Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1001 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 17/01/2011, (ud. 10/11/2010, dep. 17/01/2011), n.1001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.M. residente ad (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta

delega a margine del ricorso, dall’Avv. ESPOSITO Elio in Roma, Via

Crescenzio, 91 presso lo studio dell’avv. Lucidano Claudio;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

nei cui Uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 è domiciliata;

– controricorrente –

AVVERSO la sentenza n. 22/13/2006 della Commissione Tributaria

Regionale di Palermo, Sezione n. 13, in data 24 aprile 2006,

depositata il 28 giugno 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

10 novembre 2010 dal Relatore Dott. Antonino Di Blasi;

Presente il Procuratore Generale dott. Maurizio Velardi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La Corte:

Ritenuto che con il ricorso iscritto al n. 21994/2007 R.G. è stata chiesta la cassazione della sentenza n. 22/13/2006, pronunziata dalla C.T.R. di Palermo, Sezione n. 13, il 26.04.2006 e DEPOSITATA il 28 giugno 2006;

Ritenuto, pure, che la Commissione Regionale, ha accolto l’appello dell’Agenzia Entrate, ritenendo legittima l’applicazione dei parametri previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, nella considerazione che il particolare procedimento accertativo debba ritenersi utilizzabile tutte le volte in cui si accerti uno scostamento tra i dati desumibili dalla dichiarazione e quelle scaturanti dai parametri, a prescindere dalla sussistenza di altri emblematici elementi;

Ritenuto, altresì, che il ricorso, che attiene ad impugnazione di avviso di accertamento IRPEF e CSSN per l’anno 1996, censura l’impugnata decisione di nullità, per violazione del D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e D.P.C.M. 27 marzo 1997 e della L. n. 400 del 1988, art. 17, nonchè per difetto di motivazione della decisione impugnata, deducendosi che i parametri sono di per sè insufficienti a fondare la pretesa fiscale, in assenza di riscontro o di elementi ulteriori di prova e, sotto altro profilo, che la decisione non ha motivato in ordine alla negata rilevanza probatoria degli elementi desumibili dagli atti;

Ritenuto, ancora, che l’Agenzia, giusto controricorso, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione, evidenziando che la determinazione del reddito sulla base dei parametri, pone una presunzione di fondatezza della pretesa fiscale che il contribuente può contrastare solo offrendo la prova della relativa insussistenza, che, nel caso, non è stata data;

La Corte:

Vista la relazione, il ricorso, il controricorso e tutti gli altri atti di causa;

Considerato che il primo profilo di censura va esaminato e deciso, richiamando il condiviso orientamento giurisprudenziale secondo cui la mancata acquisizione del parere del Consiglio di Stato non comporta l’illegittimità del decreto ministeriale 29.01.1996, adottato in base al disposto della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 184 e 186, atteso che nessuna norma costituzionale o di legge stabilisce che in materia tributaria i regolamenti debbano essere adottati nella forma del regolamento governativo, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, il quale, a sua volta, non contiene alcun riferimento a detta materia (Cass. n. 9129/2006, Corte Costituzionale n. 297/2004);

Considerato che le ulteriori censure vanno decise alla stregua alla stregua del principio secondo cui “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass. N. 26635/2009, conformi n. 200823602, n. 200826459, n. 200827648, n. 200904148);

Considerato che il Giudice di appello, nel caso, ha motivato la propria decisione, come si evince dal tenore dell’impugnata decisione, con argomentazione sotto il profilo logico formale, corretta, avendo evidenziato che l’accertamento era a ritenersi legittimo e fondato, sia perchè l’Ufficio aveva operato in presenza di scostamento tra le cifre dichiarate e quelle desumibili dai parametri, sia pure perchè il contribuente aveva “effettuato consistenti acquisti per beni ammortizzabili che poi non ha utilizzato”, sia, infine, perchè il dato relativo all’asserita inattività, allegata dal contribuente, era rimasta sfornita di prova;

Considerato che detti elementi, valorizzati dall’impugnata decisione, non risultano adeguatamente aggrediti criticamente con il ricorso, nel quale ci si limita solo ad offrire degli stessi una diversa lettura;

Considerato che costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato, quello secondo cui “L’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., n. 4, qualunque sia il tipo di errore (in procedendo o in iudicando) per cui è proposto, non può essere assolto per relationem con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto” (Cass. n. 20454/2005; n. 14075/2002), essendovi il preciso onere, ribadito ed esplicitato con le novelle introdotte dall’art. 366 c.p.c., n. 6) e art. 369 c.p.c., n. 4, di indicare in modo puntuale gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, e dovendo contenere, in sè, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Cass. n. 849/2002; n. 2613/2001, n. 9368/2006; n. 1014/2006; n. 22979/2004);

Ritenuto, in buona sostanza, che le doglianze appaiono sottese ad ottenere una opposta lettura di atti e documenti presi in esame dai giudici di merito e valutati diversamente, e, d’altronde, sul piano logico formale, la valutazione di detti Giudici, che hanno ritenuto non provata la dedotta inattività, peraltro, in presenza di consistenti acquisti di beni ammortizzabili e di assenza di prova idonea a vincere la presunzione, appare corretta;

Ritenuto, conclusivamente, che il ricorso va rigettato;

consolidarsi dell’applicato orientamento giurisprudenziale, le spese debbano essere compensate;

Visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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