d’appello hanno dichiarato l’inefficacia del recesso datoriale, con le pronunce reintegratorie e patrimoniali conseguenti.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso GAM Spa con 3 motivi; ha resistito con controricorso S.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112,414 e 437 c.p.c., per avere la Corte di Appello di Catanzaro ritenuto succintamente proposta in primo grado una domanda di accertamento della inesistenza del licenziamento da considerarsi intimato in forma orale”.

Si critica la sentenza impugnata affermando che la contestazione della riferibilità del telegramma alla società contenuta negli atti della ricorrente era “meramente incidentale e del tutto generica,… campata in aria, quale asserzione di mero stile legata alla forma di intimazione del licenziamento”.

2. La censura non può trovare accoglimento.

Per principio radicato nella giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione della domanda giudiziale e dei suoi confini è riservata al giudice del merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 31546 del 2019; Cass. n. 29609 del 2018; Cass. n. 18 del 2015, Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 12944 del 2012; Cass. n. 21208 del 2005) e non è sufficiente che l’interpretazione offerta dai giudici ai quali compete non corrisponda alle attese della parte per determinare la cassazione della sentenza impugnata, ove sia sorretta da adeguata motivazione (Cass. n. 14650 del 2012; Cass. 22893 del 2008; Cass. n. 14751 del 2007) ovvero, nel vigore dell’art. 360 c.p.c., novellato n. 5, da una motivazione che soddisfi – come nella specie – il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. 31546 del 2019).

In particolare il contenuto della domanda, così come di ogni circostanza rilevante ai fini del decidere, deve essere valutato sulla base di un esame complessivo dell’atto, senza arrestarsi all’uso di formule sacramentali o solenni, potendo perciò desumersi anche dalle deduzioni istruttorie e dalle produzione documentali (Cass. n. 17991 del 2018; Cass. n. 18783 del 2009; Cass. n. 7097 del 2012; Cass. n. 17076 del 2004; Cass. n. 607 del 1996).

Il giudice di merito, poi, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento concreto richiesto; egli incontra i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta ed il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati detti limiti o per vizio della motivazione (tra molte: Cass. n. 13602 del 2019; Cass. n. 21087 del 2015; Cass. n. 8225 del 2004).

Nella specie parte ricorrente si limita con il gravame a proporre una diversa interpretazione a sè favorevole rispetto a quella offerta dalla Corte territoriale, senza riuscire a dimostrare l’implausibilità di quest’ultima, considerato che la stessa si fonda su riferimenti testuali contenuti negli atti introduttivi della S. laddove si deduce: “telegramma 29.7.2014 la cui riferibilità alla convenuta con il presente atto si contesta” e, successivamente, “si rinnova la contestazione in merito alla riconducibilità alla società convenuta del telegramma 29.7.2014”.

3. Il secondo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, in relazione all’art. 2705 c.c. e all’art. 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata gravato la società dell’onere della prova della provenienza del telegramma del licenziamento a fronte di “contestazione” del tutto generica (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Sotto un distinto profilo: omesso esame di una circostanza decisiva comprovante la riferibilità alla società del licenziamento e cioè della lettera di impugnativa del licenziamento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

4. Le doglianze non possono essere condivise.

Quanto alla prima censura, la Corte non ha fatto altro che applicare il seguente principio di diritto: “La L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2, modificato dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 2, esige che il licenziamento sia comunicato per iscritto al lavoratore e tale onere di forma impone che l’atto con il quale sia stato intimato il recesso sia sottoscritto dal datore di lavoro (o dal suo rappresentante che ne abbia il potere generale o specifica procura scritta). Ne consegue che in caso di contestazione da parte del destinatario, il datore di lavoro che abbia intimato il licenziamento con telegramma ha l’onere di fornire la prova della ricorrenza delle condizioni poste dall’art. 2705 c.c., per l’equiparazione del telegramma alla scrittura privata e cioè che l’originale consegnato all’ufficio di partenza sia sottoscritto dal mittente, ovvero che in mancanza di sottoscrizione l’originale sia stato consegnato o fatto consegnare all’ufficio di partenza dal mittente” (Cass. n. 12256 del 2000, con la giurisprudenza ivi citata; v. poi Cass. n. 12091 del 2005).

Parte ricorrente non reca argomenti che contrastino il principio di diritto secondo cui è il datore di lavoro, in caso di contestazione da parte del destinatario, a dover fornire la prova della ricorrenza delle condizioni poste dall’art. 2705 c.c., ma si limita a denunciare che, nella specie, la contestazione circa la provenienza del telegramma sarebbe stata “nel caso del tutto generica, esplorativa ed incidentale”, con ciò diversamente opinando rispetto a quanto ritenuto nel merito dalla Corte territoriale ed invocando, nella sostanza, un sindacato inibito a questa Corte di legittimità.

In ordine, poi, all’omesso fatto decisivo che sarebbe rappresentato dalla lettera di impugnativa di licenziamento, è appena il caso di rilevare che la Corte territoriale, come riportato nello storico della lite, ha esplicitamente preso posizione su tale documento e, comunque, il motivo, per come formulato, non risulta rispettoso dei limiti imposti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), dei cui enunciati chi ricorre non tiene adeguato conto.

5. Per la stessa ragione risulta inammissibile il terzo mezzo con cui si lamenta “omesso esame di un documento decisivo e cioè della busta paga comprovante documentalmente come la odierna resistente fosse lavoratrice a tempo parziale”, con l’ulteriore rilievo che il vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve riguardare un fatto storico e non certo un documento, che attiene piuttosto al profilo probatorio dei fatti.

Inoltre la censura è anche inammissibile per il suo carattere di novità. Secondo giurisprudenza consolidata di questa S.C., qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, come accaduto nella specie, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004).

6. Conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente società, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro 5.250,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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