Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1002 del 20/01/2014
Civile Sent. Sez. U Num. 1002 Anno 2014
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO
Data pubblicazione: 20/01/2014
SENTENZA
sul ricorso 1689-2013 proposto da:
AA
F. GIOVANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato PANIZ
MAURIZIO, per delega in calce al ricorso;
– ricorrente contro
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI
TREVISO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO
DI VENEZIA, CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, PROCURATORE
GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, CONSIGLIO
DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TREVISO;
– intimati –
FORENSE, depositata il 29/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/09/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato Maurizio PANIZ;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott.
PASQUALE PAOLO MARIA CICCOLO, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
2.
avverso la sentenza n. 171/2012 del CONSIGLIO NAZIONALE
I FATTI
Nell’ottobre 2009 AA, avvocato in Treviso, propose ricorso
avverso la decisione con la quale il locale Consiglio dell’ordine le aveva
irrogato la sanzione disciplinare della censura, ritenendola responsabile
della violazione di cui all’art. 22 del codice deontologico
per aver
presentato, nell’interesse di un proprio assistito, un atto di denuncia
querela nei confronti dell’avvocato Andrea Mirabile senza avere
adeguatamente esaminato la fondatezza delle accuse rivolte al collega e
senza avere tempestivamente informato il Consiglio dell’Ordine di tale
iniziativa (così, testualmente, il capo di incolpazione).
L’atto di querela – materialmente presentato dinanzi alla competente A.G.
non dall’incolpata, ma dal suo collega di studio avv. Puppinato – era stato
proposto, con riferimento alla condotta ascritta al Mirabile, ai sensi e per
gli effetti della norma di cui all’art. 380 c.p.
Si contestava, in paricolare, al Mirabile di essere venuto meno ai propri
doveri professionali per non avere adeguatamente assistito Rolando
Lucchetta nel corso di un giudizio civile da questi intentato nei confronti
dei suoi coeredi a seguito della morte del loro dante causa Cassiano
Lucchetta: in particolare, veniva contestato al legale di non aver
compiutamente informato il proprio cliente circa l’attività svolta dal proprio
consulente di parte nell’ambito delle operazioni peritali disposte dal
giudice, conclusesi poi con esito sfavorevole per il Lucchetta.
Gli addebiti mossi all’avv.essa AA da parte del COA di Treviso erano
stati, in particolare:
L’avere l’incolpata ricevuto immediato riscontro alla propria richiesta
(dell’ottobre 2005) da parte del collega, il quale sosteneva di avere
sempre tenuto informato il Lucchetta dell’attività svolta;
–
L’essere già desumibile dagli atti di causa e dai verbali di udienza
l’attività svolta dal Mirabile, il cui operato consentiva di escludere
“carenze significative” nell’attività svolta, onde nessuna censura
poteva dirsi realmente fondata nei confronti di quest’ultimo;
–
L’essere stata parimenti consumata la violazione dell’art. 22 del
CDF, avendo la AA dato comunicazione al Consiglio della querela
soltanto due mesi dopo la sua presentazione, senza che, all’uopo,
potesse giovare all’incolpata la modifica normativa del gennaio 2006
3
,
(disciplina a lei più favorevole), alla luce del principio del tempus
regit actus più volte ritenuto applicabile in subiecta materia dalla
giurisprudenza di questa Corte regolatrice.
Il ricorso dell’avv. , rigettato nell’an, verrà accolto dal CNF nella sola
parte in cui si era invocata l’irrogazione di una più mite sanzione (la
sentenza risulta depositata il 29 novembre 2012).
Alla decisione di soltanto parziale accoglimento dell’impugnazione faceva
considerazione alla luce della quale doveva ritenersi responsabile della
violazione dei principi di correttezza e lealtà “l’iscritto che , assunto
mandato ad agire penalmente contro taluni colleghi”, pur dovendo
“sempre effettuare un attento controllo delle carte esibite dal cliente” per
verificare l’effettivo fondamento dell’azione da intraprendere, non avesse
poi debitamente considerato come “l’approfondimento da svolgere dovesse
essere ancora maggiore qualora il destinatario risultasse” (non un quísque
de populo, bensì) “un altro collega”.
Alla luce di tale premessa, Il CNF trasformerà la sanzione della censura in
quella dell’avvertimento, alla luce, prima ancora che dell’assenza di
precedenti disciplinari, “della giovane età della ricorrente, della modesta
esperienza maturata all’epoca della violazione contestata, del
comportamento tenuto successivamente alle contestazioni dell’addebito”,
contraddistinto “segnatamente, dai ripetuti tentativi di trovare una
soluzione conciliativa alla controversia insorta con l’avv. Mirabile”: fatti,
questi, costituenti, a giudizio dell’organo disciplinare forense, “evidente
dimostrazione dell’essersi la ricorrente resa conto di avere superato i limiti
imposti dalla norma deontologica”.
La sentenza è stata impugnata da AA con ricorso per
cassazione sorretto da 5 motivi di censura, che si concludono con
l’indicazione di un principio di diritto, benché la relativa formulazione
(anche se in forma interrogativa piuttosto che non assertiva) non risulti
più necessaria, alla luce della novella processuale del 2009.
Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è meritevole di accoglimento.
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da preambolo, nella parte motiva della decisione, una generale
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli
artt. 22 C.D., 45 RDL 1578/1933, 111 comma 1 Cost., 112 c.p.c. con
riferimento all’art. 56 comma 3 RDL 1578/1933.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli
artt.48 n. 2 RD 37/1934, 3 L. 241/90, 24 e comma 111 Cost. con
riferimento all’art. 56 comma 3 RDL 1578/1933.
Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli
artt. 111 Cost., 64 RD 37/1934 per assoluta omissione della motivazione
in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, con riferimento all’art. 56 comma 3 DDL
1578/1933.
Con il quinto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli
artt. 3 e 22 C.D.F. con riferimento all’art. 56 comma 3 DDL 1578/1933.
Le censure, che possono esaminarsi congiuntamente attesane la intrinseca
connessione e la sostanziale omogeneità, sono nel loro complesso fondate.
Esse appaino tali per le seguenti, concorrenti ragioni:
1) Contrariamente a quanto statuito in sede di condanna disciplinare e cioè l’aver
predisposto
l’atto di denuncia querela -, e
contrariamente a quanto (diversamente) contestato alla ricorrente
nel capo di incolpazione – e cioè l’aver presentato un atto di
denuncia/querela nell’interesse di un proprio assistito” – l’avv.
AA non ha mai personalmente presentato alcun atto di
denuncia-querela nei confronti dell’avv. Mirabile, e ciò tanto sotto il
profilo formale (la presentazione fu opera di altro legale) quanto
sotto quello sostanziale (il contenuto dell’atto essendo riconducibile
alla sola volontà del soggetto querelante, giusta il combinato
disposto degli artt. 337 comma 1 e 333 comma 2 del codice di rito
penale);
2) Contrariamente a quanto statuito in sede di condanna disciplinare,
l’atto di denuncia/querela doveva ritenersi riconducibile, sul piano
funzionale (e cioé quoad effecta), alla sola volontà del querelante volontà espressa con irremovibile ed iraconda fermezza di propositi,
come non contestato in sede di giudizio di merito: in particolare, gli
I)-
120 c.p. e 336-337 c.p.p..
stessi atti di indagine che condussero il P.M. a chiedere
l’archiviazione del procedimento avviato nei confronti dell’avv.
Mirabile contenevano espliciti riferimenti (come rileva parte
ricorrente con riferimento al documento n. 18 della propria
produzione) alla “negativa personalità” ed alla “litigiosità” del
Lucchetta;
3) Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, con tale atto
stato dei fatti e per quanto a conoscenza ratione temporis della
odierna ricorrente, in adempimento di un non meno pregnante
dovere, tanto deontologico quanto direttamente riferibile alla Carta
costituzionale, di tutelare il cliente e di preservarlo da possibili
conseguenze pregiudizievoli delle proprie affermazioni in sede di
esercizio del proprio diritto di difesa;
4) Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, la
denuncia/querela doveva ritenersi riconducibile, sul piano genetico,
ancora una volta al solo Lucchetta, unico sottoscrittore dell’atto,
essendosi la AA limitata ad autenticarne la sottoscrizione in
ossequio al poc’anzi ricordato disposto normativo del codice di rito
penale;
5) Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, la contestata
mancanza di un adeguato vaglio di fondatezza dell’iniziativa assunta
dal cliente appare smentita dallo stesso esito dell’indagine penale,
volta che il P.M. investito della notitia criminis si risolse a chiedere
l’archiviazione del procedimento non per manifesta infondatezza,
riscontrabile ictu ocull, dei fatti posti a base delle contestazioni
mosse all’avv. Mirabile, ma soltanto all’esito delle disposte indagini,
che la difesa ricorrente definisce “approfondite” senza che la
circostanza possa dirsi contestata, nell’assenza di controdeduzioni di
parte intimata non costituita;
6) Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, l’avv. Mirabile
omise di fornire, illico et immediato (come pure sarebbe stato suo
preciso onere) tutte le informazioni richiestegli tra l’ottobre e il
novembre del 2005, con tale comportamento non contribuendo a
rendere poco o nulla credibili le accuse che il cliente gli muoveva.
6
vennero esposte soltanto vicende oggettivamente riscontrabili, allo
Non erra il difensore di parte oggi ricorrente nel sostenere (folio 28
dell’atto di impugnazione) che, se ciò fosse accaduto a seguito della
puntuale richiesta dell’avv. AA, e non a distanza di tempo – e
rendendo destinatario delle informazioni il solo COA -, i fatti
avrebbero verosimilmente costituito oggetto di una diversa
interpretazione da parte del nuovo difensore;
7) Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare, la norma
improntata ad un ben “maggiore approfondimento, dovendo agire
contro dei colleghi” (folio 4 della sentenza impugnata) . Tale, invero
singolare affermazione appare, difatti, in contrasto con elementari
principi costituzionali, oltre che foriera di una sorta di impredicabile
“riguardo di categoria” imposta all’esercente la professione forense
in guisa di lex specialis ex non scripto
dal massimo organo
disciplinare. Ciò che si richedeva all’avv. AA era non altro, per
converso, che un’analisi di verosimiglianza e di non palese
infondatezza del contenuto delle dichiarazioni del cliente;
8) Contrariamente a quanto statuito in sede disciplinare – e pur
volendo in questa sede prescindere dalla delicatissima quaestio iuris
della applicabilità, o meno, della norma più favorevole succedutasi
nel tempo nelle more del procedimento disciplinare (atteso, di
questo, l’evidente carattere para-penalistico, assai più che
amministrativo, nonostante il contrario avviso espresso da questa
Corte con la sentenza n.15314 del 2010) -, l’odierna ricorrente ha
fornito ampia prova e consequenziale spiegazione dei presupposti di
riservatezza che l’avevano indotta ad inviare la prescritta
comunicazione al COA in data successiva alla presentazione della
denuncia/querela: ciò è a dirsi tanto con riferimento alla regola di
segretezza degli atti del procedimento penale sino alla notifica
dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., quanto alla necessità di procurarsi,
all’uopo, il consenso scritto del cliente, rilasciato soltanto nel mese
di gennaio del 2006. Sul punto, la motivazione dell’impugnata
sentenza risulta così tacitiana da risultare, nella sostanza,
meramente apparente (folio 5 della sentenza impugnata).
7
deontologica non imponeva né impone una valutazione fattuale
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche
per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, al Consiglio
Nazionale Forense, in altra composizione.
Così deciso in Roma, li 24.9.2013