Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10010 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 28/05/2020), n.10010

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27292-2018 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SS PIETRO E

PAOLO 50, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO TOMASSINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ARMANDO AYALE, DEBORA

MATTOZZI;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO VIA GENNAZZANO 45 VALMONTONE, in persona

dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CERESIO 24, presso lo studio dell’avvocato CARLO ACQUAVIVA, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4169/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2008, C.G., conveniva il Condominio di Valmontone via Genazzano 45, al fine di ottenere la condanna al risarcimento dei danni dallo stesso subiti a causa di una caduta determinata dalla presenza di un insidioso gradino poco illuminato sulla pavimentazione esterna di un centro commerciale. Gli spazi comuni antistanti il centro commerciale risultavano affidati alla gestione del Condominio convenuto.

Il Condominio si costituiva in giudizio, negando la propria responsabilità e riconducendo l’evento al caso fortuito.

Il 15 giugno 2013 C.G. decedeva, per cause indipendenti dall’accaduto, pertanto si costituivano in giudizio i figli C.F., G.A. e A..

Il Tribunale di Velletri con sentenza n. 2084/2013 accoglieva la domanda attorea ex art. 2051 c.c., condannando il condominio a risarcire i danni.

2. Il Condominio proponeva appello avverso la sentenza di prima cure, chiedendo il rigetto della domanda attorea e la riduzione dell’importo del risarcimento, ritenendo sussistente un concorso di colpa ex art. 1227 c.c. Con sentenza n. 4169/2018 la Corte d’Appello di Roma ha riformato la sentenza di primo grado rigettando la domanda attorea avendo ritenuto non sussistente il nesso di causalità tra danno e evento. Infatti, secondo la Corte, l’evento sarebbe stato imputabile al comportamento colposo del danneggiato, non avendo egli utilizzato la prudenza richiesta ordinariamente a colui che cammina in un luogo poco illuminato ed integrandosi così l’ipotesi di caso fortuito con la conseguente interruzione del nesso di causa.

Non solo: il giudice del merito ha anche ritenuto che non ci fosse un quadro probatorio concordante con riferimento sia all’illuminazione che alla pavimentazione in quanto dalla deposizione del teste è emerso che fossero al momento dell’accaduto in buono stato.

3. Avverso tale sentenza C.F. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. Il condominio di Valmontone di Via Gennazzano 45 resiste con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Considerato che:

5.1 Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2051 c.c., illogicità della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

La Corte d’appello, dopo aver sussunto il caso di specie nell’ipotesi dell’art. 2051 c.c., ne escludeva la responsabilità del custode per condotta incauta del danneggiato, il quale non avrebbe prestato quella particolare attenzione richiesta a colui che si apprestava a camminare in un luogo scarsamente illuminato.

La motivazione sarebbe illogica là dove rileva che il caso fortuito può essere integrato completamente dalla condotta incauta del danneggiato. La parte ritiene, infatti, che il caso fortuito dev’essere riferito ad avvenimenti esterni assistiti dalla imprevedibilità ed eccezionalità che si inseriscono improvvisamente nell’azione del soggetto, senza rilevare in alcun modo la colpa dello stesso.

5.2. Con il secondo motivo parte ricorrente si duole della “manifesta illogicità della motivazione in ordine alla esclusione e o interruzione del nesso di casualità in relazione all’art. 2051 c.c., art. 360 c.p.c., n. 3”.

La ricostruzione dell’evento offerta dalla Corte sarebbe palesemente illogica nella parte in cui ha ritenuto che il danneggiato doveva conoscere i luoghi perchè poco prima vi era entrato.

Infatti, il giudice avrebbe omesso di considerare che nell’accedere alla galleria commerciale la luce proveniente dall’interno poneva in evidenza il gradino, mentre uscendo la luce non si trovava dinanzi al soggetto ma alle spalle.

5.3. Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 111 Cost., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 c.p.c., difetto di motivazione. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c., n. 5”.

Il fatto che nessuno dei testimoni escussi abbia assistito al momento esatto della caduta, per ciò che comporta l’applicazione dell’art. 2051 c.c., avrebbe portato al giudice a far riferimento ad elementi indiziari che lo avrebbero condotto ad un’esegesi erronea del quadro probatorio, in contrasto con le emergenze processuali.

La Corte avrebbe omesso di considerare i contenuti della memoria di costituzione del danneggiato che avrebbe dimostrato la carenza di prova del caso fortuito.

5.4. Con il quarto motivo parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al disposto dell’art. 115 c.p.c. e Art. 360 c.p.c., n. 3”.

La sentenza gravata sarebbe stata adottata in palese violazione del “principio dispositivo” di cui all’art. 115 c.p.c., in quanto il giudice avrebbe omesso di considerare che dopo il sinistro, prima di rimuovere il gradino, sarebbero state apposte delle strisce fluorescenti sul bordo per evidenziarlo. Fatti che avrebbero costituito indizi gravi e determinanti.

6. Il ricorso è inammissibile perchè nessuno dei motivi proposti attacca la ratio decidendi autonoma e preliminare enunciata dalla corte capitolina a pagina 3, là dove essa ha detto che non era provato adeguatamente il nesso di causalità fra la cosa in custodia ed il danno. Infatti afferma il giudice del merito Con riferimento al caso di specie si ritiene innanzitutto non adeguatamente provato da parte attrice il nesso di causalità fra cosa in custodia ed evento dannoso, poichè nessun testimone ha dichiarato di aver assistito direttamente al momento della caduta, nè è stato pertanto in grado di riportare informazioni in ordine alle modalità della stessa. tale ratio decidendi non è stata adeguatamente impugnata.

Inoltre il primo motivo, ove esaminato, sarebbe infondato.

Infatti, tanto in ipotesi di responsabilità per cose in custodia ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilità ex art. 2043 c.c., il comportamento colposo del danneggiato (che sussiste quando egli abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) può, in base ad un ordine crescente di gravità, o atteggiarsi a concorso casuale colposo (valutabile ai sensi dell’art. 1127 c.c., comma 1), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno, integrando gli estremi del caso fortuito a norma dell’art. 2051 c.c.

In particolare, quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più l’incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento danno (Cass. 06/05/2015, n. 9009; Cass. n. 2452/2018). Nel caso di specie il giudice del merito sulla base della valutazione delle prove ha ritenuto che l’infortunio si è verificato per il comportamento colposo del danneggiato. E tale valutazione è insindacabile in questa sede.

Ed anche per quanto riguarda il secondo, il terzo e quarto motivo, congiuntamente esaminati data la stretta connessione, sarebbero inammissibili in quanto con le doglianze in esso articolate, sollecitano -anche dove deducono violazione di norme di diritto – una rivalutazione della quaestio facti, esclusa dal nuovo n. 5 del 360 c.p.c.

In tema di ricorso per cassazione, inoltre, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 11892 del 2016, ripresa da Cass., Sez. Un. 16598 del 2016). Quindi, il motivo si risolve in una sollecitazione alla rivalutazione della quaestio facci. Pertanto, la decisione della Corte d’appello di Roma appare immune da vizi logico-giuridici, stante la sua coerenza con le premesse di fatto poste al suo vaglio.

7. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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