Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10019 del 06/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 06/05/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 06/05/2011), n.10019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.M., domiciliato in ROMA, VIA AVEZZANA 2/B, presso lo

studio dell’avvocato LATELLA STEFANO, che lo rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FONSPA – CREDITO FONDIARIO E INDUSTRIALE S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PO 2 5/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SIGILLO’ MASSARA

GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1211/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/09/2007 R.G.N. 6739/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso in via principale: inammissibilita’ e

in subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13/2 – 11/9/07 la Corte d’Appello di Roma rigetto’ l’appello proposto da G.M. avverso la sentenza n. 18427 del 14/21.07.2003 del Tribunale di Roma, con la quale gli era stata respinta la domanda diretta all’accertamento della illegittimita’ del licenziamento collettivo intimato il 24/9/01 anche nei suoi confronti e rispetto al quale aveva chiesto la reintegra nel posto di lavoro con condanna della parte datoriale al pagamento delle retribuzioni maturate fino al ripristino del rapporto lavorativo, dopo aver rilevato che i motivi del gravame, contenenti in parte anche censure del tutto nuove, non intaccavano nella sostanza la correttezza delle decisione impugnata, per cui erano senz’altro condivisibili le conclusioni cui era giunto il primo giudice in ordine alla ricorrenza delle condizioni di cui alla L. n. 223 del 1991 poste a fondamento della procedura del licenziamento collettivo adottato dall’istituto di credito appellato. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il G., affidando l’impugnazione ad un unico articolato motivo di censura.

Resiste con controricorso la FONSPA – Credito Fondiario ed Industriale s.p.a. che deposita, altresi’, memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo il ricorrente denunzia l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa piu’ punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), nonche’ la violazione e la falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 ed in conclusione formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se il datore di lavoro deve dimostrare che, in fase applicativa del criterio di scelta dei lavoratori da collocare in mobilita’, l’individuazione degli stessi e’ avvenuta in relazione alle esigenze tecnico – produttive od organizzative del complesso aziendale; se un verbale di conclusione della procedura di mobilita’ che, per contenuto abbia l’integrale recepimento delle determinazioni di cui ad un accordo precedente all’avvio del processo di mobilita’, e per l’effetto, non possa prevedere strumenti adeguati a contenere la situazione apertasi con il processo di mobilita’, sia atto ad integrare la fattispecie di accordo sindacale e a soddisfare i requisiti previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5; se nel caso in cui l’intento elusivo del datore di lavoro risulti da un’individuazione dei lavoratori da esodare preventiva all’apertura delle procedure di legge e dalla mancata riduzione o trasformazione dell’attivita’ di impresa, il sindacato del Giudice debba estendersi anche alla legittimita’ e ragionevolezza del criterio di scelta adottato per l’individuazione”.

Orbene, va anzitutto rilevato che la lamentata mancata pronuncia su un punto determinante, quale quello dell’assenza di una comunicazione preventiva di avvio della pronuncia di mobilita’ avviata con lettera del 29/3/01, che a dire del ricorrente renderebbe la motivazione affetta dal vizio di cui all’art. 360 c.p.c., punto 5 e’ infondato:

infatti, nella parte iniziale della motivazione della sentenza impugnata e’ espressamente spiegato che il licenziamento di cui trattasi fu proceduto da ampia informativa alle 00.SS. relativamente al programma di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, cui fece seguito l’avvio delle consultazioni delle parti sociali sfociate nella sottoscrizione di un accordo del 30/1/2001 nel quale furono individuati gli strumenti di ricollocazione ed incentivazione all’esodo del personale in esubero che non fosse stato in possesso dei requisiti per l’accesso al Fondo di solidarieta’ previsto dal D.L. 28 aprile 2000, n. 158, con limitazione del licenziamento al solo personale che nel 2001 avesse maturato detti requisiti.

Ne consegue l’infondatezza del rilievo per il quale non sarebbe atto ad integrare la fattispecie di accordo sindacale e a soddisfare i requisiti previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5 un verbale di conclusione della procedura di mobilita’ che per contenuto abbia l’integrale recepimento delle determinazioni di cui ad un accordo precedente all’avvio del processo di mobilita’. Invero, come giustamente eccepito dalla difesa della controricorrente, nella fattispecie l’accordo successivo del 23-27 aprile 2001 aveva superato addirittura un doppio vaglio sindacale, vale a dire quello negoziale, sfociato nell’accordo del 30/1/01, e quello del percorso legale di cui alla L. n. 223 del 1991, iniziato con la formale comunicazione del 29/3/01 di avvio della procedura L. n. 223 del 1991, ex artt. 4 e 24 all’esito dell’esaurimento del piano di ristrutturazione precedentemente intrapreso.

Quanto alla doglianza per la quale, a fronte della eccepita violazione dei criteri da seguire per l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilita’, la Corte territoriale non avrebbe motivato sul dedotto mancato ricorso, da parte della societa’, ad eventuali strumenti alternativi al licenziamento, si osserva quanto segue: tale lamentela non contiene, in realta’, alcuna censura specifica alla motivazione adottata al riguardo dal giudice d’appello e finisce, pertanto, per rivelarsi del tutto apodittica. Infatti, nella sentenza impugnata si legge che lo sforzo di salvaguardia dell’occupazione appariva incontrovertibilmente dimostrato dal fatto che, ancora prima di attivare la procedura amministrativa di riduzione del personale, la societa’ appellata, a fronte della prospettata necessita’ di contenere nel numero massimo di ottanta unita’ il personale necessario ad un utile svolgimento dell’attivita’ produttiva, aveva insistito per la prosecuzione nella gestione diretta di compiti, pur non indispensabili al raggiungimento degli obiettivi aziendali, arrivando a raddoppiare sostanzialmente l’organico da preservare.

Inoltre, la possibilita’ di esodo incentivato era pacificamente rivolta a tutti i dipendenti che avessero voluto aderirvi entro un termine predefinito e nella specie rispettato, cosi’ come al punto 3 dell’accordo aziendale era rimessa all’iniziativa dei lavoratori la possibilita’ di proporre una sede lavorativa anche esterna alla Regione Lazio.

Quanto alle doglianze che puntano l’attenzione sulla asserita violazione del criterio di scelta adottato (quello della anzianita’ contributiva ai fini pensionistici) e sulla dedotta inesistenza di esuberi nel settore in cui operava il ricorrente si impongono le seguenti osservazioni: anzitutto, per quel che concerne quest’ultimo specifico aspetto, non puo’ non rilevarsi una assoluta mancanza di autosufficienza del motivo che e’ prospettato sulla base di elementi che all’intero ricorso non trovano riscontro con dati di sicura acquisizione processuale e che traggono origine esclusivamente dalle affermazioni della parte; invece, in merito alla validita’ del criterio prescelto si rileva che si e’ gia’ avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 9866 del 24/4/2007) che “in materia di licenziamenti collettivi – come sottolineato nella sentenza della Corte costituzionale n. 268 del 1994 – la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (che si traduce in accordo sindacale che ben puo’ essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, senza la necessita’ dell’approvazione dell’unanimita’), poiche’ adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dalla L. n. 300 del 1970, art. 15 ma anche il principio di razionalita’, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettivita’ e della generalita’ oltre a dover essere coerenti con il fine dell’istituto della mobilita’ dei lavoratori. Deve, conseguentemente, considerarsi razionalmente adeguato il criterio della prossimita’ al trattamento pensionistico con fruizione di “mobilita’ lunga”, oltretutto menzionato come esempio nella suddetta sentenza costituzionale, stante la giustificazione costituita dal minore impatto sociale dell’operazione e il potere dell’accordo di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 di sostituire i criteri legali e di adottare anche un unico criterio di scelta, a condizione che il criterio adottato escluda qualsiasi discrezionalita’ del datore di lavoro.” (in senso conf. Cass. sez. lav. n. 13691 del 7/12/99).

Ne’ si e’ esclusa la validita’ del criterio unico, quale, appunto, quello della prossimita’ del personale alla pensione.

Si e’, infatti, affermato (Cass. sez. lav. n. 21541 del 6/10/2006) che “in materia di collocamento in mobilita’ e di licenziamenti collettivi, il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l’individuazione dei destinatari del licenziamento puo’ anche essere unico e consistere nella prossimita’ al pensionamento, purche’ esso permetta di formare una graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalita’ da parte del datore di lavoro”. (in senso conforme v. anche Cass. sez. lav. n. 20455 del 21/9/2006).

Tali precedenti sono, in ogni caso, in linea col consolidato orientamento di questa Corte in base al quale in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la L. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilita’, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato “ex post” nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto “ex ante” alle organizzazioni sindacali, destinatane di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica gia’ collaudata in materia di trasferimenti di azienda, con la conseguenza che i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano piu’ gli specifici motivi della riduzione del personale, bensi’ la correttezza procedurale dell’operazione, per cui non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza una contestazione delle specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilita’ al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorita’ giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attivita’ produttiva (in tal senso v. Cass. sez. lav. n. 21541 del 6/10/2006). Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3.500,00 per onorario ed Euro 47,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2011

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