Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10018 del 27/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 27/04/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 27/04/2010), n.10018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34049-2006 proposto da:

B.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GEROLAMO

BELLONI 88, presso lo studio dell’avvocato PROSPERETTI GIULIO, che la

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.I.M., BO.CA.;

– intimati –

sul ricorso 3607-2007 proposto da:

T.I.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.

GRAMSCI 20, presso lo studio dell’avvocato CONTI GUIDO, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GEROLAMO

BELLONI 88, presso lo studio dell’avvocato PROSPERETTI GIULIO, che la

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

BO.CA.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1415/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/07/2006 r.g.n. 1411/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato PROSPERETTI GIULIO;

udito l’Avvocato CONTI GUIDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Viterbo, pronunciando sulla domanda di B. B., dichiarava che il rapporto di lavoro, intercorso tra costei e l’Agenzia INA Assitalia di T.I.M., era iniziato il 1 aprile 1965 e che la B. aveva diritto all’inquadramento nella categoria (OMISSIS) dal 1 aprile 1965 e nella categoria (OMISSIS) dal 1 aprile 1967, con condanna del T. al pagamento delle relative differenze retributive. Il predetto Tribunale dichiarava, altresì, illegittimo il licenziamento intimato, per riduzione di personale, dal T. alla B. in data 2 marzo 1995, con condanna del primo alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data del recesso sino a quella della effettiva reintegrazione.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza 1 luglio 2006, confermava la decisione di primo grado solo in punto d’illegittimità del licenziamento e compensava le spese del giudizio di secondo grado.

Ritenevano i giudici di appello, per quello che in questa sede interessa, che il ricorso introduttivo del giudizio della B., per quanto riguardava il riconoscimento delle mansioni superiori, era limitato alla data iniziale del 1970, sicchè alcuna corrispondenza trovava la declaratoria di esistenza del rapporto di lavoro dal 1965 ed, ancora, l’attribuzione della (OMISSIS) e poi della (OMISSIS) categoria in anni, quali il 1965 e il 1967, che risultavano estranei al lasso temporale che aveva contraddistinto e limitato la domanda.

Rilevavano, poi, detti giudici, che relativamente al licenziamento, anche se fosse risultata la prova certa della soppressione del posto di lavoro, difettava la prova della impossibilità di utilizzare la B. in altre attività lavorative.

Quanto alla reclamata qualifica di capoufficio, a decorrere dal 1970, sosteneva la Corte territoriale che non era stata dimostrata la concreta autonomia e la elevata qualità che contraddistingueva la qualifica rivendicata.

In considerazione, poi, della natura e dell’esito della controversia, la Corte del merito compensava le spese del giudizio di appello.

Avverso tale sentenza B.B. ricorre in cassazione sulla base di due censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso il T., il quale propone impugnazione incidentale sostenuta da tre motivi, illustrati da memoria.

La B. resiste con controricorso.

Bo.Ca., chiamato in causa nel corso del giudizio di primo grado a seguito del conferimento anche a costui della procura, da parte della società Assitalia, per l’Agenzia di Viterbo, non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno, preliminarmente, riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale la B. deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 3 error in procedendo per violazione dei criteri d’interpretazione della domanda nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5 per aver erroneamente interpretato, in maniera riduttiva, la domanda relativa al periodo per il quale erano state rivendicate differenze retributive. Formula,poi, la ricorrente il relativo quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., così come introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6.

Assume che la Corte di Appello ha erroneamente interpretato la domanda introduttiva del giudizio non tenendo conto che questa aveva ad oggetto la condanna del T. alle differenze retributive anche per il periodo dal 1965 al 1969, omettendo in tal modo di valutare il contenuto dell’intero ricorso e non considerando che sul punto si era svolto regolare contraddittorio.

Rileva il Collegio che il motivo, per come articolato, non è esaminabile in questa sede.

Invero, secondo conforme giurisprudenza di legittimità è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366-bis c.p.c. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione) giacchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione (V. Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471).

Nella specie vi è appunto la contemporanea deduzione di violazione di legge e vizi di motivazione.

Peraltro, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo il quale in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa:

solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un “error in procedendo”, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere – dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale; nel caso in cui venga, invece, in contestazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un tipico accertamento in fatto, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo, non sussistente nel caso in esame, della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (V. Cass. 5 agosto 2005 n. 16596, Cass. 7 luglio 2006 n. 15603 nonchè Cass. 21 giugno 2007 n. 14486).

Nè rileva, ai fini di cui trattasi, l’eventuale accettazione del contraddittorio su punti non compresi nella domanda, trattandosi di questione che attiene alla stessa corretta funzionalità del processo del lavoro.

Con la seconda censura la B., denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e comunque insufficiente motivazione in ordine alla compensazione delle spese, formula, ex art. 366 bis c.p.c. richiamato, il seguente quesito di diritto: “è illegittima la compensazione delle spese allorchè la riforma di un capo della sentenza riduca solo marginalmente l’importo della condanna di primo grado, specie nel caso in cui la condanna alle spese avrebbe dovuto essere maggiore dell’importo di cui alla riduzione della condanna”.

Anche questa censura per la mescolanza dei relativi motivi non è esaminabile.

Nè può sottacersi che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e che con riferimento al regolamento delle spese il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri motivi (Cfr. per tutte Cass. 11 gennaio 2008 n. 406);

Con il primo motivo del ricorso incidentale il T. allega “violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 per omessa motivazione della decisione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per aver il Collegio di merito confermato la sentenza del Tribunale di Viterbo nella parte in cui ha ordinato la reintegrazione della B. nel posto di lavoro con condanna del datore di lavoro alle prestazioni risarcitorie e contributive dell’art. 18 Stat. Lav.

senza motivare il mancato accoglimento della domanda di riforma dell’appellante”. Pone, poi, il ricorrente, il seguente quesito di diritto “viola il precetto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 ed è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la sentenza che respinge una domanda, sia pure subordinata, rilevante ai fini del giudizio senza motivare la decisione”.

Prospetta al riguardo il T. che, nonostante, in appello fosse stato dedotto il difetto del requisito dimensionale per l’applicabilità dell’art. 18 Statuto lavoratori, la Corte territoriale omette di motivare su tale “contraria domanda”.

Il motivo, alla stregua del formulato quesito di diritto, è infondato dovendosi dare risposta negativa allo stesso.

Infatti questa Corte ha più volte affermato, ed in questa sede va ribadito, che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro “ex actis” dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo (Cfr per tutte Cass. 27 gennaio 2006 n. 1755).

Con il secondo motivo del ricorso incidentale la società denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su una domanda in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 formula il seguente quesito di diritto: “viola il precetto dell’art. 112 c.p.c. ed è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la sentenza che decide la causa senza aver tenuto conto di una domanda, sia pure subordinata, rilevante ai fini del giudizio”. Richiama in proposito, il ricorrente, il fatto di cui al precedente motivo e la dedotta, in appello, ultrapetizione con riguardo alla data d’inizio del rapporto, all’inquadramento superiore riconosciuto solo sulla base del diploma di scuola superiore e alla errata valutazione sulla illegittimità del licenziamento ed in particolare sulla riduzione dell’attività di lavoro.

Il motivo, per come il quesito di diritto è formulato, non è fondato dovendosi dare risposta negativa al quesito.

Infatti a parte la genericità del quesito stesso che di per sè non consente di cogliere, se non attraverso le argomentazioni contenute nell’esplicazione della censura,la rilevanza ai fini della decisione, vi è di contro il principio in precedenza richiamato secondo il quale l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello deve essere fatto valere dal ricorrente attraverso la specifica deduzione della violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e non, come nella specie, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Con la terza censura il T. sostiene omessa motivazione su un fatto decisivo della causa in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 reitera i fatti di cui ai precedenti motivi e ribadisce che la Corte del merito ha omesso di motivare il mancato accoglimento delle proprie domande.

La censura è infondata in quanto, come rilevato, il vizio di omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio non può essere fatto valere con la denuncia del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

In conclusione il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati. Le spese del giudizio di legittimità in considerazione della reciproca soccombenza vanno compensate. Nulla per le spese nei confronti di Bo.Ca. non avendo svolto attività difensiva.

PQM

La Corte riuniti i ricorsi li rigetta e compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti costituite. Nulla per le spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2010

 

 

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