Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1001 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. III, 20/01/2021, (ud. 10/09/2020, dep. 20/01/2021), n.1001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28110-2019 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso l’avv.

LEONARDO BARDI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE DI MILANO PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 10/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. CRICENTI GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, A.A., è cittadino pakistano, proveniente dalla regione del Punjab.

Racconta di essere fuggito dalla sua città per via delle ritorsioni violente della famiglia della moglie, contraria al matrimonio e disposta ad impedirlo con la violenza: il fratello ed altri parenti della moglie avrebbero ucciso un suo cugino ed un altro suo parente.

Egli è poi fuggito nella capitale, dove ha vissuto per un certo tempo con la moglie, fino a quando è stato ivi scoperto dai parenti di quest’ultima, circostanza questa che lo ha spinto a fuggire nuovamente e ad arrivare in Italia dopo alcuni soggiorni in altri paesi.

Ha chiesto il riconoscimento dello stato di rifugiato, della protezione sussidiaria e comunque di quella umanitaria.

La Commissione ha respinto ciascuna di tali richieste, ed il ricorrente ha adito il Tribunale di Milano, il quale ha confermato il giudizio della Commissione.

A.A., ricorre con due motivi. V’è costituzione del Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – La ratio della sentenza impugnata.

Il Tribunale ritiene inverosimile il racconto del ricorrente, specialmente quanto alle motivazioni della persecuzione.

Ciò non impedisce tuttavia al collegio di verificare, escludendoli, i presupposti della richiesta di ottenere lo status di rifugiato, per l’assenza di persecuzioni politiche, religiose o razziali, e cosi di quella sussidiaria, per via della situazione del Pakistan e della regione del Punjab, dove viene escluso che vi sia un conflitto generalizzato tale da mettere a repentaglio l’incolumità dei civili; e di escludere altresì la protezione umanitaria, non ravvisando situazioni di vulnerabilità in caso di rimpatrio, atteso che in patria il ricorrente ha ancora la sua famiglia.

Queste rationes decidendi sono contestate dal ricorrente con due motivi.

2. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; il secondo motivo invece denuncia omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

I motivi, pur distinti, sono dallo stesso ricorrente esposti in modo unitario, e dunque vanno considerati tali.

Intanto, la denuncia di omesso esame è riferita alla situazione socio-politica del Pakistan anche in relazione a quella personale del ricorrente.

La corte avrebbe omesso di occuparsene (p. 2). In realtà non è cosi in quanto da pagina 7 in poi la sentenza discute della situazione politica del Pakistan escludendo pericoli rilevanti per il ricorrente.

Quanto al primo motivo, A.A., in contraddizione con il secondo, censura la sentenza impugnata proprio per una errata valutazione della situazione politica del paese di origine, ai fini della protezione sussidiaria e dello status di rifugiato, opponendo al giudizio della corte di merito l’osservazione che la regione del Pujab in particolare è caratterizzata da una situazione di conflitto armato generalizzato (p. 4); soprattutto ritiene errata la valutazione della corte di merito quanto alla protezione umanitaria contestando al Tribunale di non aver adottato un corretto criterio di valutazione, che consiste nella verifica, ai fini del giudizio di vulnerabilità, della situazione acquisita in Italia e di quella che sarà invece la situazione personale in caso di rientro.

Il motivo è infondato.

I rilievi mossi alla sentenza possono cosi riassumersi, in realtà sono considerati tutti insieme in un unico discorso, nel ricorso: a) non v’è stata una adeguata valutazione della situazione del paese di origine.

In tali termini la censura è infondata.

Infatti, In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 26728/2019).

Il ricorrente non indica fonti di conoscenza alternative a quella cui ha fatto ricorso il Tribunale e neanche indica episodi o circostanze significative a sementita del giudizio di merito.

(b) Altro rilievo mosso riguarda, ai fini della protezione sussidiaria, la negazione da parte dei giudici di merito della esistenza di un conflitto armato generalizzato, che invece secondo il ricorrente sarebbe generalizzato e tale da mettere in pericolo i civili.

Fermo retando che la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 18306 /2019).

Fermo ciò restando, il ricorrente non allega, anche in questo caso, alcunchè a dimostrazione del contrario, di quanto assunto dal tribunale, ossia che nella Regione del Panjub vi sia una situazione come quella richiesta per la protezione sussidiaria.

(C) Quanto alla protezione umanitaria si contesta che il Tribunale non ha valutato la situazione personale attuale del ricorrente confortandola con quella che si creerebbe in caso di rientro.

Invece una tale valutazione è stata fatta, ed il Tribunale, con accertamento in fatto, che non è qui adeguatamente censurato, ha escluso situazioni di vulnerabilità.

Va peraltro ricordato che il giudizio su tale condizione va effettuato comparando il livello di integrazione raggiunto in Italia dal ricorrente con la situazione che si creerebbe in caso di rimpatrio (Cass. sez un. 29459/2019).

Il Tribunale ha correttamente operato una simile comparazione, mentre non v’è alcuna prova, da parte del ricorrente di un livello di integrazione da lui raggiunto in Italia, diverso da quello assunto dal giudice di merito.

Il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Spese compensate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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