Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10020 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10020 Anno 2015
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

SENTENZA

pubblico

sul ricorso proposto da
ASTALDI S.P.A., in proprio e nella qualità d’impresa mandataria dell’ASSOCIAZIONE TEMPORANEA D’IMPRESE costituita con il CONSORZIO COOPERATIVE COSTRUZIONI SOC. COOP. A R.L., la FIORONI SISTEMA S.P.A. e
la SIPES S.P.A., elettivamente domiciliata in Roma, al corso Vittorio Emanuele II
n. 269, presso l’avv. prof. ROMANO VACCARELLA, dal quale, unitamente agli

avv. prof. ACHILLE SALETTI e MARCO ANNONI, è rappresentata e difesa in
virtù di procura speciale a margine del ricorso
RICORRENTE

contro
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del
Ministro p.t., domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale è rappresentato e difeso per

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t

Data pubblicazione: 15/05/2015

legge
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE
I

e

mente domiciliata in Roma, alla via del Tempio di Giove n. 21, presso l’AVVOCATURA COMUNALE, unitamente all’avv. NICOLA SABATO, dal quale è
rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del controricorso
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 147/11, pubblicata il 17
gennaio 2011.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 gennaio
2015 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;
udito l’avv. Annoni per la ricorrente e l’avv. Sabato per Roma Capitale;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Lucio CAPASSO, il quale ha concluso per la dichiarazione di nullità della
sentenza impugnata, con il conseguente assorbimento delle censure proposte.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — La Astaldi S.p.a., in proprio e nella qualità di mandataria dell’associazione temporanea d’imprese costituita con l’Italstrade S.p.a, il Consorzio Coopera4

tive Costruzioni Soc. Coop. a r.1., la Fioroni S.p.a. e la Sipes S.p.a., convenne in

o

giudizio il Ministero dei lavori pubblici ed il Provveditorato regionale alle opere
pubbliche del Lazio, per sentir pronunciare la risoluzione per inadempimento del
n

contratto d’appalto stipulato con verbale di licitazione privata del 26 maggio 1997,
avente ad oggetto la progettazione esecutiva del sottopasso di Castel Sant’Angelo
in Roma, con la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, e per sentir ac-

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ROMA CAPITALE (già Comune di Roma), in persona del Sindaco p.t., elettiva-

certare in subordine la responsabilità precontrattuale dei convenuti, con la condanna al risarcimento dei danni.
A sostegno della domanda, espose che il progetto esecutivo, nella versione

ture archeologiche che avevano imposto l’ubicazione dell’opera ad una quota inferiore a quella originariamente prevista, era stato completato nel termine previsto
ed integrato secondo le prescrizioni impartite dal Consiglio Superiore dei Lavori
Pubblici, nonché trasmesso al Provveditorato regionale; quest’ultimo, tuttavia, non
aveva proceduto all’approvazione, essendo nel frattempo intervenuto un provvedimento della Commissione per Roma Capitale, con cui era stato disposto il definanziamento dell’opera progettata, a seguito del quale il Provveditorato aveva manifestato la volontà di non dare ulteriore esecuzione al contratto, predisponendo la
chiusura contabile dei lavori relativi agli scavi archeologici eseguiti.
Costituitisi in giudizio, il Ministero ed il Provveditorato eccepirono, tra l’altro, il difetto di legittimazione passiva e l’inesistenza del contratto d’appalto.
Nel corso del giudizio, fu autorizzata la chiamata in causa del Comune di
Roma, nei confronti del quale l’attrice propose, in via subordinata, le medesime
domande già avanzate nei confronti dei convenuti.
1.1. — Con sentenza del 14 marzo 2005, il Tribunale di Roma dichiarò il di,

fetto di legittimazione passiva del Comune di Roma ed accolse la domanda propo,

sta nei confronti del Ministero, dichiarando il contratto risolto per inadempimento
dello stesso e condannandolo al pagamento della somma di Euro 20.089.521,70,
2

oltre interessi al tasso del 4% annuo dal 1° marzo 1998 alla data di pubblicazione

,.,

della sentenza su Euro 18.727.240,62, ed interessi legali con decorrenza dalla seconda data.

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definitiva risultante dalle modifiche introdotte a seguito del ritrovamento di strut-

2. — L’impugnazione proposta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, succeduto al Ministero per i lavori pubblici, è stata accolta dalla Corte di
Appello di Roma, che con sentenza del 17 gennaio 2011 ha rigettato le domande

da quest’ultima ed assorbito quello condizionato proposto dal Comune di Roma.
A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto confermato che gli effetti giuridici del contratto erano imputabili al Ministero, richiamando l’art. 1,
comma nono, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 551, convertito con modificazioni dalla legge 23 dicembre 1996, n. 651, il quale, nel consentire ai soggetti previsti dal comma terzo del medesimo articolo di attribuire con apposite convenzioni le funzioni di stazione appaltante al Provveditorato regionale, prevedeva una
generale facoltà di delega delle funzioni amministrative relative all’affidamento
degli appalti, il cui esercizio comportava l’attribuzione al delegato del potere di
agire, nei rapporti con i terzi, in nome proprio, e non già come rappresentante del
delegante.
Tanto premesso, la Corte ha tuttavia ritenuto che il vincolo contrattuale tra le
parti non si fosse perfezionato, non essendo stato dedotto né provato che all’aggiudicazione della gara d’appalto avesse fatto seguito l’approvazione del relativo
verbale da parte del Ministero, prevista dall’ad. 19 del regio decreto 18 novembre
1923, n. 2440, la quale opera come condicio juris sospensiva dell’efficacia del
contratto, con la conseguenza che, in mancanza della stessa, il contratto non è più
eseguibile, ma il comportamento dell’Amministrazione, la quale abbia preteso ugualmente l’adempimento della prestazione, può dar luogo a responsabilità precontrattuale.
Ciò posto, e rilevato che nelle conclusioni della comparsa di costituzione in

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proposte dall’Astaldi, dichiarando inammissibile il gravame incidentale proposto

e
iir

appello l’attrice aveva riprodotto la domanda subordinata di accertamento della
predetta responsabilità, la Corte ha ravvisato nella riproposizione di tale domanda
un appello incidentale implicito, ammissibile sotto il profilo formale, in quanto

posito della comparsa all’udienza di prima comparizione, anziché nel termine fissato per la costituzione del convenuto dall’art. 166 cod. proc. civ., richiamato dallo
art. 343, primo comma.
3. — Avverso la predetta sentenza l’Astaldi ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il Ministero e Roma Capitale (già Comune di Roma) hanno resistito con controricorsi, proponendo ricorsi
incidentali condizionati, il primo articolato in cinque motivi ed il secondo in sette
motivi, illustrati con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di nullità della sentenza impugnata, per difetto del requisito prescritto dall’art. 132, terzo comma, cod. proc.
civ., sollevata dal Procuratore generale in riferimento all’avvenuta sottoscrizione
del provvedimento da parte del solo relatore, non coincidente con il presidente del
collegio giudicante.
Le Sezioni Unite di questa Corte, componendo un contrasto di giurisprudenza
insorto tra le Sezioni semplici, hanno infatti affermato che la sentenza emessa dal
giudice in composizione collegiale che risulti priva di una sola delle due sottoscrizioni prescritte dall’art. 132, quarto comma, cit. non è affetta da una nullità assoluta ed inemendabile, tale da imporre la rimessione della causa al giudice che l’ha
pronunciata, ma da una nullità sanabile ai sensi dell’art. 161, primo comma, cod.
proc. civ.: si tratta infatti di un’omissione normalmente dovuta ad una banale di-

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non soggetto a particolari requisiti, ma tardivo, in quanto proposto mediante il de-

menticanza, che, non comportando la mancanza, ma solo l’insufficienza della sottoscrizione, non esclude l’ascrivibilità del provvedimento al giudice che l’ha pronunciato, e pertanto, in ossequio ai principi di razionalità e ragionevole durata del

rimedi (cfr. Cass., Sez. Un., 20 maggio 2014, n. 11021).
La mancata attivazione di tali rimedi impedisce, nella specie, la declaratoria
del vizio denunciato dal Pubblico Ministero, risultando la nullità sanata per effetto
della mancata proposizione di specifiche censure ad opera delle parti, che esclude
la rilevabilità dell’omissione ed il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello per un riesame della causa nel merito.
2. — Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. e degli artt. 115 e
116 cod. proc. civ., sostenendo che, nel ritenere non provata l’intervenuta approvazione del contratto d’appalto, ai fini della pronuncia in ordine alla domanda di
risoluzione per inadempimento, la sentenza impugnata non ha considerato che tale
circostanza doveva ritenersi pacifica, in quanto esplicitamente ammessa dal Ministero, con il conseguente esonero di essa attrice dalla relativa prova. L’avvenuto
perfezionamento del contratto emergeva peraltro anche da una pluralità d’indizi,
non presi in considerazione dalla Corte di merito, e segnatamente dalla modifica
del progetto esecutivo disposta dal Provveditorato successivamente al decreto di
approvazione e dall’intervenuta approvazione del progetto da parte del Consiglio
Superiore dei Lavori Pubblici, nonché dalla chiusura contabile dei lavori disposta
dallo stesso Provveditorato.
3. — Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la

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processo, si converte in motivo d’impugnazione, da farsi valere con gli ordinari

Corte di merito non ha spiegato le ragioni per cui, nonostante l’esplicita ammissione del Ministero, ha escluso l’intervenuta approvazione del contratto d’appalto,
non potendo ritenersi sufficiente, a tal fine, l’affermazione che la predetta appro-

tale impegno a determinare l’insorgenza del vincolo contrattuale.
4. — I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto
profili diversi della medesima questione, sono infondati.
L’approvazione ministeriale alla quale l’art. 19 del regio decreto n. 2440 del
1923 subordina l’efficacia dei contratti conclusi dalla Pubblica Amministrazione
(nonché, nel caso in cui la stipulazione abbia luogo a mezzo di pubblico incanto o
licitnione privata, quella degli atti di aggiudicazione definitiva, che equivalgono
ad ogni effetto al contratto), si distingue infatti dal provvedimento con cui sia stato preventivamente autorizzato l’impegno di spesa: quest’ultimo, come si evince
dall’art. 104, secondo comma, del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827, è certamente indispensabile ai fini dell’approvazione, ma non ne esaurisce la funzione,
riguardando esclusivamente lo stanziamento dei fondi necessari per la realizzazione dell’opera, e non estendendosi né al riscontro della regolarità del procedimento
seguito per l’affidamento dei lavori né alla valutazione della convenienza del programma negoziale concordato, che costituiscono oggetto del controllo successivo
(cfr. Cass., Sez. I, 4 marzo 1987, n. 2255; Cons. Stato, Sez. IV, 14 luglio 1978, n.
973). Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, dato
atto del mancato rilascio dell’approvazione, ha ritenuto inefficace l’aggiudicazione
P

pronunciata in favore della società ricorrente, senza tener conto delle ammissioni
contenute negli atti difensivi dei convenuti, le quali non potevano assumere alcun
rilievo ai fini della dimostrazione dell’avvenuto perfezionamento del vincolo con-

NRG 18481-I I Astaldi Spa-Min Infrastrutture e Roma Capitale – Pag. 7

vazione riguardava soltanto l’impegno di spesa, in quanto è proprio l’assunzione di

trattuale, in quanto, come riferisce la stessa ricorrente, avevano ad oggetto esclusivamente l’intervenuta autorizzazione dell’impegno di spesa.
La natura stessa dell’evento al quale è subordinata l’efficacia dell’aggiudica-

traverso la valutazione degli elementi indiziari indicati dalla ricorrente, richiedendosi, ai fini della verificazione della condicio juris prevista dall’art. 19 cit., un
provvedimento espresso, adottato dall’organo ministeriale competente nella forma
solenne prescritta dalla legge, la cui esistenza non può essere quindi desunta dalla
condotta dell’Amministrazione. Poiché, infatti, gli atti giuridici per i quali è richiesta una determinata forma ad substantiam sono nulli, e quindi giuridicamente irrilevanti, se non rivestono la forma prescritta dalla legge, la prova della loro esistenza e dei diritti che ne scaturiscono postula necessariamente la produzione in
giudizio del relativo documento, che non può essere sostituita da altri mezzi probatori e neanche dal comportamento processuale delle parti, che abbiano concordemente ammesso, anche implicitamente, l’esistenza del diritto costituito con l’atto
non esibito (cfr. Cass., Sez. II, 14 dicembre 2009, n. 26174; 2 gennaio 1997, n. 2;
2 febbraio 1995, n. 1249).
5. — Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 346 cod.
proc. civ. e la falsa applicazione dell’art. 343 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, proposta in via subordinata.
Premesso che tale domanda, espressamente avanzata nell’atto di citazione in primo grado e ribadita all’udienza di precisazione delle conclusioni, era stata ritenuta
assorbita dal Giudice di primo grado, per effetto dell’accoglimento di quella principale, afferma che, ai fini della reiterazione in sede di gravame, non era necessa-

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zione esclude poi la possibilità di accertarne l’avveramento in via presuntiva, at-

rio l’appello incidentale, risultando sufficiente la mera riproposizione della domanda nella comparsa di costituzione, ai sensi dell’art. 346 cit., per la quale non è
previsto alcun termine di decadenza.

Non può condividersi l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la domanda di risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale,
già avanzata in primo grado e ritenuta assorbita per effetto dell’intervenuto accoglimento di quella fondata sulla responsabilità contrattuale dell’Amministrazione,
avrebbe dovuto essere riproposta nel rispetto del termine di cui all’art. 166 cod.
proc. civ., richiamato dall’art. 343, primo comma, cod. proc. civ., in quanto, essendo fondata su un titolo diverso da quello dedotto a sostegno della domanda accolta dalla sentenza impugnata, la sua riproposizione non si configurava come mera reiterazione di un’eccezione, ma come un appello incidentale, la cui formulazione, pur potendo essere effettuata in modo implicito, non poteva aver luogo mediante comparsa depositata all’udienza di prima comparizione delle parti. Qualora
infatti, come nella specie, il giudice di primo grado abbia accolto la domanda
principale senza esaminare quella subordinata, ritenendola assorbita, la parte vittoriosa, non potendo essere ritenuta soccombente in ordine a tale domanda, non è
soggetta all’onere di proporre impugnazione incidentale per ottenerne l’esame da
parte del giudice di appello, ma può limitarsi a richiamarla espressamente in qualsiasi scritto del giudizio di secondo grado, in modo da evitare la presunzione di
rinuncia prevista dall’art. 346 cod. proc. civ., purché entro l’udienza di precisazione delle conclusioni (cfr. Cass., Sez. III, 19 luglio 2005, n. 15223; 19 novembre
A

2001, n. 14458; Cass., Sez. II, 30 dicembre 2004, n. 24182). Non può considerarsi
pertinente, in contrario, il richiamo al precedente giurisprudenziale citato nella

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5.1. — Il motivo è fondato.

sentenza impugnata, il quale, nell’escludere la possibilità d’invocare in appello la
responsabilità precontrattuale, in luogo di quella contrattuale prospettata a sostegno della pretesa fatta valere in primo grado, si riferisce alla diversa ipotesi in cui

grado, e comunque non si occupa in alcun modo della forma e dei termini in cui
essa dev’essere formulata (cfr. Cass., Sez. II, 17 marzo 1994, n. 2544).
6. — Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, il cui esame è
imposto dal parziale accoglimento del ricorso principale, il Ministero denuncia la
violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, comma nono, del decreto-legge n.
551 del 1996, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la
legittimazione passiva del Comune. Sostiene infatti che l’attribuzione delle funzioni di stazione appaltante prevista dalla predetta disposizione non integra una
delegazione amministrativa, ma un incarico da svolgere in qualità di nudus mini-

ster, per effetto del quale l’ente assegnatario delle predette funzioni non agisce in
nome proprio, e non assume quindi la veste di parte del contratto d’appalto.
7. — Con il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente al primo, in
quanto riflettente la medesima problematica, il Ministero deduce l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel ritenere configurabile una delegazione amministrativa tra enti diversi, la sentenza
impugnata non ha tenuto conto di una pluralità di elementi risultanti dalla convenzione stipulata con il Comune, da cui emergeva l’avvenuto conferimento di un mero incarico da svolgere in qualità di nudus minister, quali il ripetuto riferimento al
mero conferimento delle funzioni di stazione appaltante, la sottoposizione del
progetto all’approvazione del Comune, l’attribuzione a quest’ultimo di poteri di vigilanza e l’imposizione a suo carico dell’obbligo di pagare i certificati relativi agli

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la predetta domanda sia stata proposta per la prima volta nel giudizio di secondo

stati di avanzamento dei lavori.
8. — I due motivi sono fondati.
A fondamento dell’individuazione del Ministero quale soggetto passivo della

rapporto intercorrente tra il Comune ed il Provveditorato alle Opere pubbliche
come delega delle funzioni amministrative concernenti l’affidamento dell’appalto,
richiamando l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in tema
di opere pubbliche, secondo cui la predetta fattispecie comporta il conferimento,
da parte dell’ente investito in via originaria della competenza a provvedere in una
determinata materia, del relativo potere ad un altro soggetto, il quale agisce, nei
rapporti esterni, in nome proprio e non già come rappresentante del delegante, divenendo pertanto, nei confronti dei terzi, unico titolare delle situazioni soggettive
attive e passive correlate all’esercizio delle attribuzioni delegate, e rispondendo
conseguentemente delle obbligazioni ad esso connesse (cfr. ex plurimis, Cass.,
Sez. I, 9 ottobre 2012, n. 17199; 2 luglio 2007, n. 14973; Cass., Sez. III, 15 luglio
2009,n. 16470).
Nonostante l’espresso richiamo all’art. 1, comma nono, del decreto-legge n.
551 del 1996, la ricostruzione della fattispecie compiuta dalla Corte di merito non
appare rispettosa della disciplina dettata da tale disposizione, la quale, nel consentire alle Amministrazioni ed agli enti pubblici, nonché alle società a capitale interamente o prevalentemente pubblico, beneficiari dei finanziamenti per la realizzazione delle iniziative connesse alla celebrazione del Giubileo dell’armo 2000, di
avvalersi del Provveditorato regionale alle opere pubbliche per la progettazione e
2

l’esecuzione delle opere previste dal piano degl’interventi adottato ai sensi del
comma secondo, precisava che al predetto ufficio potevano essere attribuite le

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pretesa azionata dalla società attrice, la sentenza impugnata ha infatti qualificato il

funzioni di «stazione appaltante», mediante la stipulazione di «apposite convenzioni». In riferimento ad ipotesi analoghe, come quella contemplata dagli artt. 27 e
30 della legge 14 febbraio 1963, n. 60, questa Corte ha avuto infatti modo di chia-

pubblico interesse spettante alla competenza di un ente diverso, che comporti l’assunzione da parte dell’esecutore della veste di stazione appaltante, non si configura come una delegazione amministrativa intersoggettiva, in virtù della quale l’ente
delegato è legittimato ad operare nei confronti dei terzi in nome proprio, nell’ambito di una competenza propria e con piena autonomia e responsabilità, ma dà
luogo ad un fenomeno di collaborazione tra enti nell’esecuzione di opere pubbliche, nell’ambito del quale la stipulazione di contratti di appalto con i terzi non si
traduce solitamente nell’assunzione della veste di committente da parte della stazione appaltante, chiamata invece ad agire come ente prescelto per la realizzazione dell’intervento programmato, e dunque in qualità di nudus minister dell’ente
competente, privo di poteri esterni idonei a consentirne l’individuazione quale
controparte sostanziale dell’appaltatore. La pluralità delle forme in cui si può manifestare la predetta collaborazione esclude peraltro la possibilità di attribuire a tale qualificazione una portata assoluta, trattandosi piuttosto di una regola generale
ed astratta che può subire deroghe nelle singole fattispecie applicative, in relazione alla qualità o all’ampiezza dei poteri attribuiti agli enti cooperanti dalla legge o
dall’atto amministrativo, i quali possono essere circoscritti al mero compimento
degli adempimenti materiali necessari per la realizzazione dell’intervento, oppure
2

estendersi fino a ricomprendere la delega con effetti esterni del potere di contratta-

a

re con i terzi e di assumere gli obblighi derivanti dagli atti posti in essere, incluso
quello di pagare il corrispettivo dell’appalto (cfr. Cass., Sez. 1, 21 luglio 2004, n.

• NRG 18481-11 Astaldi Spa-Min Infrastrutture e Roma Capitale – Pag. 12

rire che l’attribuzione del compito di provvedere alla realizzazione di un’opera di

13513). La flessibilità degli strumenti applicativi dev’essere a maggior ragione riconosciuta nella fattispecie in esame, avuto riguardo all’essenzialità della disciplina dettata dall’art. 1 del decreto-legge n. 551 del 1996, il quale non individuava

laborazione tra l’ente competente ed il Provveditorato, ma ne demandava la determinazione ad un’apposita convenzione, limitandosi a prevedere che la stessa
poteva estendersi anche alla fase della progettazione, e riservando al Ministro dei
lavori pubblici soltanto il compito di assicurare il monitoraggio e la vigilanza sulla
esecuzione delle opere di competenza dello Stato e di quelle i cui progetti erano
assoggettati al parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Anche in riferimento agl’interventi in esame, dev’essere pertanto ribadito il principio, già enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alle altre ipotesi precedentemente richiamate, secondo cui la titolarità passiva dei rapporti inerenti alla realizzazione delle opere non può essere determinata in base all’astratta previsione di legge, che rimette alla discrezionalità delle Amministrazioni interessate la determinazione dei compiti e dei poteri concretamente spettanti alla stazione appaltante, ma
dev’essere accertata attraverso un’indagine svolta caso per caso, verificando i
compiti, i poteri e gli obblighi attribuiti di volta in volta all’uno o all’altro degli enti cooperanti, e quindi l’ampiezza del conferimento di attribuzioni risultante dalla
convenzione.
Tale principio non può ritenersi correttamente osservato dalla sentenza impugnata, la quale, ai fini dell’individuazione dei poteri attribuiti al Provveditorato re.•■••

a

gionale alle Opere Pubbliche, si è limitata a fare riferimento all’art. 1, comma nono, del decreto-legge n. 551 del 1996, desumendo dalla lettera di tale disposizione
l’avvenuto conferimento di una delega amministrativa, idoneo a legittimare il pre-

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una volta per tutte le forme giuridiche in cui avrebbe dovuto concretizzarsi la col-

detto ufficio ad agire in nome proprio nei confronti dei terzi, ed astenendosi pertanto dal prendere in esame il contenuto della convenzione stipulata con il Comune, dalla quale soltanto, come si è detto, sarebbero potute emergere la natura e

obblighi scaturenti dall’esercizio delle stesse.
9. — I primi due motivi del ricorso incidentale condizionato vanno pertanto
accolti, restando conseguentemente assorbite le ulteriori censure proposte dal Ministero, con cui quest’ultimo ha fatto valere la violazione e la falsa applicazione
degli artt. 112, 132 e 342 cod. proc. civ,, nonché l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando l’omessa
pronuncia in ordine alle altre cause d’inesistenza del contratto di appalto dedotte
con l’atto di appello, e segnatamente alla mancata sottoscrizione del relativo documento, al mancato rilascio dell’approvazione del progetto esecutivo ed alla volontà, chiaramente manifestata dalle parti, di rinviare la costituzione del vincolo
contrattuale al momento della sottoscrizione del documento.
10. — Con il suo ricorso incidentale, Roma Capitale ripropone, per l’ipotesi
in cui siano accolti l’impugnazione principale ed i primi due motivi dell’impugnazione incidentale proposta dal Ministero, le difese svolte nei precedenti gradi di
merito, chiedendo il rigetto della domanda proposta dall’attrice, con l’accertamento della riferibilità dell’appalto alla sola fase di progettazione dell’opera pubblica, e
dell’intervenuta risoluzione del rapporto per avveramento della condizione risolutiva prevista dal contratto; in alternativa, insiste per la pronuncia di risoluzione del
contratto per inadempimento dell’attrice, ed in subordine per il riconoscimento del
diritto della stessa all’indennizzo nei limiti previsti dall’art. 4 del capitolato di gara; in via ancor più gradata, chiede l’esclusione della legittimazione passiva di essa

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l’ampiezza delle funzioni demandate al Provveditorato, nonché la portata degli

controricorrente in ordine alle pretese dell’attrice successive al 5 agosto 1997, ed
in estremo subordine conclude per la dichiarazione d’inammissibilità, improcedibilità ed infondatezza delle riserve iscritte dall’appaltatrice.

La parte che, come la controricorrente, sia risultata totalmente vittoriosa in
appello non è infatti legittimata riproporre nel giudizio di cassazione le domande o
le eccezioni, rilevanti per la decisione, da essa prospettate e non decise, neanche
implicitamente, dal giudice di secondo grado, in quanto ritenute assorbite da quelle accolte: le predette questioni non sono infatti riproponibili con il ricorso incidentale, non essendo al riguardo configurabile una soccombenza quanto meno teorica, la quale presuppone che, accolta la domanda sotto un profilo, gli altri siano
stati esaminati e respinti; in sede di legittimità, non trova d’altronde applicazione
l’art. 346 cod. proc. civ., che consente la riproposizione in sede d’impugnazione
delle domande e delle eccezioni non accolte o non esaminate, dal momento che
l’accoglimento del ricorso principale comporta la possibilità che le stesse vengano
riesaminate nel giudizio di rinvio (cfr. Cass., Sez. III, 25 maggio 2010, n. 12728;
10 dicembre 2009, n. 25821; Cass., Sez. Il, 30 marzo 2000, n. 3908).
11. — La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dai motivi accolti, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Roma, che
provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso principale, accoglie il terzo motivo
del ricorso principale e i primi due motivi del ricorso incidentale proposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dichiara assorbiti gli altri motivi del ri-

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10.1. — Il motivo è inammissibile, per difetto d’interesse.

a

corso proposto dal Ministero, dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto da Roma Capitale, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti,
z

e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, anche per la liquidazione delle spese pro-

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2015, nella camera di consiglio della
Prima Sezione Civile

cessuali.

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