Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10006 del 20/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 20/04/2017, (ud. 03/04/2017, dep.20/04/2017),  n. 10006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.C. e D.T.A., rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Vincenzo Teresi,

con domicilio eletto nello studio dell’Avv. Massimiliano Morichi in

Roma, via Baldo degli Ubaldi, n. 71;

– ricorrenti –

contro

P.F.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n 369/12

pubblicata in data 10 aprile 2012.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3

aprile 2017 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato Vincenzo Teresi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 20 novembre 1982, P.F., proprietaria di un appartamento con annesso giardino sito in (OMISSIS), conveniva in giudizio R.C., proprietario dell’appartamento sottostante, per sentirlo condannare alla demolizione del muretto realizzato in parte nel giardino di sua proprietà e alla demolizione delle opere da lui realizzate (chiusura di un porticato e di due finestre preesistenti) perchè abusive e lesive del decoro architettonico nonchè al risarcimento dei danni.

Instauratosi il contraddittorio ed espletata c.t.u., il Tribunale di Paola, con sentenza depositata il 24 luglio 1991, accoglieva la domanda attrice; ma la Corte d’appello di Catanzaro, su gravame del R., annullava la sentenza di primo grado e rimetteva le parti innanzi al Tribunale di Paola per integrare il contraddittorio nei confronti di D.T.A., coniuge del R. e comproprietaria dell’immobile in contestazione.

Disposta nuova c.t.u. (geom. B.), il Tribunale di Paola, con sentenza in data 17 marzo 2006, condannava i coniugi R. – D.T. al ripristino dello stato dei luoghi, alla demolizione del muretto eretto nel giardino ed alla restituzione della superficie occupata dal muretto pari a mq. 2,20, nonchè al pagamento delle spese processuali e di c.t.u..

2. – La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 10 aprile 2012, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, ha dichiarato cessata la materia del contendere in relazione alla domanda di demolizione del muro eretto nel giardino della P. con occupazione di una superficie di mq 2,20, ha confermato nel resto la decisione di primo grado e ha condannato gli appellanti al pagamento delle spese.

2.1. – La Corte territoriale, rigettate le eccezioni di nullità della c.t.u. espletata dal geom. B., nel merito ha dichiarato cessata la materia del contendere sulla domanda di demolizione del muretto e di restituzione del terreno proposta dalla P., stante il pagamento, da parte dei convenuti, del controvalore del terreno occupato, con accettazione della relativa somma da parte della attrice.

In ordine alla chiusura del porticato effettuata dai coniugi R. – D.T., la Corte d’appello l’ha ritenuta lesiva del decoro architettonico del complesso edilizio unitariamente considerato, in ragione dell’imponenza dell’innovazione apportata senza l’assenso dei condomini e del notevole impatto visivo della trasformazione adottata.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il R. e la D.T. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 3 luglio 2012, sulla base di quattro motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo, nel denunciare violazione degli artt. 166 e 293 c.p.c. vecchio rito, anteriore alla riforma di cui alla L. n. 353 del 1990, art. 10, lamenta il mancato esame della eccezione di nullità della costituzione della P.. I ricorrenti deducono che con la comparsa conclusionale del 14 ottobre 2009, depositata in vista della udienza collegiale del 17 novembre 2009, essi avevano evidenziato che nel giudizio di gravame l’appellata era rimasta contumace, e che alla udienza del 22 novembre 2011 avevano eccepito formalmente “la tardività della costituzione di controparte”. Tale eccezione non sarebbe stata esaminata dalla Corte d’appello, la quale avrebbe invece ritenuto tempestiva la costituzione della P., avvenuta in grado di appello soltanto il giorno prima della udienza di discussione, e quindi esaminato le sue lamentele, condannando gli appellanti al pagamento delle spese e competenze del giudizio di gravame.

1.1. – Il motivo è infondato.

La costituzione in giudizio dell’appellato contumace, con la conseguente facoltà di compiere tutte le attività processuali che non siano precluse in relazione allo stato in cui si trova il processo, può validamente avvenire fino all’udienza in cui la causa è rimessa al collegio per la discussione, anche al giudizio di appello applicandosi il disposto dell’art. 293 c.p.c., comma 1 (Cass., Sez. 1, 7 febbraio 2001, n. 1720).

Nella specie i ricorrenti deducono che la P. depositò il proprio atto di costituzione in appello il 23 novembre 2009 per mezzo dell’Avv. Giuseppe Arieta, in prossimità dell’udienza di discussione collegiale del 24 novembre 2009.

Sennonchè i ricorrenti non considerano la rilevanza della circostanza che la causa, dopo la prima discussione collegiale del 24 novembre 2009, venne rimessa sul ruolo per un’ulteriore attività, vale a dire per acquisire la c.t.u. (con ordinanza le parti essendo state invitate a produrre copia della c.t.u. espletata in primo grado dal geom. B.), e nuovamente assegnata a sentenza soltanto all’udienza del 13 marzo 2012.

Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto (a pag. 3, rigo 2-3, là dove descrive lo svolgimento del processo) che la P. si costituì in giudizio in corso di causa e, in ragione della regressione del procedimento per effetto della rimessione della causa sul ruolo e la nuova assegnazione a sentenza, non ha dichiarato la contumacia della P., costituitasi anteriormente alla prima discussione collegiale.

D’altra parte, dalle conclusioni rassegnate dall’appellata (trascritte nell’epigrafe della sentenza, a pag. 2) risulta che la P. si è limitata a chiedere il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

2. – Il secondo motivo prospetta violazione degli artt. 156, 157 e 159 c.p.c.. Avendo la Corte d’appello, con la sentenza n. 306 del 1993, dichiarato la nullità della sentenza del Tribunale di Paola per difetto di integrità del contraddittorio nei confronti della D.T., ad avviso dei ricorrenti doveva essere dichiarato nullo anche l’accertamento tecnico effettuato in quel giudizio dal geom. G. con le sue due relazioni, sicchè di esse e dei relativi allegati non avrebbe potuto tenersi conto nella successiva fase del giudizio.

2.1. – Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha deciso sulla scorta della consulenza tecnica rinnovata, redatta dal geom. B. dopo l’integrazione del contraddittorio nei confronti della D.T..

E’ esatto che la sentenza impugnata richiama anche la c.t.u. del geom. G., redatta prima dell’integrazione del contraddittorio, ma si tratta di un riferimento ininfluente e non decisivo ai fini del raggiungimento della decisione, perchè la Corte di merito ha cura di precisare che “i dati fattuali rilevanti ai fini della decisione riportati nelle due consulenze in atti… sono perfettamente sovrapponibili”, sicchè il richiamo alla prima consulenza è operato del giudice a quo solo in funzione di conferma di ciò che, in via autosufficiente, risulta dal secondo elaborato peritale, quello rinnovato.

3. – Il terzo mezzo (violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 1120 c.c., comma 2) contesta la sufficienza della motivazione della sentenza, la quale, andando di contrario avviso alle conclusioni del c.t.u., non avrebbe spiegato quale alterazione estetica e quale deprezzamento abbia subito l’unità immobiliare di proprietà della P. per effetto dell’intervento modificativo del porticato.

3.1. – Il motivo è infondato, perchè si risolve nella contestazione dell’apprezzamento di merito operato, con congrua e logica motivazione, dalla Corte d’appello, la quale ha spiegato come la modificazione del porticato abbia alterato il decoro architettonico dell’edificio, stante l’apprezzabile modificazione delle linee e delle strutture fondamentali dello stesso.

La sentenza impugnata dà infatti ampiamente conto del fatto che l’innovazione è consistita in una trasformazione dal notevole impatto visivo, comportante una diminuzione, all’evidenza, del valore commerciale del complesso: “da una villetta a due piani dotata di due ampi spazi vuoti sulla facciata anteriore e principale… si è passati ad una struttura priva di vuoti al piano terra e quindi visivamente appesantita da un muro perimetrale pieno per tutta la larghezza ed altezza della villetta, interrotto solo da una nuova finestra creata per dar luce al nuovo vano cucina”.

Va qui ribadito il principio secondo cui costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove, come nella specie, non presenti vizi di motivazione (Cass., Sez. 2, 11 maggio 2011, n. 10350).

4. – Con il quarto motivo (violazione degli artt. 1326, 1374 e 841 c.c.) si sostiene che, a prescindere dalla cessazione della materia del contendere sul punto riconosciuta dalla Corte d’appello, la domanda della P. in relazione alla occupazione da parte del R. di una porzione del giardino era del tutto infondata, perchè ella aveva nell’atto di acquisto accettato la erezione de muretto effettuata dal R..

4.1. – Il motivo è infondato.

La Corte d’appello è giunta alla conclusione – logica e adeguatamente motivata – che soltanto nel corso del giudizio sia sopravvenuto il difetto di interesse dell’attrice in relazione alla domanda di demolizione del muro eretto nel giardino della P. con occupazione di una superficie di mq. 2,20 (di qui la cessazione della materia del contendere in parte qua), come risulta dalla lettera inviata all’indirizzo della P. nel 2004 con allegato assegno intestato alla P. di Euro 113,63, pari al controvalore della piccola porzione di terreno occupata, e dalla copia dell’estratto conto bancario da cui si ricava l’incasso dell’assegno.

La tesi dei ricorrenti, secondo cui la P. già nell’atto di acquisto avrebbe in realtà accettato l’erezione del muretto effettuata dal R., non può trovare ingresso in questa sede, perchè presuppone una lettura delle clausole contrattuali diversa da quella cui è pervenuta la Corte territoriale (la quale ha escluso che la P. abbia rinunciato alla tutela del suo diritto di proprietà nei confronti dei terzi), senza che i ricorrenti indichino quali canoni ermeneutici dell’interpretazione del contratto siano stati violati o disattesi.

5. – Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2017

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