Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10001 del 06/05/2011

Cassazione civile sez. I, 06/05/2011, (ud. 17/02/2011, dep. 06/05/2011), n.10001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.M.L., elettivamente domiciliata in Roma, alla via

San Godenzo n. 59, presso l’avv. FERRARA C. FABRIZIO, dal quale è

rappresentata e difesa in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.D.C., elettivamente domiciliata in Roma, al viale P.

Orlando n. 25, presso l’avv. INFUSO Carmelo, dal quale è

rappresentata e difesa in virtù di procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania n. 398/06,

pubblicata il 16 maggio 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17

febbraio 2011 da Consigliere dott. Guido MERCOLINO;

udito l’avv. Ferrara per la ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CESQUI Elisabetta, il quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 16 maggio 2006, la Corte d’Appello di Catania, pronunziando in sede di rinvio a seguito della cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta 13 febbraio 2001, n. 10/01, ha determinato nella misura dell’80% e del 20% le quote della pensione di reversibilità di D.S.G., spettanti rispettivamente a D.D.C., in qualità di coniuge divorziato del defunto, ed a T.M.L., in qualità di coniuge superstite.

1.1. – Premesso che, nel cassare la precedente sentenza, questa Corte aveva enunciato il principio di diritto secondo cui, ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità, il criterio matematico fondato sulla durata dei rispettivi rapporti di coniugio dev’essere integrato da altri criteri, quali le condizioni economiche delle parti, l’eventuale convivenza prematrimoniale e l’ammontare dell’assegno divorziale, la Corte d’Appello ha rilevato che la D. D., la cui unione con il D.S. era durata oltre ventisei anni ed era stata contrassegnata dalla nascita di due figli, era titolare del solo usufrutto su di un immobile già di proprietà del coniuge. attribuitole in sede di separazione, mentre la T., la cui unione era durata poco più di un anno, era comproprietaria di un piccolo immobile abitato dalla madre e non godeva di altri redditi, al di fuori della pensione di reversibilità.

2. -……- Avverso la predetta sentenza la T. propone ricorso per cassazione, articolalo in due motivi. La D.D. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la Corte d’Appello, nel valutare le condizioni economiche delle parti, ha attribuito all’usufrutto di cui è titolare la D.D. l’esiguo valore dalla stessa indicato, ritenendolo erroneamente non contestato ed omettendo di tener conto del più elevato valore risultante dalla sentenza di divorzio, avente efficacia di giudicato. La Corte, inoltre, non ha compiuto alcuna indagine in ordine all’ammontare della pensione di reversibilità e della quota spettante alla D. D., e non ha tenuto conto che essa ricorrente è affetta da gravi patologie, tali da impedirle di dedicarsi ad un lavoro, ma si è limitata a modificare le percentuali stabilite dalla sentenza cassata, senza procedere alla necessaria comparazione delle condizioni economiche delle parti, e senza individuare l’importo minimo necessario per la vita di ciascuna di esse.

1.1. – La censura è inammissibile, in quanto, pur riflettendo un vizio di motivazione, non è accompagnata dalla chiara indicazione, prescritta dall’art. 366 bis cod. proc. civ., del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per cui la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

La ricorrente, infatti, pur premettendo che le nuove disposizioni relative al giudizio di legittimità impongono l’individuazione e la focalizzazione del fatto controverso, precisa che tale fatto nella specie consiste nella stessa decisione della controversia, ai fini della quale la Corte d’Appello avrebbe dovuto procedere da un lato alla verifica della ricorrenza, nel caso concreto, degli elementi canonizzati dal legislatore, dall’altro alla valutazione comparativa degli stessi, secondo una logica ispirata alla perequazione degli effetti iniqui di una rigida applicazione del criterio matematico puro. In tal modo, essa si limita a ribadire, in termini diversi e senza alcun riferimento alla fattispecie concreta, il principio di diritto enunciato da questa Corte a conclusione della precedente fase di legittimità, il quale non costituisce però il fatto controverso sul quale il Giudice di rinvio si è pronunciato, bensì la regola juris alla quale a Corte d’Appello avrebbe dovuto attenersi nella decisione del caso concreto.

Il vizio di motivazione deducibile come motivo del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è quello incidente sull’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione, che costituiscono la premessa minore del sillogismo che conduce alla soluzione della questione sottoposta all’esame del giudice, e la denuncia dello stesso ha ad oggetto la ricognizione della fattispecie concreta compiuta dal giudice di merito in base alle risultanze degli atti di causa, la quale è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica (cfr. ex plurimis, Cass.. Sez. lav. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. Sez. 1^, 22 febbraio 2007, n. 4178; 11 agosto 2004, n. 15499). La sintesi prescritta dall’ari. 366 bis, seconda parte, non può quindi risolversi nell’individuazione della regola giuridica applicabile alla fattispecie, che costituisce la premessa maggiore del sillogismo e la cui disapplicazione da parte del giudice di merito integra una violazione di legge, ma deve consistere in una esposizione chiara e succinta che, pur se libera da rigidità formali, si concretizzi nell’indicazione specifica dei fatti rilevanti di cui si lamenta l’omessa considerazione, nonchè degli argomenti critici a sostegno delle dedotte carenze dell’iter logico – giuridico seguito nella loro valutazione (cfr. Cass., Sez. Un., 18 giugno 2008. n. 16528; Cass., Sez. lav., 25 febbraio 2009. n. 4556).

2. – E’ invece infondato il secondo motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato interamente compensate tra le parli le spese processuali, in base all’esito complessivo del giudizio.

Sostiene infatti la ricorrente che la Corte d’Appello si è limitata a prendere in considerazione la modesta variazione delle quote di pensione attribuite alle parti rispetto al precedente giudizio di merito, senza tener conto della piena soccombenza della D.D. tanto nel giudizio di legittimità quanto in quello di rinvio.

L’asserita comparazione tra i risultati conseguiti dall’attrice in sede di rinvio e quelli consacrati nella sentenza cassata non trova tuttavia riscontro nella motivazione della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale si è conformata al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice di rinvio, nella liquidazione delle spese processuali, deve attenersi al criterio della soccombenza, da rapportarsi all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato (clr. Cass., Sez. 2^, 17 giugno 2010, n. 14619; 7 febbraio 2007, n. 2634; Cass., Sez. 3^, 10 marzo 2004, n. 4909). Tale principio, che si pone in radicale contrasto con l’atomistica considerazione delle singole fasi processuali propugnata dalla ricorrente, non esclude peraltro la facoltà di disporre la compensazione totale o parziale delle spese, proprio in virtù di un apprezzamento unitario dell’esito del giudizio, contraddistinto nella specie dall’accoglimento della domanda proposta dall’attrice, che, comportando la riforma della sentenza di primo grado, attribuiva al giudice di rinvio il potere di rinnovare totalmente la regolamentazione delle spese (cfr. Cass., Sez. 3^, 30 novembre 2005, n. 26084: 18 giugno 2003, n. 9690).

3. – Il ricorso va pertanto rigettato.

La natura della questione controversa induce peraltro a dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso, e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2011

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