Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10023 del 06/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 06/05/2011, (ud. 29/03/2011, dep. 06/05/2011), n.10023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.L.M. ASSOCIAZIONE LAZIALE MOTULESI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, gia’ elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PRATI FISCALI 158, presso lo studio dell’avvocato COSTANTINO

GIOVANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato VRENNA EZIO, giusta

delega in atti e da ultimo domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GAVINANA

1, presso lo studio dell’avvocato CORAZZA LUISA, rappresentata e

difesa dall’avvocato PETRAGLIA FAUSTO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 145/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/05/2006, r.g.n. 5552/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato GIOVANNI COSTANTINO per delega EZIO VRENNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, depositato il 10.9.2001, M.M., premesso di aver lavorato alle dipendenze della A.L.M. – Associazione Laziale Motulesi – dal 14.2.2000 e di aver sottoscritto un contratto di assunzione a tempo indeterminato dal 15.2.2000, esponeva di essere stata licenziata in data 3.4.2000 per mancato superamento del periodo di prova. Rilevava la nullita’ del patto di prova in quanto sottoscritto successivamente all’inizio del rapporto di lavoro, e comunque la assoluta brevita’ del suddetto periodo di esperimento durante il quale non le erano state contestate mancanze di sorta. Chiedeva pertanto che venisse dichiarata, in conseguenza della nullita’ del patto di prova, la nullita’, inefficacia o invalidita’ del licenziamento intimatole, con condanna di parte convenuta alla reintegra nel posto di lavoro ed al consequenziale risarcimento del danno.

Con sentenza in data 7.2 / 13.3.2003 il Tribunale adito rigettava la domanda. In particolare il giudice di primo grado rilevava che dalla documentazione in atti era emerso che l’attivita’ lavorativa della ricorrente aveva avuto inizio il 16.2.2000, cioe’ successivamente al patto di prova sottoscritto il 15.2.2000, e riteneva congrua la durata del periodo di prova.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’originaria ricorrente lamentandone la erroneita’ sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 9.1 / 29.5.2006, in accoglimento del gravame, dichiarava la nullita’ del patto di prova di cui al contratto di assunzione in data 15.2.2000 e la illegittimita’ del licenziamento intimato con nota del 3.4.2000; di conseguenza ordinava la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro e condannava la Associazione appellata a risarcimento del danno nella misura che espressamente determinava.

In particolare la Corte territoriale evidenziava che l’accordo tra le parti era stato gia’ raggiunto in data 14.2.2000, allorche’ la M. si era recata sul posto di lavoro, per come risultava tra l’altro dal contratto in data 15.2.2000 – con il quale era stata operata la formalizzazione dell’accordo gia’ esistente – in cui si rilevava che il rapporto di lavoro aveva avuto inizio il 14.2.2000;

di conseguenza il patto di prova, inserito nel predetto contratto del 15.2.2000, doveva ritenersi nullo in quanto stipulato successivamente all’iniziale accordo tra le parti, con conseguente conversione dell’assunzione con patto di prova in assunzione definitiva a tempo indeterminato.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione l’Associazione Laziale Motulesi con un motivo di impugnazione.

Resiste con controricorso la lavoratrice intimata.

L’Associazione ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col predetto motivo di ricorso l’Associazione ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per errata valutazione di elementi di fatto ed omesso esame di risultanze istruttorie (art. 360 c.p.c., n. 5). Violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1326 e 2729 c.c.). Decisione irragionevole e viziata da illogicita’.

In particolare rileva la ricorrente che la Corte territoriale aveva travisato gli atti processuali e le relative risultanze istruttorie affermando erroneamente che il consenso tra le parti in ordine alla istaurazione del rapporto di lavoro in questione sarebbe intervenuto il 14.2.2000, mentre dagli elementi in atti (lettera di assunzione in data 15.2.2000 e fogli di presenza sottoscritti dalla M.) risultava che l’accordo contrattuale era stato raggiunto il 15.2.2000 e che l’attivita’ lavorativa aveva avuto inizio il successivo 16.2.2000; ed aveva disatteso il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui, pacifica l’affermazione che il patto di prova deve essere anteriore o quanto meno coevo all’inizio del rapporto di lavoro, tale termine di riferimento andava individuato non nella stipula del contratto di lavoro bensi’ nell’inizio dell’esecuzione del rapporto stesso. Ed erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto, in violazione del disposto dell’art. 1362 c.c., l’esistenza di un accordo verbale tra le parti, completo in tutti i suoi elementi essenziali, in data 14.2.2000, pur in assenza di qualsiasi prova dell’esistenza di una vera e propria proposta contrattuale e di una relativa accettazione, contenenti entrambe tutti gli elementi essenziali per la valida costituzione del rapporto di lavoro.

Il ricorso e’ infondato.

In particolare, con riferimento alla censura concernente violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, osserva il Collegio che, trattandosi di ricorso avverso una sentenza pubblicata il 29 maggio 2006, ad esso si applica, ratione temporis, l’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ed applicabile, ex art. 27 del predetto decreto legislativo, ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006). Tale articolo, successivamente abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), ma applicabile nella fattispecie in esame, dispone che “nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto”.

Nell’interpretazione di tale norma questa Corte (ex plurimis: Cass. SS.UU., 5.1.2007 n. 36; Cass., SS.UU., 28.9.2007 n. 20360; Cass. SS.UU., 12.5.2008 n. 11650; Cass. SS.UU., 17.7.2007 n. 15959) ha rilevato come la stessa ponga espressamente a carico di parte ricorrente l’onere di formulare, in maniera consapevole e diretta, rispetto a ciascuna censura, una conferente sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimita’, sicche’ dalla risposta (positiva o negativa), che al quesito medesimo deve essere data, possa derivare la soluzione della questione circa la corrispondenza delle ragioni dell’impugnazione ai canoni indefettibili della corretta applicazione della legge, restando, in tal modo, contemporaneamente soddisfatti l’interesse della parte alla decisione della lite e la funzione nomofilattica propria del giudizio di legittimita’.

A siffatto onere non ha ottemperato nel caso di specie parte ricorrente, sicche’ il ricorso dalla stessa proposto va, sul punto, ritenuto inammissibile.

In relazione alle censure afferenti all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, osserva la Corte che il dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ la sola facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, in quanto e’ del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilita’ per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa.

Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi, sia di fatto che di diritto. Quanto, poi, al vizio di contraddittoria motivazione, questo presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioe’ l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. sez. 1^, 26.1.2007 n. 1754; Cass. sez. 1^, 21.8.2006 n. 18214; Cass. sez. lav., 20.4.2006 n. 9234; Cass. sez. trib., 1.7.2003 n. 10330; Cass. sez. lav., 9.3.2002 n. 3161; Cass. sez. 3^, 15.4.2000 n. 4916).

E sul punto deve altresi’ ribadirsi l’indirizzo consolidato in base al quale la valutazione delle varie risultanze probatorie involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice de merito, il quale nell’adottare la propria statuizione, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Cass. sez. lav., 20.3.2008 n. 7600; Cass. sez. lav., 8.3.2007 n. 5286; Cass. sez. lav., 15.4.2004 n. 7201; Cass. sez. lav., 7.8.2003 n. 11933;

Cass. sez. lav., 9.4.2001 n. 5231).

In altri termini, il controllo di logicita’ del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimita’ – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’ il quale deve limitarsi a verificare se siano stati dal ricorrente denunciati specificamente – ed esistano effettivamente – vizi (quali, nel caso di specie, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) che, per quanto si e’ detto, siano deducibili in sede di legittimita’.

Orbene nel caso di specie la Corte territoriale, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede di legittimita’, ha ritenuto che il rapporto di lavoro tra le parti avesse avuto inizio il 14.2.2000, argomentando tale conclusione (a) dalla circostanza, altrimenti non spiegabile, che il contratto di lavoro del 15.2.2000 aveva fatto retroagire l’inizio del rapporto al giorno precedente; (b) dal rilievo che la predetta data del 14.2.2000, quale data di assunzione, risultava anche dalle buste paga e dalla comunicazione alla Sezione Circoscrizionale per l’Impiego; (c) dall’ulteriore rilievo che la ricorrente, gia’ in tale data, si era recata presso le strutture del centro riabilitativo.

E pertanto, dal momento che il giudice di merito ha illustrato le ragioni che rendevano pienamente contezza del proprio convincimento esplicitando l’iter motivazionale attraverso cui lo stesso era pervenuto alla scelta ed alla valutazione delle risultanze probatorie poste a fondamento della propria decisione, resta escluso il controllo sollecitato in questa sede di legittimita’.

In conclusione, il motivo si risolve in parte qua in un’inammissibile istanza di riesame della valutazione del giudice d’appello, fondata su tesi contrapposta al convincimento da esso espresso, e pertanto non puo’ trovare ingresso (Cass. sez. lav., 28.1.2008 n. 1759).

Ulteriori elementi fattuali richiamati dalle parti, quale la sottoscrizione dei fogli di presenza da parte della lavoratrice solo a decorrere dal 16.2.2000, sono comunque privi del carattere della decisorieta’.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Segue a tale pronuncia la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 29 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2011

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