Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1000 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2020, (ud. 24/09/2019, dep. 17/01/2020), n.1000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12437-2018 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FORTIFIOCCA 50, presso la Sig.ra PATRIZIA SANTARELLI, rappresentato

e difeso dall’avvocato STEFANO CICCARELLI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, V. CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA

D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, ESTER

ADA VITA SCIPLINO, GIUSEPPE MATANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1014/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 21/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

con sentenza n. 1014 del 21.12.2017, la Corte d’appello di L’Aquila, in accoglimento del gravame dell’INPS ed in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di M.C., libero professionista iscritto all’Albo degli avvocati, volta ad accertare l’illegittimità dell’iscrizione d’ufficio alla Gestione Separata INPS, con decorrenza 1.1.2009, e della domanda di pagamento dei relativi contributi;

avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione M.C. deducendo due motivi di censura;

ha resistito l’INPS con controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, perchè insussistente e non provato l’elemento costitutivo di abitualità della professione svolta;

secondo la deduzione di parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto integrato il requisito dell’abitualità sulla base di un reddito IRPEF di Euro 1723,00; a fondamento della censura, ha anche richiamato il D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2;

il motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità;

la questione prospettata non risulta affrontata dalla sentenza impugnata, nè parte ricorrente precisa “dove, come e quando” la stessa abbia avuto accesso al thema decidendum del giudizio di merito (cfr. ex plurimis, Cass. n. 2443 del 2016); il generico riferimento al contenuto dell’atto di appello (riportato al 2 cpv. di pag. 2 del ricorso in cassazione) non soddisfa gli oneri di specificazione imposti dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, e art. 369 c.p.c., n. 4;

con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione della L. 576 del 1980, della L.n. 6 del 1952, art. 1, della L. n. 335 del 1995, art. 2, come interpretata dal D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12;

secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sussistente l’obbligo di iscrizione presso la Gestione separata INPS per il reddito prodotto nell’esercizio della professione, seppure inferiore alla soglia reddituale prevista dai regolamenti della Cassa Forense, ratione temporis vigenti, e per i quali aveva versato unicamente il contributo integrativo e non anche quello soggettivo;

il motivo è infondato;

questa Corte, in coerenza con quanto già espresso da Cass. n. 30344 del 2017 (e numerose altre) in relazione alla categoria professionale degli ingegneri ed architetti, ha affermato che “sussiste l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata presso l’Inps per gli avvocati non iscritti obbligatoriamente alla Cassa di previdenza forense alla quale hanno versato esclusivamente un contributo integrativo in quanto iscritti agli albi, cui non consegue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio” (v. Cass. n. 32608 del 2018, seguita da Cass., n. 32167 del 2018, Cass. n. 519 del 2019 e Cass. n. 3799 del 2019);

l’obbligo di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, di iscrizione alla Gestione Separata è, infatti, rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante dalli esercizio abituale (anche se non esclusivo) di un’attività professionale per la quale è prevista l’iscrizione ad un albo o ad un elenco, anche se il medesimo soggetto svolge altre diverse attività, per cui risulta già iscritto ad altra gestione; tale obbligo viene meno “solo se il reddito prodotto dall’attività professionale predetta è già integralmente oggetto di obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento” (Cass. n. 3799 cit.);

la Corte di appello ha deciso la controversia in modo conforme all’indicato principio di diritto per cui la sentenza impugnata va esente dalle mosse censure; il ricorso deve, pertanto, rigettarsi;

la novità della questione principale sulla sussistenza dell’obbligo contributivo determina la compensazione delle spese del giudizio di legittimità (v. Cass. n. 3799 del 2019);

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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