Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10022 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 28/05/2020), n.10022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18388-2018 proposto da:

S.R., S.F., C.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GERARDO BRASILE;

– ricorrenti –

contro

S.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIAMPIETRO DELL’ELCE;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 728/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 02/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

S.F., S.R. e C.G.C. proposero opposizione avverso il decreto con il quale il Tribunale di Lanciano aveva loro ingiunto il pagamento, in favore di S.N., della somma di Euro 8.750,00, quale saldo dell’obbligazione assunta con scrittura privata del (OMISSIS).

A sostegno dell’opposizione dedussero di avere adempiuto alla detta obbligazione, così come risultava dalla scrittura intercorsa tra le parti in data (OMISSIS).

Si costituì S.N., sostenendo (tra l’altro) di non avere rilasciato alcuna quietanza liberatoria.

Il Tribunale di Lanciano accolse l’opposizione.

Con sentenza 684/2017 del 2-5-2017 la Corte d’Appello di L’Aquila, in accoglimento del gravame proposto da S.N., ha confermato integralmente l’opposto decreto ingiuntivo; in particolare ha evidenziato che la scrittura privata del (OMISSIS), che testualmente recitava “acconto come titolo caparra confirmatoria di Euro 8.750,00”, era priva della fondamentale attestazione dell’avvenuto ricevimento della somma, sicchè la stessa, non dandosi atto di alcun pagamento, non poteva in alcun modo essere considerata come “quietanza”; la Corte ha poi soggiunto che in ogni modo gli opponenti non avevano comunque dato prova dell’avvenuto adempimento (v. teste G., che aveva dichiarato che la detta somma non era stata materialmente versata)

Avverso detta sentenza S.F., S.R. e C.G.C. propongono ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo.

S.N. resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del ricorso principale.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli artt. 1199,1385, 1362 e 1363 c.c., nonchè “omessa qualificazione come quietanza della scrittura del (OMISSIS)”, sostengono di avere dimostrato, attraverso l’allegazione della scrittura (OMISSIS) redatta di pugno e sottoscritta da S.N., l’avvenuto pagamento della somma in questione; nella detta scrittura, invero, si attestava, seppur non con formule sacramentali, il versamento di un “acconto come titolo caparra confirmatoria di Euro 8.750,00”, sicchè la stessa non poteva non costituire un atto di quietanza, con conseguente valore di confessione stragiudiziale; irrilevante era invece che la somma in questione fosse stata materialmente versata o invece trattenuta da S.N. in luogo della sua restituzione a Sc.Fa..

Il motivo è inammissibile, in quanto, sub specie di violazione di legge, si risolve in una critica alla interpretazione della Corte territoriale sul tenore e sul contenuto della scrittura (OMISSIS) e sull’insussistenza di prova dell’avvenuto pagamento della somma in questione; critica fondata su una diversa interpretazione data alla detta scrittura dai ricorrenti, senza alcuna denunzia di violazione di specifiche regole ermeneutiche, e quindi (come tale) inammissibile in sede di legittimità; nello specifico, infatti, i ricorrenti si sono limitati a denunciare formalmente la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., senza tuttavia in alcun modo precisare le ragioni per le quali le dette norme sarebbero state violate dalla Corte territoriale; lo stesso criterio dell’esegesi secondo buona fede è richiamato, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, riproducendo la scrittura in modo generico ed evocando documenti non riprodotti.

Come infatti ripetutamente affermato da questa S.C., “l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e seguenti. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali” (Cass. 27136/2017; conf. Cass. 2465/2015, Cass. 14355/2016).

La censura, come formulata, tende in ultima analisi a riconoscere alla scrittura in questione valore di prova dell’avvenuto versamento, e quindi di quietanza, senza tuttavia indicare quali regole ermeneutiche sarebbero state violate dalla Corte, che, contrapponendosi a quanto in senso contrario sostenuto dai ricorrenti, ha ritenuto, in ragione della mancanza nella scrittura di ogni attestazione di avvenuto pagamento, di non riconoscere alla stessa valore di quietanza.

Il ricorso principale va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente assorbimento di quello incidentale condizionato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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