Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10014 del 27/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 27/04/2010, (ud. 26/01/2010, dep. 27/04/2010), n.10014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29981-2006 proposto da:

G.L., già titolare dell’impresa individuale

esercitata sotto l’omonima ditta, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato LOIACONO

ROMAGNOLI MARIA TERESA, rappresentata e difesa dall’avvocato LA GIOIA

CLAUDIO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore avv.to S.

G.P., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati SGROI

ANTONINO, CORRERA FABRIZIO, CALIULO LUIGI, giusta mandato in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

ESATRI – ESAZIONE TRIBUTI S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 67/2006 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 24/03/2006 r.g.n. 509/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato LA GIOIA CLAUDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza del Tribunale di Brescia, respingeva le opposizioni, proposte da G.L., titolare dell’omonima impresa individuale, alle cartelle esattoriali notificatele per il recupero di contributi e sanzioni pretesi dall’INPS a seguito di accertamento ispettivo, nel corso del quale erano stati disconosciuti i diritti alle agevolazioni contributive per l’assunzione di lavoratori dalle liste di mobilità, per la natura artigiana dell’impresa, per un contratto di formazione lavoro e per la tardiva denuncia di alcuni rapporti di lavoro.

La Corte territoriale, premesso che la L. n. 223 del 1991, comma 4 bis come aggiunto dal D.L. n. 299 del 1994 convertito in L. n. 451 del 1994, doveva essere interpretato, nel riferimento ad “assetti proprietari sostanzialmente coincidenti”, nel senso di comprendervi qualsiasi ipotesi di coincidenza a prescindere dalla sussumibilità in una fattispecie normativamente predefinita, accertava che con la “cessazione dell’attività del marito e la prosecuzione di quella della moglie (ossia della G.) per comprendere l’intera attività della prima” si era verificata “una continuità dell’impresa intesa come fenomeno economico sul piano sostanziale” e riteneva, pertanto, infondata la opposizione relativamente al recupero delle agevolazioni contributive che la ditta G. aveva conteggiato, a proprio favore, per aver assunto tredici lavoratori dalle liste di mobilità.

Da siffatto accertamento, i giudici di secondo grado, deducevano, poi, il superamento del limite numerico di cui alla L. n. 443 del 1985, art. 4, lett. b) dovendosi ai tredici dipendenti, di cui sopra, sommare due operai a tempo pieno e due operai a tempo parziale “dichiarati e risultanti dai libri aziendali”.

Inoltre, detti giudici, asserivano che la dipendente L. M., già operaia finita di (OMISSIS) livello, nello stesso settore, quale cucitrice, con attività pregressa di sei anni nella stessa qualifica, “non poteva essere assunta con contratto di formazione lavoro per l’acquisizione della qualifica superiore, (OMISSIS) livello, per il solo fatto di essere addetta alle nuove mansioni di (OMISSIS) o eventualmente di altro, trattandosi di mansioni estremamente semplici se raffrontate ad una esperienza lavorativa di durata così consistente nello stesso settore” per le quali non erano sufficienti le dichiarazioni dei testi escussi perchè potesse essere ritenuta integrata la prova di una attività formativa in senso proprio”.

Riteneva, ancora, la Corte del merito, provata, in base ai documenti prodotti ed alla confessione resa dalla G., così come richiamata da altra sentenza passata in giudicato, la tardiva formale assunzione di cinque lavoratori rispetto alla quale escludeva, altresì,la ricorrenza di un giudicato favorevole alla stessa G. riguardando, tale giudicato, l’accertamento dell’illecito complessivamente contestato e non le singole posizioni individuali.

I giudici di appello affermavano,inoltre, la irretroattività della L. n. 388 del 2000, art. 116 e non ravvisavano motivi d’illegittimità costituzionale, con riferimento alla fattispecie del conguaglio in caso di credito per la differenza tra l’importo delle sanzioni ex lege n. 449 del 1996 ed il nuovo art. 116, nell’ipotesi in cui, prima del pagamento dei contributi e sanzioni, l’impresa avesse cessato l’attività.

Infine, detti giudici, affermavano che le sanzioni risultavano correttamente calcolate in base alla L. n. 662 del 1996, art. 217, lett. b) e che le contestazioni formulate dall’opponente erano del tutto generiche.

Avverso tale sentenza G.L. ricorre in cassazione sulla base di diciassette motivi.

Resiste con controricorso l’INPS. L’altra parte intimata non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso la G., deducendo nullità della sentenza, omessa dichiarazione del motivo di appello dell’INPS relativo alla unificazione delle imprese R. e G. ed omessa dichiarazione della conseguente inammissibilità dell’appello (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; art. 99 c.p.c.; art. 112 c.p.c. e art. 342 c.p.c.) formula, ex art. 366 bis c.p.c., così come introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il seguente quesito di diritto: “E’ nulla la sentenza d’appello nella parte in cui ha omesso di dichiarare la nullità del motivo di appello dell’INPS relativo alla unificazione delle imprese Romele e G. per la mancata specificazione dei motivi di appello di merito e per aver omesso di dichiarare la conseguente inammissibilità dell’appello sul punto?”.

Il motivo è inammissibile.

Infatti secondo giurisprudenza di questa Corte a norma dell’art. 366 “bis” c.p.c. è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie concreta, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420, 24 luglio 2008 n. 2040 e, sez. 3, 23 febbraio 2009 n. 4329 con specifico riferimento alla denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del giudice di merito, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

La funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è,pertanto, secondo questo giudice di legittimità, di far comprendere alla Corte, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cfr. Cass. 7 aprile 2009 n. 8463).

Nella specie manca, nella formulazione del quesito di diritto, l’indicazione, sia pure sintetica, dei termini complessivi della questione in base alla quale sarebbe rilevante nella fattispecie concreta l’enunciazione del principio. Nè a tale carenza può supplirsi integrando il quesito con le precisazioni contenute nell’esplicazione del motivo a tanto ostandovi, come sottolineato, la funzione stessa della norma di cui al citato art. 366 bis c.p.c..

Non è, quindi, certamente sufficiente, ai fini di cui trattasi, la mera precisazione, nel quesito, della fattispecie sulla quale si dovrebbe radicare il principio da enunciare essendo necessario indicare, altresì, gli aspetti determinanti che rendono la dedotta fattispecie rilevante nel caso concreto.

Con la seconda censura la ricorrente, denunciando nullità della sentenza, omessa pronuncia sul punto relativo all’unificazione delle imprese R. e G. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 112 c.p.c. e art. 342 c.p.c.), pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: ” E’ nulla la sentenza di appello nella parte in cui ha omesso di pronunciare sul punto proposto da G. relativo alla infondatezza della pretesa unificazione delle imprese R. e G.”.

La censura è inammissibile.

Valgono in proposito le stesse osservazioni svolte in precedenza, difettando, anche in questo caso, la indicazione degli aspetti determinanti la rilevanza della fattispecie dedotta.

Con il terzo motivo la G., allegando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sostiene che dai verbali ispettivi non risultano i due operai a tempo peno e i due operai a tempo parziale che vengono sommati ai tredici dipendenti.

Il motivo è infondato.

E’, infatti, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che nel caso in cui, con il ricorso per Cassazione, venga dedotta l’incongruità o l’illogicità della sentenza impugnata per l’asserita mancata od erronea valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti (V. per tutte Cass. 14 aprile 2005 n. 5886 e Cass. 19 maggio 2006 n. 11886).

Nel caso in esame il ricorrente omette del tutto di trascrivere nel ricorso il testo dei verbali ispettivi, quantomeno nella parte che interessa, di cui lamenta l’erronea interpretazione.

Con la quarta censura la G., prospettando violazione e falsa applicazione di legge, omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un punto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, della L. n. 443 del 1985, art. 4, lett. B e c ed D.P.R. n. 288 del 2001, art. 1), formula, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il relativo quesito di diritto all’esito del quale chiede se “con riferimento al periodo per cui è causa, l’impresa artigiana del settore dell’abbigliamento su misura come sopra inteso può occupare un massimo di 32 dipendenti, dei quali 16 apprendisti, elevabili a 40 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti”. Indica, inoltre, la ricorrente, quale fatto controverso: ” G. operava totalmente in serie e perchè?”.

Il motivo è inammissibile.

Difatti, va ribadito che secondo giurisprudenza di questa Corte è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366-bis cod. proc. civ. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione) giacchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione (V. Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471).

Peraltro, il motivo non è autosufficiente rispetto alle circostanze di fatto poste a base del quesito.

Con il quinto motivo la ricorrente, deducendo nullità della sentenza, omessa dichiarazione di nullità del motivo di appello dell’INPS relativo ai benefici contributivi per 13 dipendenti ex R. ed omessa dichiarazione della conseguente inammissibilità dell’appello (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; art. 99 c.p.c.; art. 112 c.p.c. e art. 342 c.p.c.) formula, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: “E’ nulla la sentenza d’appello nella parte in cui ha omesso di dichiarare la nullità del motivo di appello dell’INPS relativo ai benefici per i 13 dipendenti ex R. per la mancata specificazione dei motivi di appello di merito e per aver omesso di dichiarare la conseguente inammissibilità dell’appello sul punto?”.

Il motivo è inammissibile non essendo precisato, anche in questo caso, come rilevato nell’esame del primo motivo, gli estremi concreti (ossia il contenuto dell’atto di appello) che rendono la questione rilevante ai fini dell’enunciazione del principio che per tale difetto rimarrebbe generale ed astratta.

Con la sesta censura la ricorrente, sostenendo nullità della sentenza, omessa pronuncia, omessa dichiarazione della novità del richiamo all’art. 8, comma 4 bis, e conseguente inammissibilità della domanda ed ultrapetizione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 112 e art. 345 c.p.c.), pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto:”E’ nulla la sentenza d’appello per l’omessa pronuncia della dichiarazione che costituisce domanda ed eccezione nuova quella dell’INPS relativa alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 8, comma 4 bis, e conseguentemente per l’omessa pronuncia dell’inammissibilità dell’eccezione e della domanda sul punto e conseguente ultrapetizione?”.

La censura è inammissibile.

Valgono in proposito le osservazioni svolte in precedenza, difettando, nella formulazione del quesito, la precisazione degli elementi fattuali che renderebbero nuova la questione.

Con il settimo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 8, comma 4 bis), formula, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto “La L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 8, comma 4 bis, può essere interpretato nel senso di ricomprendere nello stesso tutte quelle situazioni in cui sono ravvisabili un unico interesse e un’unica strategia imprenditoriale, comprese quelle in cui vi sono partecipazioni incrociate fra le imprese (societarie), vi è diversità di proprietà tra le imprese (societarie o individuali) e/o non vi sono stati formali trasferimenti d’azienda tra le imprese (societarie o individuali) anche se vi sono stati trasferimenti di apparati produttivi e/o personale tra le imprese (societarie o individuali)?”.

La censura è infondata.

Invero questa Corte, confermando un orientamento oramai già consolidato, ha di recente affermato il principio secondo il quale “al riconoscimento del diritto all’indennità di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 4 bis a favore dell’impresa che assume lavoratori collocati in mobilità ostano non soltanto quei rapporti – tra detta impresa e quella che abbia proceduto alla collocazione – che si concretizzino in forme di controllo e/o di collegamento espressamente regolate dall’art. 2359 cod. civ. (anche nel nuovo testo di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003), ma pure quei rapporti tra imprese che si traducano, sul piano fattuale, in condotte costanti e coordinate di collaborazione e di comune agire sul mercato, in ragione di un comune nucleo proprietario o di altre specifiche ragioni attestanti costanti legami di interessi anche essi comuni, che conducano ad ideare, o fare attuare, operazioni coordinate di ristrutturazione, comportanti il licenziamento da parte di un’impresa e l’assunzione di lavoratori da parte dell’altra, e che risultino influenzate oggettivamente da finalità diverse rispetto a quelle per cui sono riconosciuti i benefici previsti dal citato art. 8, comma 4 bis. Nè osta alla rilevazione delle condotte elusive indicate dalla norma l’avvenuto trasferimento di azienda (con passaggio di personale dall’impresa cedente all’impresa cessionaria) ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., dovendosi ritenere – anche dopo il trasferimento del personale e in presenza del consenso delle organizzazioni sindacali – sempre ammissibile la prova, pure in via presuntiva, del perseguimento di finalità estranee (Cass. 25 luglio 2008 n. 20499 Cfr. in tali sensi,poi, Cass. 20 aprile 2006 n. 9224 cui adde per un analogo indirizzo tra le altre Cass. 22 gennaio 2004 n. 1112, Cass. 28 ottobre 2002 n. 15207).

Ritiene questo Collegio, per i compiti di nomofilachia, devoluti al giudice di legittimità – che hanno trovato un rilevante riscontro nel D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che siffatti compiti ha rafforzato in linea con quanto sancito dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario – di ribadire anche in questa sede i principi sopra enunciati.

Nè può sottacersi, alla stregua di quanto precisato da questa Corte, come la finalità della disposizione in esame vada ravvisata anche nella esigenza di evitare che i benefici relativi alle agevolazioni riconosciute dal legislatore finiscano per incentivare operazioni che, pure non giustificate esclusivamente dall’intento di lucrare i suddetti benefici, siano in qualche modo impropriamente influenzate da tale prospettiva, determinando così una loro utilizzazione “per finalità ben diverse da quelle per cui essi sono stati concepiti e calibrati nella loro particolare consistenza” (così in motivazione Cass. 1 luglio 2002 n. 9532).

Alla stregua dell’art. 384 c.p.c. va, pertanto, riaffermato il principio richiamato.

Da tanto consegue l’infondatezza del motivo in esame atteso che la Corte territoriale, adeguandosi al principio di cui trattasi, ha deciso sulla base di una corretta interpretazione della norma in esame.

Con l’ottava censura la G., deducendo violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 3 convertito in L. 19 dicembre 1984, n. 863), formula, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto:”Il D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 3 convertito in L. 19 dicembre 1984, n. 863 può essere interpretato nel senso di non ricomprendere le ipotesi di conseguimento di una professionalità appartenente ad un livello d’inquadramento contrattuale più elevato?”.

La censura è inammissibile.

Anche in questo caso, come rilevato in occasione dell’esame del primo motivo di ricorso, difetta nella formulazione del quesito il riferimento alla concreta fattispecie, risolvendosi la richiesta nella enunciazione di un principio astratto e generale.

Con il nono motivo la G., denunciando violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 3 convertito in L. 19 dicembre 1984, n. 863), formula, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: “Il D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 3 convertito in L. 19 dicembre 1984, n. 863 deve essere interpretato nel senso che l’inadempimento degli obblighi di formazione e lavoro determina la trasformazione in contratto ordinario a tempo indeterminato solo se l’inadempimento abbia non obiettiva rilevanza in relazione alla finalità di formazione teorico-pratica del dipendente e sia tale da far venir meno la stessa funzione del contratto?”.

Il motivo è inammissibile. Valgono in proposito le osservazioni di cui alla precedente censura.

Con il decimo motivo la ricorrente, allegando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, indica il seguente fatto controverso: ” L. M. può o no essere considerata “operaia finita”, le precedenti mansioni di “cucitrice” possono o no essere considerate nuove rispetto a quelle di “stiratrice”, le mansioni di “stiratrice” possono o no essere considerate “estremamente semplici”, il livello (OMISSIS) può o non essere considerato più “qualificato” rispetto a livello (OMISSIS), le “istruzioni ed insegnamenti sulla stiratura” possono o no integrare “attività formativa”?.

La censura è infondata.

Al riguardo è sufficiente rilevare che si tratta di accertamenti di fatto che in quanto adeguatamente motivati sfuggono al sindacato di questa Corte.

Con l’undicesima censura la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; art. 2938 c.c., artt. 112, 116, 167, 416, 420, 421 e 437 c.p.c.), pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: “Nelle cause di opposizione a cartella esattoriale per contributi previdenziali l’opponente, convenuto in senso sostanziale, ha un onere di contestazione dell’ammontare delle somme portate dalla cartella esattoriale e delle quali l’Istituto non abbia fornito nè nella cartella esattoriale nè stragiudizialmente calcolo analitico, oppure l’onere di specifica contestazione delle somme citate sorge solo e soltanto in presenza della fornitura da parte dell’Istituto di un calcolo analitico?”.

La censura è inammissibile, difettando, nella formulazione del quesito,la precisazione della rilevanza della enunciazione del principio con riferimento alla fattispecie concreta.

Con il dodicesimo motivo la G., allegando violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 18; L. 23 dicembre 1996, n. 66, art. 1, commi 217 e 224), formula, ex art. 366 c.p.c. bis cit., il seguente quesito di diritto: “La L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 18, può essere interpretato nel senso di prevedere che per l’impresa cessata non sussista più il diritto neppure al recupero dilazionato della differenza tra le vecchie maggiori e le nuove minori sanzioni? E può essere interpretata nel senso di non prevedere il pagamento immediato delle nuove minori sanzioni nell’ipotesi in cui l’impresa sia cessata?”.

La censura è inammissibile.

Non può che ribadirsi l’inidoneità del quesito così come formulato, difettando la indicazione dei presupposti di fatto che condizionano l’applicabilità della disposizione denunciata (Cfr.

Cass. 13 giugno 2007 n. 13794) sì da rendere la enunciazione del principio non astratta e generale.

Con la tredicesima censura la ricorrente, denunciando nullità della sentenza, omessa pronuncia sul punto relativo all’unificazione delle imprese R. e G. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 99 c.p.c., art. 112 c.p.c., L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, lett. a, e L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8), pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto:

“E’ nulla la sentenza d’appello nella parte in cui ha omesso di pronunciare sul punto proposto da G. relativo all’applicabilità delle sanzioni di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8?”.

La censura è inammissibile.

Difetta nella formulazione del quesito la prospettazione degli elementi di fatto, anche di rito, che rendono decisiva la denuncia e, quindi, la utilità della risposta al quesito.

Con il quattordicesimo motivo, in subordine, la ricorrente, allegando violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, lett. a, e L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, lett. b), pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: “La L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, lett. a, deve essere interpretato nel senso di ricomprendervi le ipotesi in cui l’impresa, pur avendo regolarmente denunciato mensilmente ed annualmente ad INPS i dipendenti e le retribuzioni loro corrisposte, ha versato ad INPS contributi con un aliquota diversa da quella pretesa da INPS e dovuta”.

Il motivo è inammissibile.

Manca, difatti, l’allegazione nel quesito della rilevanza nel concreto della questione posta.

Con la quindicesima censura la ricorrente, denunciando nullità della sentenza per omessa pronuncia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; art. 99 c.p.c.; art. 112 c.p.c.; L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 10), formula, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: “E’ nulla la sentenza nella parte in cui ha omesso di pronunciare sul punto proposto da G. relativo all’applicabilità della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 10?”.

Il motivo è inammissibile.

Anche in questo motivo, come in quello che precede, la formulazione del quesito è tale per la sua genericità da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo.

Con il sedicesimo motivo la G., allegando violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 10), formula, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: “La L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 10, deve essere interpretato nel senso di ricompredervi le ipotesi in cui l’impresa, segua gli orientamenti espressi dal Ministero del lavoro, anche se poi questi sono disattesi da parte della magistratura di merito e/o di legittimità?”.

Il motivo è inammissibile non contenendo alcun riferimento al diverso principio affermato dal giudice del merito (V. Cass. 30 settembre 2008 n. 24339 e Cass. 17 luglio 2008 n. 19769).

Con il diciassettesimo motivo la ricorrente nel denunciare violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) formula, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto:”Le spese di lite devono essere liquidate in base alla tariffa professionale?”.

Il motivo è inammissibile per la sua genericità.

Con riferimento al quesito di diritto richiesto dall’art. 366 “bis” cod. proc. civ., questa Corte, infatti, ha ritenuto che lo stesso è inadeguato, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi di ricorso, quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759).

Sulla base delle esposte considerazioni, pertanto il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Nulla per le spese nei confronti della parte intimata non costituita.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 25,00 oltre Euro 3.500,00 per onorario, ed oltre spese, IVA e CPA. Nulla per le spese relative alla parte intimata non costituta.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 Gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2010

 

 

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