Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10017 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 28/05/2020), n.10017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2800-2019 proposto da:

P.M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARNO

47, presso lo studio dell’avvocato BRUNO BOTTA, rappresentato e

difeso dall’avvocato NICOLA CAMPANA;

– ricorrente –

contro

T.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2652/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2014, P.M.F. convenne in giudizio T.S., al fine di sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni patiti e patendi, ex artt. 2052 e 2051 e 2043 c.c., in ragione dell’incidente verificatosi all’interno del (OMISSIS) di proprietà del convenuto a causa della presenza di un cane di media taglia che circolava privo di guinzaglio all’interno del bar.

Dichiarata la contumacia del convenuto, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 2682/2017, rigettò integralmente la domanda risarcitoria.

2. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2652 del 28/05/2018, confermava la decisione ritenendo che nel caso di specie non era configurabile alcuna delle qualificazioni giuridiche prospettate dall’appellante e, in particolare: non l’ipotesi di responsabilità ex art. 2052, poichè, come già evidenziato dal giudice di prime cure, mancava la prova della proprietà dell’animale o di un uso di esso da parte del T.; non quella di cui all’art. 2051 c.c., giacchè non risultavano adempiuti gli oneri probatori previsti per la configurazione della responsabilità ai sensi di quella norma, posto che risultavano provati solo il danno e la titolarità del locale commerciale in capo al T. senza il nesso causale tra la caduta e la presenza del cane; nontda ultimo, l’ipotesi di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., essendo la prova del nesso causale, anche in questo caso, uno degli elementi necessari a configurare tale responsabilità, oltre alla prova dell’elemento soggettivo del danneggiante, colposo o doloso, del tutto mancante nel caso di specie.

3. Avverso tale pronuncia, P.M.F. propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi. T.S. regolarmente intimato non ha svolto attività difensiva.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la “nullità della sentenza per vizio e/o carenza di motivazione ex art. 116 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

I giudici del merito, pronunciandosi sulla responsabilità ex art. 2051 c.c., non avrebbero sufficientemente motivato la parte della sentenza in cui, pur qualificando incauto il comportamento del P., nulla avrebbero detto circa gli elementi di prova da cui traevano tale conclusione.

Inoltre, nell’esame del 2043 c.c., la parte ritiene che la prova del nesso causale e della condotta colposa e negligente del T. è in re psa nella dinamica del sinistro.

5.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente si duole della “nullità della sentenza per violazione delle norme che disciplinano l’assunzione delle prove (art. 191 c.c.p.), – errores in procedendo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

La decisione della Corte territoriale sarebbe illegittima per non aver ammesso l’espletamento della CTU medico-legale sulla persona del P. ed, inoltre, non avrebbe adeguatamente motivato in ordine a tale diniego.

6. Il ricorso è inammissibile.

Lo è innanzitutto per assoluta inidoneità dell’esposizione del fatto, che si limita a riprodurre le conclusioni della citazione introduttiva e, di seguito, riferisce solo genericamente lo svolgimento del processo.

Il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, e deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Nel caso di specie l’esposizione del fatto si evince solo dalla lettura dei motivi congiuntamente alla sentenza, atteso che nemmeno la sola lettura dei motivi consente di comprendere in modo chiaro quale fosse il tenore della domanda.

Peraltro, se si passasse a leggere l’esposizione dei due motivi, fermo che essa resta impossibile in ragione della mancanza di conoscenza del fatto sostanziale e processuale, si dovrebbe rilevare che essi si sostanziano – al di là dei paradigmi invocati, quanto al primo motivo nell’evocazione di emergenze istruttorie senza fornirne l’indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, ed inoltre in modo del tutto generico (alla stregua del principio di diritto consolidato di cui a Cass. n. 4741 del 2005, ribadito da Cass., Sez. Un., n. 79074 del 2017); per quanto riguarda invece il secondo motivo, sarebbe assorbito dalla inammissibilità del primo dato che si duole che non sia stata disposta la c.t.u. medico legale, che non lo è stata perchè è stata negata la responsabilità del convenuto, come non ha mancato di rilevare la stessa corte territoriale. E comunque le censure formulate sono dirette ad ottenere una rivalutazione dei fatti di causa, oltrepassando, in questo modo, i limiti che sono propri del sindacato di legittimità. Invero, il Giudice di merito è istituzionalmente competente alla discrezionale valutazione degli elementi di prova, limitata esclusivamente sul piano della motivazione, che deve essere coerente, in punto di diritto e sul piano logico, con i rilievi fattuali posti al suo vaglio. La Corte territoriale ha ritenuto non raggiunte le prove necessarie atte a configurare le ipotesi di responsabilità prospettate dal ricorrente, motivando in modo coerente, sia in punto di diritto, sia sul piano logico, tale esclusione.

Per quanto riguarda poi il 116 c.p.c., è evocato in modo inidoneo secondo Cass. sez. un. 16598 del 2016. In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 11892 del 2016, ripresa da Cass., Sez. Un. 16598 del 2016). Quindi, il motivo si risolve in una sollecitazione alla rivalutazione della quaestio facti.

Inoltre la mancata ammissione della CTU, funzionale alla quantificazione dei danni subiti dal P., era del tutto inutile poichè presupponeva necessariamente l’accertamento di una responsabilità in capo al T.. In sede di ricorso per cassazione, qualora il ricorrente intenda lamentare la mancata ammissione da parte del giudice di appello della CTU – non ammessa in primo grado perchè superflua e riproposta in secondo grado – deve dimostrare, a pena di inammissibilità, di aver ribadito la richiesta istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di appello.

7. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Non occorre disporre sulle spese in quanto la controricorrente non ha svolto attività difensiva.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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