Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10020 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 15/04/2021, (ud. 08/10/2020, dep. 15/04/2021), n.10020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1998/2020 proposto da:

B.P., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARTINO BENZONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI GORIZIA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 703/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 28/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 703/2019, confermando il provvedimento di primo grado, ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da B.P., cittadino del (OMISSIS).

2. Per quanto ancora qui rileva, la Corte di appello ha osservato, in sintesi, che:

a) il ricorrente aveva dichiarato di essere di religione buddhista e di avere ricevuto minacce di morte da parte di mussulmani che volevano convincerlo alla conversione religiosa;

b) la narrazione verte su un episodio di violenza privata che, “quand’anche fosse veritiero”, non concreta di per sè alcuna forma di persecuzione richiesta per il riconoscimento dello status di rifugiato, nè integra i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

c) l’appellante non ha contestualizzato la sua vicenda personale nella situazione del Paese di provenienza, rispetto alla quale nulla ha dedotto;

d) dalle fonti conoscitive acquisite risulta che il Paese di provenienza è “tradizionalmente moderato ed a maggioranza mussulmana…la maggior parte degli attacchi terroristici sono attentati mirati a singoli attivisti, a stranieri ed a minoranze religiose”;

e) il racconto del richiedente è poco credibile, soprattutto nella parte in cui ha evidenziato che, “pur essendo l’intera sua famiglia di religione buddista, solo lui fu coinvolto nel tentativo di conversione forzata”; “si aggiunga che il Paese di provenienza non impone nessuna religione e lascia ampia libertà di scelta a qualsiasi credo”;

f) quanto alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno per gravi motivi umanitari, misura atipica e residuale, non risulta allegata alcuna situazione che possa integrare una condizione individuale di elevata vulnerabilità; inoltre, dall’esame degli atti e dei documenti e dalle stesse dichiarazioni rese dall’appellante non è risultato evidente un percorso di fattiva integrazione nel territorio nazionale.

3. Per la cassazione di tale sentenza B.P. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

4. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8, in quanto la Corte di appello, senza porre in dubbio che il ricorrente professi la religione buddhista laddove in Bangladesh la maggioranza della popolazione è mussulmano-sunnita e il credo religioso differente viene considerato apostasia, ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della persecuzione religiosa sulla base di considerazioni astratte e senza compiere accurate indagini ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, onde apprezzare l’esistenza di fenomeni di tensioni a sfondo religioso atti a confermare il rischio di persecuzione o quanto meno i presupposti per la protezione sussidiaria.

2. Il secondo e il terzo motivo denunciano violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte di appello affermato che non era stata fornita dal ricorrente la prova di fatti rilevanti, laddove al contrario era stata prodotta in atti ampia documentazione (buste paga, contratto di lavoro, ecc.) comprovante la piena integrazione lavorativa conseguita in Italia dal ricorrente, con sua emersione dalla condizione di marginalità dalla quale proveniva.

3. Il primo motivo di ricorso è fondato. Il relativo accoglimento assorbe l’esame del secondo e del terzo motivo, stante il carattere pregiudiziale insito nel riesame dei presupposti per il riconoscimento di una delle protezioni c.d. “maggiori”.

4. Va premesso che dal complessivo tenore della sentenza impugnata non emerge un giudizio di complessiva inattendibilità del narrato del richiedente (è stata ritenuta poco credibile la sola circostanza, collaterale e non centrale del racconto, che non fossero stati descritti come oggetto di persecuzione i familiari del richiedente).

5. E’ stato osservato da questa Corte che, in relazione agli atti di persecuzione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, comma 2, lett. b), il giudice del merito deve verificare tutti i fatti pertinenti che riguardano il Paese di origine del richiedente al momento dell’adozione della decisione, al fine di accertare se, effettivamente, una determinata minoranza etnica sia discriminata nell’esercizio dei propri diritti civili (cfr. tra le più recenti Cass. n. 13932 del 2020; nella specie, questa Corte ha cassato con rinvio la pronuncia di merito che aveva escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale richiesta da un cittadino del Bangladesh).

6. In particolare, quando il richiedente alleghi il timore di essere soggetto nel suo paese di origine ad una persecuzione a sfondo religioso o comunque ad un trattamento inumano o degradante fondato su motivazioni a sfondo religioso, il giudice deve effettuare una valutazione sulla situazione interna del Paese di origine del richiedente, indagando espressamente l’esistenza di fenomeni di tensione a contenuto religioso, senza che in direzione contraria assuma decisiva rilevanza il fatto che il richiedente non si sia rivolto alle autorità locali o statuali per invocare tutela, potendo tale scelta derivare, in concreto, proprio dal timore di essere assoggettato ad ulteriori trattamenti persecutori o umanamente degradanti (così Cass. n. 28974 del 2019; nel caso ivi esaminato, il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal Bangladesh, paese di religione mussulmana, sua patria di origine perchè perseguitato, in quanto di religione hindu; conforme, v. Cass. n. 8573 del 2020).

7. Nel caso in esame, la sentenza ha imputato al ricorrente non già un difetto di allegazione di fatti rilevanti (onere di allegazione che – come è noto – sussiste anche in capo al richiedente asilo), ma la mancata contestualizzazione di tali fatti nella situazione del paese di provenienza. Tale questione rimanda, invece, al dovere di cooperazione istruttoria gravante sull’Autorità giudiziaria, la quale avrebbe dovuto esaminare il contenuto delle allegazioni circa la persecuzione a sfondo religioso delle minoranze buddhiste in Bangladesh e procedere ad assumere D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, informazioni aggiornate al riguardo.

8. Occorre poi rilevare la contraddittorietà insita nel provvedimento impugnato per avere ritenuto, da un lato, che nel paese di provenienza del ricorrente vi è libertà di religione e, dall’altro, che dalla fonte consultata (della quale peraltro non è indicata l’epoca di riferimento) gli attentati degli attivisti sono mirati in danno degli appartenenti a minoranze religiose. Risulta così radicalmente priva di coerenza l’esposizione del frutto dell’indagine officiosa svolta in relazione alla situazione generale dell’area del Bangladesh da cui proviene il ricorrente.

9. In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione per il riesame dell’appello alla luce dei principi di diritto sopra esposti.

10.Si demanda al Giudice di rinvio anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo e il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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