Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10017 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10017 Anno 2015
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: CAMPANILE PIETRO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.R.L. COLLETTI DI VOLTRI IN LIQUIDAZIONE
Elettivamente domiciliata in Roma, via Federico
Confalonieri, n. 5, nello studio dell’avv. Luigi
Manzi, che la rappresenta e difende unitamente
all’avv. Cesare Glendi, giusta procura speciale a
margine del ricorso.
ricorrente
contro

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Data pubblicazione: 15/05/2015

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,

COMUNE DI GENOVA
Elettivamente domiciliato in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14-A/4, nello studio dell’avv. Gabriele

dall’avv. Livia Dapelo, giusta procura speciale a
margine del controricorso.
controricorrente

avverso la sentenza della Corte di appello di Genova, n. 1103, depositata in data 23 ottobre 2007;
sentita la relazione svolta all’udienza pubblica
del 26 novembre 2014 dal consigliere dott. Pietro
Campanile;
Sentito per la ricorrente l’avv. Carlo Sabini, munito di delega;
Sentito per il controricorrente l’avv. Pafundi;
Udite le richieste del Procuratore

Generale, in

persona del sostituto dott. Rosario Giovanni Russo, il quale ha concluso per il rigetto del terzo
e per l’accoglimento degli altri motivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l – Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte
di appello di Genova, pronunciando in sede di rinvio disposto da questa Corte con sentenza n. 10126
del 2004 sulla domanda inerente all’indennità di
espropriazione di un terreno sito in località Col-

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Pafundi; che lo rappresenta e difende unitamente

letti del Comune di Genova, sottoposto a procedimento ablativo da parte di tale ente nei confronti di Anna Lanata, cui sarebbe poi subentrata, nel

il principio affermato da questa Corte in relazione all’indice di fabbricabilità, fatto ricorso ai
criteri riduttivi di cui all’art. 5 bis della 1. n.
359 del 1992, esclusa la validità della domanda relativa al maggior danno ai sensi dell’art. 1224
c.c., ha determinato l’indennità di espropriazione
in euro 38.327,70, con gli interessi legali dal 18
ottobre 1977 fino al deposito della somma presso la
Cassa Depositi e Prestiti e quella di occupazione
in euro 3.941,51.
1.1 – Per la cassazione di tale decisione la società Colletti di Voltri propone ricorso, affidato a
sei motivi, illustrati da memoria, cui il Comune di
Genova resiste con controricorso.
Motivi della decisione
2 – Con il primo motivo si denuncia l’illegittimità
dell’applicazione, ai fini della determinazione
dell’indennità di espropriazione, dei criteri riduttivi di cui all’art. 5 bis della l. n. 359 del
1992, dichiarato incostituzionale con sentenza del
giudice delle leggi n. 348 del 2007.

giudizio, la S.r.l. Colletti di Voltri, applicato

2.1 – Con il secondo mezzo, strettamente collegato
al precedente, il criterio indennitario fondato sul
valore di mercato del bene viene invocato in rela-

zione.
3 – Detti motivi, corredati da idonei quesiti di
diritto, e da esaminarsi congiuntamente, in quanto
strettamente correlati, sono fondati.
3.1 – Va richiamato l’orientamento di questa Corte
secondo cui l’opposizione alla stima dell’indennità
da corrispondere all’espropriato non si configura
come un giudizio di impugnazione dell’atto amministrativo, ma introduce un ordinario giudizio di cognizione, diretto a determinare l’entità dell’indennità effettivamente dovuta sulla base delle norme applicabili in relazione ai consueti criteri di
efficacia della legge nel tempo, e quindi anche
sulla base di una disposizione di legge sopravvenuta allorché essa, per il suo carattere retroattivo,
si rivolga a disciplinare altresì le situazioni non
ancora definite.
Pertanto lo ” ius superveniens” è applicabile senza che sia configurabile violazione alcuna del
principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – anche quando l’interessato non sollevi que-

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zione alla determinazione dell’indennità di occupa-

stioni al riguardo, ma contesti solo la quantificazione, in concreto, dell’ indennità, e ciò in quanto il bene della vita alla cui attribuzione tende

la misura di legge, non già il criterio legale per
la sua determinazione, in ordine al quale il giudice non incontra limiti nella domanda (Cass. 27 gennaio 1998, n. 774; Cass. 30 dicembre 1998, n.
12880; Cass. 9 luglio 1999, n. 7185; Cass. 15 ottobre 2002, n. 14664; Cass. 17 aprile 2003, n. 6176;
Cass., 9 giugno 2004, n. 10899).
3.2 – Mette conto di richiamare, inoltre, l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, che
nella nota decisione del 22 novembre 1994, n. 9872,
ebbero a precisare che “dato che il bene della vita
alla cui attribuzione tende l’opponente alla stima
è l’indennità, liquidata nella misura di legge, non
già l’indicato criterio legale; nè potendo considerarsi “nuova” la relativa questione, atteso che il
giudice, nella ricerca dei criteri legali, non incontra, nei limiti della domanda, alcun vincolo derivante dalle deduzioni delle parti e che nella
complessa fattispecie dell’indennità espropriativi
non è possibile separare i profili di fatto da
quelli di diritto”.

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l’opponente alla stima è l’indennità liquidata nel-

3.3 – Tanto premesso, deve osservarsi che, come già
rilevato, la Corte costituzionale, con la decisione n. 348 del 2007, nel frattempo intervenuta, ha

n. 359 del 1992, art. 5 bis.
Ritiene la Corte che non possa prescindersi – non
essendosi formato il giudicato in merito alle concrete modalità di determinazione dell’ indennità da dette pronuncia, attesa l’efficacia, come sopra
evidenziato, della stessa nei giudizi, come quello
in esame, in cui sia ancora in discussione la determinazione dell’indennità di espropriazione, la
quale non potrebbe certamente essere regolata da
norme dichiarate incostituzionali.
4 – Torna quindi nuovamente applicabile, per la determinazione dell’indennizzo, il criterio generale
del valore di mercato del bene, già previsto dalla
L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, che costituisce l’unico ancora rinvenibile nell’ordinamento,
non essendo stato abrogato dal T.U. approvato con
D.P.R. n. 327 del 2001, art. 58, in quanto detta
norma fa espressamente salvo “quanto previsto
dall’art. 57, comma 11 (oltre che dall’art. 57 bis)
il quale esclude l’applicazione del T.U. relativamente ai progetti per i quali, come è accaduto nel

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dichiarato l’illegittimità costituzionale della L.

caso in esame, “alla data di entrate in vigore dello stesso decreto sia intervenuta la dichiarazione
di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza

tutte le normative vigenti a tale data, fra cui,
pertanto, quella contenuta nella Legge Generale n.
2359 del 1865, art. 39.
A non diverse conclusioni,

mutatis mutandis,

deve

pervenirsi per quanto concerne la determinazione
dell’indennità di occupazione.
5 – La terza censura, con la quale si invoca, diversamente da quanto affermato nell’impugnata decisione, la decorrenza dell’indennità di occupazione
dalla data di emanazione del relativo decreto di
occupazione, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 72 della 1. n. 2359 del 1865
e 20 della 1. n. 865 del 1971, non appare fondata.
Soccorre in proposito l’insegnamento delle Sezioni
unite di questa Corte in tema di occupazione temporanea e d’urgenza di un immobile espropriando, secondo cui il periodo di occupazione legittima decorre dal momento della effettiva immissione in
possesso del beneficiario dell’occupazione, che si
verifica,

di regola, in conseguenza del c.d. “di-

mensionamento”

consistente nell’individuazione

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dell’opera, ribadendo che continuano ad applicarsi

dell’area mediante infissione di picchetti e
nell’affermazione degli incaricati dell’operazione
che da quel momento il possesso dell’area s’intende

stituendosi, per effetto di tali comportamenti, una
impossibilità giuridica dell’ulteriore godimento
dell’immobile da parte del proprietario. Dalla
stessa data decorre – per le occupazioni regolate,
“ratione temporis”, dall’art. 20 della legge n. 865
del 1971 – anche il diritto alla corrispondente indennità (il quale postula che il proprietario abbia
effettivamente perduto la disponibilità del bene).
L’indisponibilità giuridica derivante dalla mera
pronuncia del decreto di occupazione può invece costituire presupposto per il riconoscimento di un
indennizzo, in favore del proprietario dell’immobile, soltanto ove quest’ultimo fornisca la dimostrazione dell’esistenza di un reale pregiudizio (quale, ad esempio, quello derivante dall’impossibilità
di alienazione del bene in presenza di concrete
possibilità (Cass., Sez. un., 7 agosto 2009, n.
18077).
6 – Gli ultimi tre motivi, che possono esaminarsi
congiuntamente in quanto intimamente connessi, attengono al maggior danno, ai sensi dell’art. 1224,

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trasferito all’amministrazione espropriante – co-

secondo comma, cod. civ., la cui attribuzione è
stata esclusa dalla corte territoriale a cagione
della ritenuta tardività della proposizione della

6.1 – In particolare, nello stesso ricorso, con una
ricostruzione più puntuale rispetto a quella contenuta nella sentenza impugnata, si afferma che soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni
del 2 marzo 1995 venne avanzata la richiesta di
“rivalutazione monetaria”, mentre nella comparsa
conclusionale venne esplicitamente richiesta
l’attribuzione del maggior danno ai sensi dell’art.
1224, comma 2, cod. civ.. Mentre in sede di precisazione delle conclusioni il Comune di Genova non
prese posizione rispetto alla richiesta “rivalutazione”, nella propria comparsa conclusionale dichiarò di non accettare il contraddittorio rispetto
alla domanda inerente al maggior danno.
6.2 – Tanto premesso, assume rilevanza decisiva la
circostanza che, in sede di precisazione delle conclusioni, la domanda inerente all’attribuzione del
maggior danno non venne in realtà validamente avanzata, essendo stata chiesta la condanna dell’ente
espropriante “al pagamento nei modi di legge dei
giusti indennizzi spettanti nella maggior misura

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relativa domanda.

risultata provata e/o comunque anche in via equitativa liquidanda con rivalutazione monetaria ed interessi come di legge”. Non dubitandosi che

luta (Cass., 9 ottobre 2013, n. 22923; Cass., 9
marzo 2012, n. 3738), deve richiamarsi il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui “il
creditore di una obbligazione di valuta, il quale
intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere di domandare il risarcimento del “maggior danno” ai sensi dell’art.
1224, comma secondo, cod. civ., e non può limitarsi
a domandare semplicemente la condanna del debitore
al pagamento del capitale e della rivalutazione,
non essendo quest’ultima una conseguenza automatica
del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta” (Cass. 2 novembre 2010, n. 22273).
Orbene,

non essendo possibile ritenere,

per

l’indicata ragione, che la domanda di ristoro del
maggior danno ai sensi dell’art. 1224 cod. civ. sia
stata validamente avanzata in sede di precisazione
delle conclusioni, nessun rilievo può attribuirsi,
anche nel periodo anteriore all’entrata in vigore
della disciplina introdotta con la novella n. 353
del 1990, alle domande formulate per la prima volta

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l’indennità in questione costituisce debito di va-

in comparsa conclusionale,

a prescindere da

un’eventuale accettazione del contraddittorio, nella specie neppure intervenuta (Cass., 27 luglio

6.3 – Per completezza di esposizione mette conto di
rilevare che l’affermazione della corte territoriale circa l’irrilevanza del silenzio serbato rispetto alla domanda nuova (come tale erroneamente ritenuta quella proposta in sede di precisazione delle
conclusioni), richiedendosi, ai fini della accettazione del contraddittorio, un assenso esplicito o,
quanto meno, un comportamento concludente, trova
riscontro nel prevalente orientamento di questa
Corte (Cass., 2 aprile 2007, n. 8212; Cass., 29 novembre 2006, n. 25242; nonché, sul mero silenzio in
generale, Cass., 20 aprile 2007, n. 9491).
7 – In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle statuizioni investite
dai primi due motivi di ricorso.
Non essendo necessarie ulteriori acquisizioni, ed
essendo incontestato il valore di mercato del terreno quale accertato dalla Corte territoriale, la
causa può essere decisa nel merito, ai sensi
dell’art. 384, comma 2, c.p.c., nel senso della
determinazione dell’indennità di espropriazione

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2004, n. 14121).

nella somma di e

132.595,14, e quella di occupa-

zione legittima nella somma pari agli interessi legali determinati per ogni anno della sua durata, da

la Cassa Depositi e Prestiti, con gli interessi legali, quanto alla prima, dalla data del decreto di
espropriazione e, quanto alla seconda, dalla scadenza di ciascuna annualità.
8 – Le spese dei precedenti gradi e del presente
giudizio di legittimità, che si compensano nella
misura di un terzo in relazione all’applicazione
dello

ius superveniens,

seguono nel resto la soc-

combenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso,
che rigetta nel resto. Cassa la sentenza impugnata
in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, determina l’indennità di espropriazione in
lire 256.122.740 (euro 132.595,14) e quella di occupazione legittima nella somma pari agli interessi
legali determinati per ogni anno della sua durata,
da depositarsi, al netto di quanto già versato,
presso la Cassa Depositi e Prestiti, con gli interessi legali, quanto alla prima, dalla data del de-

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depositarsi, al netto di quanto già versato, presso

creto di espropriazione e, quanto alla seconda,
dalla scadenza di ciascuna annualità.
Compensa nella misura di un terzo tutte le spese

refusione in favore della ricorrente della restante
quota, liquidandole, per l’intero, quanto al primo
giudizio di merito, in euro 284,50 per spese, C
1.800,00 per diritti ed euro 6.000,00 per onorari;
quanto al precedente giudizio di legittimità, in C
4.200,00, di cui C 200,00 per esborsi; quanto alla
fase conclusasi con la sentenza impugnata, in euro
606,92 per spese, oltre 450,00 per consulenza di
parte, euro 1.647 per diritti, euro 5.200,00 per
onorari, ponendo a carico del Comune, per intero,
le spese inerenti alla consulenza tecnica
d’ufficio, come già liquidate; quanto al presente
giudizio di legittimità in euro 5.200,00, di cui
euro 200,00 per esborsi, oltre in tutti i casi, accessori di legge.
Cosi deciso in Roma, nella Camera di consiglio del-

processuali, e condanna il Comune di Genova alla

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