Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10001 del 24/04/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 10001 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 20992-2009 proposto da:
GRAZIANO

VITO

GRZVTI44E22F839F,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA TACITO N. 10, presso lo
studio dell’avvocato DANTE ENRICO, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato BANCHINI FRANCESCO,
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
56

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del

legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

Data pubblicazione: 24/04/2013

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI che la rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

46/2009 della CORTE D’APPELLO

di BOLOGNA, depositata il 30/03/2009 R.G.N. 218/2005;

udienza del

09/01/2013

dal Consigliere Dott. GIULIO

FERNANDES;
udito l’Avvocato DANTE ENRICO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza depositata il 30 marzo 2009,
rigettava l’impugnazione proposta da Graziano Vito avverso la decisione
del Tribunale di Ferrara in funzione di giudice del lavoro del 10.1.2005 di
rigetto dalla domanda proposta dal Graziano intesa a sentir dichiarare
l’illegittimità del licenziamento intimatogli in data 19.11.2001 da Poste
Italiane spa a seguito di una procedura di riduzione del personale ai sensi

La Corte territoriale aveva rilevato: 1) che erano da escludere la
incompletezza o l’insufficienza delle informazioni rese con la
comunicazione ex art. 4 co.3° della L. n. 223/1991 di avvio della procedura
che conteneva, sia pure “per relationem” , l’indicazione dei motivi che
avevano determinato 41:k situazione di esubero e la specificazione delle
ragioni ostative all’adozione di misura alternative alla mobilità; 2) che
correttamente detta comunicazione era stata inviata alle r.s.u. subentrate,
a seguito del Protocollo del 3.7.1993 e, poi, dell’Accordo Interconfederale
del 20.12.1993 per l’Industria alle r.s.a.; 3) che l’omessa indicazione dei
profili professionali del personale eccedente nonché della relativa
collocazione sul territorio era superflua visto che la procedura (determinata
dalla necessità di abbattere il costo del lavoro attraverso la riduzione del
numero degli addetti stante la non congruità delle misure di carattere
alternativo sin ad allora adottate) aveva interessato, con riferimento
all’intero complesso aziendale globalmente considerato, tutte le categorie
di personale, tutte le aree produttive e tutti i servizi; 4) che la carenza di
eccedenza nell’area Quadri con riguardo alla regione Emilia Romagna non
era rilevante in quanto detta eccedenza era da valutare con riferimento
all’intero territorio nazionale; 5) che le comunicazioni di cui all’art. 4 co.9° L.
n. 223/1991 correttamente erano state effettuate al Ministero del Lavoro e
non alle D.P.L. in ossequio al disposto del co. 15° del citato art.4
versandosi in una ipotesi in cui l’eccedenza riguardava unità produttive
ubicate in più regioni; 6) che il mancato invio alle D.P.L. della
comunicazione ex art. 4 co.9° cit. delle modalità applicative dei criteri di
scelta era del tutto ultronea visto che il criterio convenzionalmente adottato
dalle parti collettive di consentire il licenziamento di coloro che erano in
possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianita’ o di vecchiaia
consentiva di formare una graduatoria rigida e di essere applicato e
controllato senza alcun margine di discrezionalità per il datore di lavoro. La

della L. n. 223 del 1991.

Corte precisava, inoltre, che, correttamente, il Tribunale aveva riconosciuto
efficacia immediata al licenziamento non potendo attribuirsi efficacia reale
al preawiso ben potendo la parte recedente, nell’esercizio di un diritto
potestativo, recedere dal rapporto con effetti immediati dietro l’obbligo
verso la parte receduta di una indennità equivalente all’importo della
prestazione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Graziano affidato a

tre motivi.
Resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a..
Entrambele parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione
degli artt. 4, 5 e 24 della L. n. 223/1991 in relazione all’art. 360 co.1° nn. 3
e 5 nonché difetto di motivazione.
In particolare, si assume che il requisito della maturazione del diritto alla
pensione, prescelto dalle parti sociali nell’accordo dell’ottobre del 2001, non
puo’ prescindere dall’esistenza di posti di lavoro in esubero in quanto
l’individuazione dei lavoratori da porre in mobilita’ dovrebbe avvenire in
modo che essi siano individuati nell’ambito dei settori o dei reparti in
relazione ai quali siano prospettate e riscontrate le situazioni di eccedenza,
cosi’ da esprimere un nesso eziologico tra le esigenze tecnico – produttive
e la scelta del personale, mentre attraverso il criterio concordato le parti
avrebbero solo inteso limitare la scelta ad una categoria di personale
eccedentario, indipendentemente dalla preventiva definizione della
collocazione aziendale degli esuberi.
Viene formulato quesito di diritto.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli
artt. 4 e 24 della L. n. 223/1991 in relazione all’art. 360 co. 3 0 nn. 3 e 5
c.p.c. nonché difetto di motivazione.
Si assume che erroneamente la Corte di merito avrebbe richiamato il
disposto dell’art. 4, co. 15° L. 22311991 cit. il quale prevede lo spostamento
della competenza dagli organi periferici al Ministero del Lavoro per l’ipotesi
in cui i licenziamenti riguardino personale che opera in regioni diverse
dovendo, invece, trovare applicazione i commi da 2 a 12 e 15 bis del
menzionato art. 4 espressamente richiamati dall’art. 24 L. cit.. Con la
conseguenza che le comunicazioni di cui al comma 3° del citato art. 4
andavano effettuate alle Direziori Provinciali del lavoro 01—€1.- non al
2

Ministero del Lavoro ed alle r.s..a. e non alle r.s.u. come , invece, fatto da
Poste Italiane s.p.a.
Viene formulato quesito di diritto.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 4
co.9 L n. 223/1991, 2118 c.c. e 71 CCNL 11.1.2001 in relazione all’art.
369 co.1° nn. 3 e 5.
La Corte di merito, nel rigettare la domanda proposta in via subordinata di
dichiarare la risoluzione del contratto di lavoro a far tempo dalla scadenza
del preavviso, avrebbe violato

chiaro disposto dell’ari. 4 co. 9 L. cit.

secondo cui i licenziamenti collettivi devono avvenire “nel rispetto dei
termini di preavviso” in tal modo differendo la efficacia del recesso alla
scadenza del preavviso che, dunque, avrebbe natura reale e non
obbligatoria con

conseguente diritto del ricorrente

ai miglioramenti

retributivi maturati in detto periodo da calcolarsi anche ai fini del TFR.
Viene formulato quesito di diritto .
Il primo motivo è infondato.
Invero, come questa Corte ha già avuto modo di statuire ( Cass. n. 6284
del 18.3.2011; Cass. n. 4653 del 26/2/2009), “in tema di verifica del rispetto
delle regole procedurali per ilcenziamenti collettivi per riduzione di
personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di
cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, deve essere valutata in
relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al
controllo giurisdizionale, cosicché ove il progetto imprenditoriale sia diretto
a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di
diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del
numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili
professionali previsti dalla

classificazione del

personale occupato

nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con
eccedenza, e ciò tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo
sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati
all’esito della procedura che, nel;arnbito delle misure idonee a ridurre
l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta detpossesso
dei requisiti per l’accesso alla pensione”.
Tra l’altro questi precedenti ribadiscono un orientamento costante di
questa Corte in tema di controllo giudiziale da esercitarsi sulla regolarità
procedimentale del licenziamento coliettivo e sul rispetto dei principi di non
discriminazione, di razionalità e dJ obiettività dei criteri di scelta dei
3

lavoratori da licenziare nella determinazione negoziale degli stessi criteri. Si
è, infatti, precisato (Cass. sez. lav. n. 21541 del 6/10/2006) che “in materia
di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la L. n. 223 del 1991,
nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata
procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità,
ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio
dal controllo giurisdizionale, esercitato “ex post” nel precedente assetto
ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il

ridimensionamento dell’impresa, devoluto “ex ante” alle organizzazioni
sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione
secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda.
I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non
riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a
differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato
motivo obiettivo) ma la correttezza procedurale dell’operazione (ivi
compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato
ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso), con la
conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte
quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle
prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose
elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle
procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, sì
finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di
“effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva.
(Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato complessivo principio, ha
confermato la sentenza impugnata con la cui congrua e logica motivazione
era stata adeguatamente rilevata la sussistenza delle condizioni
procedimentali per far luogo alla procedura di licenziamento collettivo in
dipendenza dell’emergenza delle esigenze oggettive, richieste dalla legge,
di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, il cui accertamento di
fatto sfuggiva alle censure del ricorrente fondate essenzialmente sul rilievo
della divergenza tra la situazione rilevata con la comunicazione iniziale di
apertura della procedura di mobilità e quella di fatto sussistente al
momento conclusivo, in cui furono adottati i provvedimenti di recesso)”. Si
e’, inoltre, chiarito che “in materia di licenziamenti collettivi – come
sottolineato nella sentenza della Corte costituzionale n. 268 del 1994 – la
determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare
4

(che si traduce in accordo sindacale che ben può essere concluso dalla
maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni
sindacali che li rappresentano, senza la necessità dell’approvazione
dell’unanimità), poichè adempie ad una funzione regolamentare delegata
dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione,
sanzionato dalla L. n. 300 del 1970, art. 15 ma anche il principio di
razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri
dell’obiettività e della generalità oltre a dover essere coerenti con il fine

dell’istituto della mobilità dei lavoratori. Deve, conseguentemente,
considerarsi razionalmente adeguato il criterio della prossimità al
trattamento pensionistico con fruizione di “mobilità lunga”, oltretutto
menzionato come esempio nella suddetta sentenza costituzionale, stante la
giustificazione costituita dal minore impatto sociale dell’operazione e il
potere dell’accordo di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, dì
sostituire i criteri legali e di adottare anche un unico criterio di scelta, a
condizione che il criterio adottato escluda qualsiasi discrezionalità del
datore di lavoro” (Cass. sez. lav. n. 9866 del 24/4/2007) Si e’,
ulteriormente, ribadito (Cass. sez. n. 21541 del 6/10/06 conforme a Cass.
sez. n. 20455 del 21/9/06) che “in materia di collocamento in mobilità e di
licenziamenti collettivi, il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra
datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l’individuazione dei
destinatari del licenziamento può anche essere unico e consistere nella
prossimità a pensionamento, purche’ esso permetta di formare una
graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun
margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro”.
D’altronde, nella fattispecie in esame, non può non rilevarsi l’assenza di
qualsiasi elemento suscettibile di far paventare l’esistenza di un intento
discriminatorio da parte della società datrice di lavoro, essendo innegabile
l’equità di un sistema di riduzione del personale incentrato sull’esigenza di
una più efficiente riorganizzazione dell’impresa non disgiunta da quella di
addossare la ricaduta degli effetti negativi della riduzione stessa sui
soggetti che, per essere prossimi a pensione, hanno la capacità economica
di ammortizzare meglio detti effetti, ed essendo certo che la società aveva
prospettato che l’individuazione dei lavoratori da verificare doveva avvenire
in relazione alle esigenze tecnico – produttive dell’intero complesso
aziendale.
5

Alla luce di tali precisi e costanti orientamenti della Corte deve, quindi,
osservarsi che il giudice del gravame ha fatto corretta applicazione di detti
principi avendo rilevato che l’omessa indicazione dei profili professionali
del personale eccedente nonché della relativa collocazione sul territorio era
superflua visto che la procedura (determinata dalla necessità di abbattere il
costo del lavoro attraverso la riduzione del numero degli addetti stante la
non congruità delle misure di carattere alternativo sinead allora adottate)
aveva interessato, con riferimento all’intero complesso aziendale

globalmente considerato, tutte le categorie di personale, tutte le aree
produttive e tutti i servizi e che la carenza di eccedenza nell’area Quadri
con riguardo alla regione Emilia Romagna non era rilevante in quanto detta
eccedenza era da valutare con riferimento all’intero territorio nazionale.
Parimenti infondato oltre che inammissibile è il secondo motivo in quanto
non censura, se non in modo estremamente generico, la motivazione
adottata sul punto nell’impugnata sentenza.
Osserva il Collegio la comunicazione fatta alle rsu non può non avere la
stessa efficacia di quella da indirizzare alle rsa.
Come già correttamente rilevato dalla Corte di merito, l’accordo
interconfederale 20 dicembre 1993 sulla costituzione delle rappresentanze
sindacali unitarie stabilì che “le rappresentanze sindacali unitarie (RSU)
subentrano alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) ed ai loro
dirigenti nelle titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad essi
spettanti per effetto di disposizioni di legge”. Pertanto se le comunicazioni
previste dalla L. n. 223 del 1991 non sono state fatte alle RSA, ma alle
RSU che presero il posto di quelle in base all’accordo su richiamato, non vi
e’ stata violazione di legge. Sul punto si è anche affermato (Cass. n. 269
del 10/01/2005) che “Non può ritenersi in assoluto esclusa la possibilità di
disporre una estensione pattizia delle prerogative previste in favore di
determinate organizzazioni sindacali (maggiormente rappresentative) ad
altre associazioni sindacali, a meno che ciò non valga a conferire alla parte
datoriale un potere di accreditamento tale da alterare l’effettiva
rappresentatività, consentendole di conferire uguali o maggiori diritti a
organizzazioni la cui capacità di convogliare consensi non risulti
verificabile, con conseguente effetto di frazionamento dell’azione sindacale,
e attribuzione ingiustificata di poteri a ristretti gruppi di persone. In quel
caso questa Corte ha confermato la sentenza di merito, ritenendo non
incorressero nell’anzidetto divieto l’Accordo interconfederale 20 dicembre

6

1993 ed il CCNL in pari data, che attribuiva alle R.S.U. le tutele già
spettanti alle RSA. ( cfr. Cass. n. 1955 del 27.1.2011).
Ciò detto, nel caso in esame è circostanza non contestata che Poste
Italiane s.p.a. abbia effettuato le comunicazioni alle rsu.
Destituito di fondamento è anche il rilievo che la procedura messa in atto
dalla società sarebbe stata viziata per difetto di competenza del Ministero
del Lavoro a partecipare all’esperimento del tentativo di conciliazione, in
quanto la società stessa aveva messo in atto una riduzione di personale,

regolata dall’art. 24 della I. n. 223/1991, e non invece una procedura di
mobilità, per la quale soltanto è prevista ex art. 4, comma 15, della
suddetta legge n. 223/1991 una tale competenza, e sempre che
l’esuberanza riguardi più unità produttive ubicate in più regioni.
Si osserva che il mancato richiamo del comma 15 dell’art. 4 nell’art. 24
non può valere a comportare che per le procedure di riduzione del
personale interessanti unità produttive ubicate in più regioni le
comunicazioni previste al comma 4 dell’art. 4 non debbano essere
effettuate al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ed infatti, l’art. 1
del D.Lgs. 23 dicembre 1997 n. 469 (“Conferimento alla regioni e agli enti
locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma della
legge 15 marzo 1997n. 59”) ha riservato alla competenza del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali, tra l’altro, la risoluzione delle controversie
collettive di rilevanza pluriregionale ( art. 1 co. 3 lett. C) tra le quali rientrano
evidentemente anche quelle relative ad eccedenze di personale come
evidenziato dall’ari. 3 comma 1° D.Igs n. 469/1997 cit. .
Ne consegue che correttamente le comunicazioni risultano essere state
effettuate al Ministero del Lavoro trattandosi di procedura che investiva
unità produttive distribuite su gran parte del territorio nazionale.
Passando al terzo motivo ne va rilevata la inammissibilità oltre che la
infondatezza.
Risulta inammissibile perché non autosufficiente non essendo riportato il
contenuto del richiamato art. 71 del CCNL 11.1.2001 che non risulta
neppure depositato né viene indicato dove e quando sarebbe stato
prodotto in giudizio ( Cass. n. 20075 del 23/09/2010; Cass. n. 20484 del
25/07/2008; Cass. n. 21379 del 04/11/2005, ex multis) .
E, comunque, infondato alla luce del consolidato orientamento sul punto
di questa Corte secondo cui “Alla stregua di una interpretazione letterale e
logico-sistematica dell’art. 2118 cod. civ., nel contratto di lavoro a tempo
7

indeterminato il preavviso non ha efficacia reale, che comporta, in
mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del
rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le
connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine, ma efficacia
obbligatoria, con la conseguenza che nel caso in cui una delle parti eserciti
la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto
immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere

influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte
recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone
interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone
l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso. Tale interpretazione
corrisponde non solo all’assetto ordinamentale dell’epoca in cui è entrata in
vigore la normativa codicistica, nella quale mancava un articolato sistema
di tutela della stabilità del posto di lavoro, ma anche a quello attuale,
caratterizzato, ogni qualvolta il legislatore ha avuto di mira l’assimilazione di
un rapporto di lavoro ad un rapporto stabile ed efficace, dalla previsione di
un apparato di misure idonee allo scopo” ( Cass. n. 11740 del 21/05/2007;
Cass. n. 15495 del 11/06/2008; Cass. n. 13959 del 16/06/2009; Cass. n.
21216 del 05/10/2009; Cass. n. 22443 del 04/11/2010).
Per quanto sin qui esposto il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, cedono
a carico del ricorrente e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 3.000,00 per compensi ed in euro 50,00 per
esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere

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