Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 100 del 04/01/2017

Cassazione civile, sez. II, 04/01/2017, (ud. 17/06/2016, dep.04/01/2017),  n. 100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22969/2012 proposto da:

P.G. (OMISSIS) in qualità di Amministratore unico

Direttore Tecnico della P. Strade s.r.l. e F.A.

(OMISSIS) in qualità di Responsabile Tecnico della P. Strade

s.r.l., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO BELLUCCI, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIUSEPPE INNAMORATI;

– ricorrenti –

contro

ENTE PARCO REGIONALE (OMISSIS), già CONSORZIO DI GESTIONE DEL PARCO

REGIONALE (OMISSIS) (p.iva (OMISSIS)), in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL VIMINALE 43,

presso lo studio dell’avvocato FABIO LORENZONI, rappresentato e

difeso dall’avvocato EMANUELE BOSCOLO;

– controricorrente –

e contro

FR.ED.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2140/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato MAURIZIO BELLUCCI, con delega dell’Avvocato GIUSEPPE

INNAMORATI difensore dei ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento

del ricorso;

udito l’Avvocato EMANUELE BOSCOLO, difensore del controricorrente,

che si è riportato agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 P.G. e F.A., rispettivamente amministratore unico e responsabile tecnico della P. Strade srl proposero davanti al Tribunale di Varese opposizione contro l’ordinanza ingiunzione per Euro 63.814,45, emessa dal Consorzio di Gestione Parco Regionale del (OMISSIS) (in relazione alla violazione della L.R. n. 8 del 1976, art. 25, e art. 55 del Regolamento Regionale n. 1/1993, per avere, durante l’esecuzione dei lavori di realizzazione di un impianto funicolare, scavato terreno e mutato la destinazione di un bosco mediante deposito di detriti).

Il Tribunale dichiarò inammissibile l’opposizione (per erronea individuazione del soggetto legittimato passivo nel relativo giudizio) e la Corte d’Appello di Milano, pur non condividendo il giudizio di inammissibilità espresso dal primo giudice, ha comunque respinto l’appello degli opponenti sulla base delle seguenti argomentazioni (per quanto ancora interessa):

– il ricorso per l’annullamento del provvedimento amministrativo deve essere notificato al soggetto che, avendo la rappresentanza dell’amministrazione, è legittimato a stare in giudizio per conto di essa e dunque al Presidente, individuato dallo Statuto come rappresentante legale dell’ente;

– la violazione contestata aveva natura permanente che cessava con la riduzione in pristino: di conseguenza, poichè al momento della notifica degli atti di accertamento (11.7.2000), la riduzione in pristino non era avvenuta, la prescrizione quinquennale non era maturata alla data di notifica dell’ordinanza ingiunzione (1.7.2005);

– non era ravvisabile la preclusione di precedente giudicato penale L. n. 689 del 1981, ex art. 9, perchè vi era diversità di interessi coinvolti.

3 Per la cassazione di questa sentenza ricorrono P. e F. con quattro motivi a cui resiste con controricorso l’Ente Parco Regionale (OMISSIS) (già Consorzio di Gestione del Parco Regionale (OMISSIS)) deducendo preliminarmente una serie di eccezioni di inammissibilità del ricorso e quindi l’infondatezza dello stesso.

Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 A) Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, sollevata dal controricorrente il quale sostiene che, trattandosi di sentenza depositata il 14.7.2011, il termine per l’impugnazione andava a scadere il 14.7.2012.

L’eccezione è infondata.

E’ vero che la sentenza è stata depositata il 14.7.2011 ma è altrettanto vero che il ricorso risulta spedito per la notifica il 5.10.2012 (come si evince dagli atti), dunque entro il termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c., nella versione in vigore ratione temporis tenendo conto delle sospensioni nel periodo feriale.

B) Va ora esaminata l’altra eccezione, con cui si deduce l’inesistenza-inefficacia della notifica del ricorso effettuata nei confronti di soggetto (il Consorzio di Gestione del Parco del (OMISSIS)) che ha cessato di esistere per avvenuta trasformazione in ente di diritto pubblico in virtù della L.R. 4 agosto 2011, n. 12, quindi ben prima della notifica del ricorso per cassazione: secondo il controricorrente, trattandosi di un fenomeno di successione a titolo universale ex lege tra enti pubblici, viene in rilevo il principio dell’art. 110 c.p.c., a condizione che il ricorso sia correttamente notificato all’ente successore. A sostegno dell’eccezione si richiama una pronuncia di questa Corte, la n. 27293/2005).

Anche tale eccezione è infondata.

Come affermato dalle sezioni unite, la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevi la conoscenza “aliunde” di unc degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., da parte del notificante (v. Sez. U, Sentenza n. 15295 del 04/07/2014 Rv. 631467).

Nel caso di specie, la trasformazione del Consorzio in Ente Parco Regionale (OMISSIS) è avvenuta, secondo quanto dichiara il controricorrente, in virtù della L.R. 4 agosto 2011, n. 12, (successiva quindi al deposito della sentenza di appello avvenuto il 14.7.2011), ma l’evento non risulta mai notificato all’altra parte e dunque, in applicazione del citato principio, deve ritenersi ammissibile la notificazione del ricorso eseguita a mezzo del servizio postale presso il difensore costituito avv. Anna Arduino che ebbe a ritirare il relativo plico (v. relata di notifica).

C) Privo di fondamento è anche il terzo gruppo di eccezioni con cui si deduce l’inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c.:

– per avere la sentenza deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione;

– per essere il ricorso volto a suscitare un ulteriore esame nel merito;

– perchè esso contiene la riproposizione dei motivi di impugnazione contro la sentenza di primo grado;

– perchè privo di autosufficienza.

La legge (art. 370 c.p.c.) estende al controricorso le regole di cui agli artt. 365 e 366 in quanto applicabili e, quindi, anche quella della specificità dei motivi (essendo indubbia la compatibilità del principio col controricorso): ebbene, nel caso in esame, le predette eccezioni si risolvono in mere petizioni di principio, ma non indicano quali sarebbero le questioni decise in conformità con la giurisprudenza, quali i passaggi del ricorso volti ad ottenere una rivisitazione del merito della controversia, quali i motivi che ripropongono le censure mosse contro la sentenza di primo grado e quali i passaggi privi del requisito di autosufficienza, demandandosi così alla Corte di Cassazione un preliminare e soggettivo lavoro di ricerca e selezione, a cui per legge non è tenuta.

1.2 Venendo ai motivi di ricorso, secondo un ordine di priorità logica nella trattazione delle questioni prospettate, opportuno partire dall’esame dell’ultimo motivo (il quarto, per mero errore materiale rubricato sotto il n. V), con cui si denunzia la nullità della sentenza o del procedimento per assenza di motivazione in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., rimproverandosi alla Corte territoriale di avere utilizzato pedissequamente le stesse parole contenute negli scritti difensivi del Consorzio.

Questo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile per difetto di autosufficienza.

Come chiarito dalle sezioni unite di questa Corte ed affermato anche in successive pronunce, nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sè, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale odisciplinare del magistrato (cfr. Sez. U, Sentenza n. 642 del 16/01/2015 Rv. 634091; Sez. 5, Sentenza n. 9334 del 08/05/2015 Rv. 635474).

Nel caso di specie, i ricorrenti con la censura in esame non contestano nè la attribuibilità delle le ragioni della decisione all’organo giudicante, nè specificamente la chiarezza o esaustività della motivazione, limitandosi invece a segnalare (v. pag. 31 del ricorso) l’utilizzo delle stesse argomentazioni del Consorzio anche con identiche parole nonchè (v. pag. 32) la mancata considerazione di “altri elementi, pur prospettati in maniera analitica dalla difesa e suffragati da idonea documentazione”, senza però neppure indicare quali sarebbero gli elementi e i documenti che, se valutati, avrebbero condotto a ribaltare l’esito del giudizio (il che rende la censura priva di autosufficienza).

2 Passando all’esame delle altre doglianze, col primo motivo si deduce la violazione della L. n. 689 del 1991, art. 23, artt. 163 e 164 c.p.c.: secondo i ricorrenti, per l’autorità che ha emesso l’atto (unico legittimato passivo nel giudizio di opposizione) si intende l’organo che all’interno dell’ente ha emanato l’ordinanza e cioè il Direttore. Rilevano in ogni caso che la costituzione del Consorzio ha sanato ogni irregolarità.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

Secondo un principio generale, senz’altro da ribadire, l’interesse ad impugnare va apprezzato in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata(Sez. 2, Sentenza n. 15353 del 25/06/2010 Rv. 613939; Sez. L, Sentenza n. 26921 del 10/11/2008 Rv. 605404).

Orbene, avendo la Corte d’Appello ritenuto censurabile la pronuncia di inammissibilità resa dal giudice di prime cure e deciso comunque la causa nel merito in considerazione della linea difensiva adottata dal Consorzio (che ha anche contraddetto nel merito: v. pag. 8 e segg. sentenza impugnata), non si riesce allora a comprendere quale utilità pratica possano conseguire i ricorrenti da una soluzione favorevole in diritto alla tesi della legittimazione, nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione, del Direttore del Consorzio piuttosto che del Presidente pro tempore.

3 Con il secondo motivo, denunziandosi la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 28, si pone la questione della natura istantanea o permanente della violazione. I ricorrenti optano per la prima soluzione (evidenziando la natura della violazione contestata, riguardante il mutamento di destinazione del fondo e l’alterazione dei caratteri morfologici del bosco), e pertanto rimproverano alla Corte d’Appello di non avere accolto l’eccezione di prescrizione quinquennale del diritto a riscuotere la somma. Sostengono che la condotta era cessata in data anteriore all’accertamento della violazione, sicchè la notifica dell’ordinanza ingiunzione era avvenuta oltre il termine quinquennale di prescrizione. Rilevano inoltre che, non avendo la società la disponibilità materiale dell’area, per loro non sarebbe stato neppure possibile provvedere alla riduzione in pristino. Sempre secondo i ricorrenti, anche a voler considerare come dies a quo la data dell’accertamento (20.4.2000), discende ugualmente che al momento della notifica dell’ordinanza ingiunzione (1.7.2005) il termine prescrizionale di cinque anni era già decorso.

Il motivo è infondato.

Censurando la sentenza d’Appello riguardo alla questione della decorrenza della prescrizione, il motivo devolve a questa Corte l’individuazione dell’esatto diritto applicabile su tale punto, e pertanto si deve riesaminare la decisione su di esso resa dalla Corte territoriale, venendo messo in discussione l’intero ragionamento in iure che la sorregge.

Dispone la L. n. 689 del 1981, art. 28, che “Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione.

L’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile”.

Nel caso di specie, come eccepito in controricorso e in memoria dall’Ente, la tesi dei ricorrenti, imperniata sulla natura istantanea della violazione, non porterebbe comunque all’accoglimento dell’eccezione di prescrizione perchè – lo si legge a pagg. 3 e 19 del ricorso – in data 7.7.2000 e 11.7.2000 venne notificato il verbale di accertamento della violazione redatto in data 3.7.2000. Orbene, non essendovi alcun dubbio sul fatto che tale verbale, quale atto tipico del procedimento, sia idoneo a produrre l’effetto interruttivo della prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c. (cfr. tra le tante, Sez. 2, Sentenza n.185 del04/01/2011Rv. 615496non massimata; v. ancora, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1081 del 18/01/2007 Rv. 594480; Sez. 1, Sentenza n. 3124 del 16/02/2005 Rv. 579807; Sez. 1, Sentenza n. 9520 del 13/07/2001 Rv. 548129), deve concludersi che alla data di notifica dell’ordinanza ingiunzione, 1.7.2005, il termine prescrizionale di cinque anni non fosse ancora spirato perchè con il primo atto interruttivo (notifica del verbale di accertamento in data 7.7.2000) ebbe inizio un nuovo termine di prescrizione quinquennale, secondo la regola generale dell’art. 2945 c.c., con scadenza, quindi, al 7.7.2005.

Solo per completezza il caso di ricordare che, come affermato dalle sezioni unite, l’eccezione di interruzione della prescrizione integra un’eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, “può essere rilevata d’ufficio dal giudice in qualunque stato e grado del processo sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti”. (Sez. U, Sentenza n. 15661 del 27/07/2005 Rv. 583491, soprattutto in motivazione, principio a cui è stata data continuità anche con la successiva Ordinanza interlocutoria Sez. U, n. 10531 del 07/05/2013 Rv. 626194, sempre in motivazione).

4 Resta a questo punto da esaminare il terzo motivo con cui si denunzia la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 9, comma 2: secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello avrebbe dovuto ritenere preclusa l’applicazione della sanzione perchè per i medesimi fatti era intervenuta una precedente condanna penale per reati in materia di rifiuti e violazioni ambientali. Contestano il giudizio di plurioffensività espresso dalla Corte milanese.

Questo motivo è anch’esso infondato.

Come già affermato da questa Corte, in tema di sanzioni amministrative, la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, comma 2, – a tenore del quale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale – in tanto opera in quanto le norme sanzionanti un medesimo fatto si trovino fra loro in rapporto di specialità, che deve essere escluso quando sia diversa l’obiettività giuridica degli interessi protetti dalle due norme. Non sussiste, pertanto, un rapporto di specialità tra le disposizioni penali a protezione dell’ambiente di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, artt. 146, 151 e 163, e le norme a protezione del vincolo idrogeologico di cui alla L.R. Lombardia 5 aprile 1976, n. 8, art. 25, e art. 55 del regolamento regionale Lombardia 23 febbraio 1993, n. 1, che configurano come illecito amministrativo l’esecuzione di lavori di scavo in assenza o in contrasto con l’autorizzazione forestale; nè è ravvisabile, tra le anzidette norme, un rapporto di pregiudizialità tale da configurare l’accertamento dell’illecito amministrativo come antecedente logico necessario per l’esistenza del reato e così da determinare quella connessione obiettiva che, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 24, comporta lo spostamento delle competenze all’applicazione della sanzione dell’organo amministrativo al giudice penale in proposito Sez. 2, Sentenza n. 28379 del 22/12/2011 Rv. 620663; v. altresì Sez. 1, Sentenza n. 5047 del 08/03/2005 Rv. 579684).

Il predetto principio si attaglia perfettamente al caso di specie in cui si discute (come riporta lo stesso ricorso a pagg. 26 e 27) di sanzioni amministrative applicate per violazioni della L.R. n. 8 del 1976, art. 25 e del Regolamento Regionale n. 1/1993, art. 55, mentre il procedimento penale riguardava reati in materia di rifiuti non pericolosi (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2) e di ambiente (D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163, in relazione alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c, come sostituito dal D.Lgs. n. 378 del 2001, art. 44, lett. c): quindi diversa l’obiettività giuridica degli interessi protetti dalle norme penali (ambiente) e dalle norme amministrative di cui all’ordinanza ingiunzione (vincolo idrogeologico), come pure da questa Corte già osservato (v. sentenza n. 28379 del 22/12/2011 cit., in motivazione).

In conclusione, il ricorso va respinto e i ricorrenti, per il principio della soccombenza, vanno condannati in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2017

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