Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10001 del 20/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 20/04/2017, (ud. 10/03/2017, dep.20/04/2017),  n. 10001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11514/2014 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

48, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CORVASCE, rappresentato

e difeso dall’avvocato MARCO POLITA;

– ricorrente –

contro

S.L., S.A.L., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIALE LIEGI 7, presso lo studio dell’avvocato MARCO CLAUDIO

RAMAZZOTTI, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO GRASSETTI;

– controricorrenti –

e contro

S.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 197/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 21/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

è stata impugnata la sentenza n. 197/2014 della Corte di Appello di Ancona con ricorso fondato su due ordini di motivi e resistito con controricorso delle parti intimate;

il ricorso viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., ordinanza in Camera di consiglio non essendo stata rilevata la particolare rilevanza delle questioni di diritto in ordine alle quali la Corte deve pronunciare.

La parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2″, la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 3, n. 2, lett. b) e art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c., per non aver la corte d’appello considerato che, aveva proposto il giudizio di divorzio, la sentenza di separazione era già passata in giudicato, posto che l’appello avversa la stessa era stato limitato alla sola questione economica relativa al mantenimento della moglie, con la conseguenza che non era configurabile una responsabilità professionale a suo carico.

Il motivo non può essere accolto.

Anche a voler prescindere dall’erroneo richiamo al n. 2) dell’art. 360 c.p.c., il motivo è inammissibile, atteso che non attinge la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata.

Invero, la Corte di Appello, nel condividere sul punto la decisione del Tribunale, ha fondato la declaratoria di responsabilità dell’avv. P. non già sulla circostanza che, al momento della proposizione della domanda di divorzio, la sentenza di separazione fosse stata impugnata anche quanto al profilo dello status (anzichè, come sostenuto dal ricorrente, solo dal punto di vista dell’assegno di mantenimento posto a carico del S.), ma sul rilievo che, mentre la sentenza n. 1289/02, che aveva definito il procedimento per separazione giudiziale dei coniugi S. ed A., era stata notificata all’avv. P. il 13.9.2002, il ricorso introduttivo del procedimento di divorzio era stato depositato il 12.9.2002 e notificato l’8.10.2002, con la conseguenza che quest’ultimo era stato promosso prima del decorso del termine di trenta giorni necessario ai fini del passaggio in giudicato della sentenza (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).

D’altra parte, il ricorrente ha omesso di trascrivere, in osservanza del principio di autosufficienza, il ricorso in appello avverso la sentenza di separazione (in tal guisa precludendo a questa Corte qualsivoglia scrutinio in ordine alla fondatezza del suo assunto) nè ha dedotto che la fase decisoria del giudizio di separazione giudiziale si fosse scisso in due pronunce, di cui la prima sul solo status.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio, in relazione all'”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2 e n. 5″, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c., nonchè la omessa e insufficiente motivazione, per non aver la corte d’appello considerato che la domanda di scioglimento della comunione legale dei coniugi sulla casa coniugale era proponibile anche congiuntamente alla domanda di divorzio, con la conseguenza che non era configurabile una responsabilità professionale a suo carico. Nel prescindere, anche per la censura qui in esame, dall’erroneo richiamo al n. 2) dell’art. 360 c.p.c., il motivo è inammissibile in quanto che non attinge, anch’esso, la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata.

Invero, la Corte territoriale ha rilevato che l’ulteriore affermazione, contenuta nella sentenza di primo grado, in ordine alla improponibilità congiuntamente della domanda di divisione della casa coniugale e di quella di divorzio era stata resa dal giudice solo ad abundantiam, con la conseguenza che la parte soccombente non aveva alcun interesse ad impugnare (cfr. pag. 4 della sentenza). Il motivo, poi, si rivela inammissibile, quanto al dedotto vizio motivazionale, anche per un’altra ragione. Essendo stata la sentenza impugnata depositata il 21.3.2014, il ricorrente avrebbe dovuto far riferimento al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti contro sentenze pubblicate a partire dall’11.9.2012 (D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012). In quest’ottica, non si sarebbe potuto limitare a denunciare la insufficienza o contraddittorietà della motivazione, bensì avrebbe dovuto dolersi dell’omesso esame circa un fatto decisivo che fosse stato oggetto di discussione tra le parti. Invero, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo, come detto, solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Sez. 6-3, Ordinanza n. 13928 del 06/07/2015).

Inoltre, l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformato, va inteso, in applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, tenendo conto della prospettiva della novella, mirata ad evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica della Corte di cassazione. Ne consegue che: a) l'”omesso esame” non può intendersi che “omessa motivazione”, perchè l’accertamento se l’esame del fatto è avvenuto o è stato omesso non può che risultare dalla motivazione; b) i fatti decisivi e oggetto di discussione, la cui omessa valutazione è deducibile come vizio della sentenza impugnata, sono non solo quelli principali ma anche quelli secondari; c) è deducibile come vizio della sentenza soltanto l’omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell’estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi, si risolvano (ma non è il caso di specie) in una sostanziale mancanza di motivazione (Sez. 1, Sentenza n. 7983 del 04/04/2014). Da ultimo, va ricordato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). In definitiva, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

3.- Alla stregua di quanto innanzi esposto e ritenuto il ricorso deve essere rigettato.

4.- Le spese seguono la soccombenza e si dteremionano così come in dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore delle parti contro ricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2017

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