Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 42 del 28/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 42 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MASTROPIETRO ANTONIO N. IL 05/08/1969
avverso l’ordinanza n. 3509/2014 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
03/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI lette/sentite le conclusioni del PG Dott.” 2r~ Sco
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Data Udienza: 28/11/2014

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza resa in data 3 giugno 2014 il Tribunale di Napoli, costituito ai
sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza in data 9 maggio 2014 con
la quale il G.I. P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva disposto la misura
cautelare della custodia in carcere nei confronti di Pietro Antonio Mastropietro, siccome

omicidio, detenzione e porto illegali di armi da sparo clandestine e ricettazione.
1.1 A fondamento della decisione il Tribunale evidenziava che a carico
dell’indagato erano state acquisite le attendibili e convergenti dichiarazioni auto ed
eteroaccusatorie rese dai coindagati Antonio Capone, Antonio Iazzetta, Nuzzo Rosario
Esposito e Domenico Ronga, i quali avevano ammesso le loro responsabilità e chiamato
in correità il Mastropietro. In particolare, costoro avevano descritto:
– la rapina tentata alla gioielleria OGM Momenti Preziosi di Maddaloni della mattina del
giorno 27 aprile, per la cui organizzazione il Capone, grazie ad altra precedente
analoga azione criminosa, tentata il 7 e 1’8 febbraio 2013, in danno di quell’esercizio,
aveva coinvolto l’indagato, in quanto basista del gruppo in Maddaloni, affinchè fornisse
informazioni sugli orari dì svolgimento dell’attività e sulla presenza del personale e
restasse in attesa dei complici all’esterno del negozio per fornire loro appoggio
logicistico nella fuga;
– la rapina tentata di cui al capo e), commessa nel pomeriggio dello stesso giorno 27
aprile, per la quale erano stati acquisiti anche le immagini filmate dagli impianti di
videoripresa, che avevano registrato quattro passaggi effettuati dall’autovettura
dell’indagato con a bordo i complici prima e dopo il tentativo ed i dati del traffico
telefonico della sua utenza cellulare, che aveva agganciato celle di Maddaloni in
concomitanza con l’azione criminosa;
– l’affidamento in custodia al Mastropietro delle armi da impiegare nelle due rapine
perché le conservasse in luogo sicuro convenuto e ve le riportasse ad azione compiuta;
– la sparatoria che si era verificata in occasione della rapina tentata nel pomeriggio del
27 aprile tra il gruppo di rapinatori e le forze dell’ordine, allertate dai sospetti della
commessa della gioielleria, che aveva riconosciuto uno dei malviventi nel soggetto
filmato in occasione di altra aggressione a diverso esercizio gestito dalla stessa
famiglia, conflitto a fuoco nel corso del quale era deceduto l’app.dei Carabinieri Tiziano
Della Ratta ed il m.11o Torretta era stato gravemente ferito.
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ravvisava il pericolo di recidivazione
specifica in ragione del giudizio negativo sulla personalità dell’indagato, inserito in
circuiti criminali dediti professionalmente alle rapine e già denunciato per associazione
a delinquere e diversi reati fine contro il patrimonio e della gravità oggettiva dei delit

gravemente indiziato dei reati di concorso in tentata rapina aggravata, tentato

ascrittigli, ritenendo irrilevanti lo svolgimento di attività lavorativa ed anche le sue
condizioni di salute, risultate compatibili con lo stato detentivo all’esito dell’espletata
perizia medico-legale, che non lo avevano trattenuto dal prendere parte a quei fatti
criminosi. Considerava dunque quella applicata l’unica misura idonea ad impedire la
reiterazione di altri gravi reati.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’indagato a

a) inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 192 e 273 cod. proc. pen. per vizio
di motivazione in ordine alla valutazione delle chiamate in correità, condotta in
difformità dei criteri enunciati in via programmatica. Secondo il ricorrente:
-le dichiarazioni rese dal coindagato Domenico Ronga non erano state considerate alla
luce della sua vita anteatta di pregiudicato, delle ragioni della confessione, resa per
tentare di ridurre le proprie responsabilità, in contrasto col requisito del disinteresse
necessario affinchè un chiamante in correità sia affidabile, dell’assenza di spontaneità
per avere potuto leggere tutti gli interrogatori già resi dagli altri coindagati e quindi
avere fornito una descrizione degli eventi, definita dal collegio del riesame “ben
preparata”;
-la narrazione di Antonio Capone, a sua volta pluripregiudicato ed interessato a
mitigare le proprie responsabilità, si era contraddistinta per essere stata fornita nel
corso di tre interrogatori, nei quali egli aveva fornito versioni totalmente antitetiche tra
loro, ma con l’unico punto costante dell’avvenuta comunicazione al Mastropietro
soltanto all’ultimo minuto del suo coinvolgimento nell’esecuzione di una rapina, di cui
in precedenza non aveva saputo nulla, sicchè tali informazioni corrispondevano a
quelle fornite dal ricorrente e lo scagionavano da ogni addebito; inoltre, il Capone
aveva precisato nel corso del secondo interrogatorio di avere mentito agli altri
complici, specie il Ronga, in ordine alla partecipazione all’azione del Mastropietro,
espediente che gli sarebbe valso una quota maggiore dei proventi della rapina col
pretesto di dover remunerare il suo contributo;
-i due dichiaranti, sebbene avessero avuto accesso agli atti processuali,
condizionandosi a vicenda, avevano fornito descrizioni degli eventi non convergenti, se
non quanto alla sostanziale strumentalizzazione inconsapevole del ricorrente, il quale
non era stato partecipe alla preparazione della rapina;
-i riscontri indicati dai giudici cautelari, ossia la breve telefonata e le immagini filmate
dall’impianto di videoripresa, erano stati oggetto di chiarimenti forniti dal ricorrente
mediante dichiarazioni spontanee rese al Tribunale del riesame all’udienza del
20/5/2013, non considerate nella loro valenza scagionante, e comunque tali
circostanze non erano sufficienti ad istituire un collegamento tra la persona ripresa e la

mezzo del suo difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

consumazione della rapina, mentre i contatti telefonici con l’utenza riferibile alla
coindagata Gaglione in realtà erano inesistenti.
b) Violazione di legge in riferimento al disposto dell’art. 309 cod. proc. pen., comma
nono difetto di motivazione in ordine alla valutazione delle esigenze cautelari: il
Tribunale non aveva offerto risposta alle specifiche censure difensive in ordine
all’assenza del pericolo di recidivazione, desunta dalla mancanza di altre pendenze

primo provvedimento cautelare che lo aveva attinto per la vicenda in esame,
dall’assenza di contatti telefonici con la Gaglione ed il suo gruppo criminoso, tematiche
non trattate nemmeno nell’ordinanza genetica.
c) Violazione dell’art. 274 lett. c) cod. proc. pen. ed illogicità della motivazione circa la
sussistenza dell’esigenza cautelare riconosciuta: le argomentazioni dell’ordinanza
impugnata, pur col richiamo a quella originaria, presentano contraddizioni ed illogicità
che ne compromettono la tenuta complessiva, per essersi tradotte in rilievi generali
non riguardanti la sua personalità e la sua condizione, quanto la reazione violenta e
spregiudicata dei rapinatori, a lui non imputabile, posto che egli dalle immagini filmate
non era nemmeno presente ai fatti. Inoltre, non si era considerata l’incensuratezza e lo
svolgimento di regolare attività lavorativa, mentre si era assegnato rilievo ad illogiche
illazioni sull’inizio di tale attività con i proventi di azioni illecite, rimaste prive di
qualsiasi fondamento dimostrativo.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.
1.Va premesso che il provvedimento in verifica ha confermato ordinanza
applicativa della misura custodiale dopo che altre due precedenti, emesse per i
medesimi fatti di reato, erano state, la prima annullata dal Tribunale del riesame nei
confronti del Mastropietro per carenza di gravità indiziaria, la seconda dichiarata
inefficace per un difetto di notificazione del decreto di fissazione dell’udienza camerale
ad uno dei suoi difensori. La prima decisione, attinente al merito della vicenda
cautelare, era stata giustificata in ragione:
a) della ritenuta inattendibilità delle propalazioni rese dal coindagato Antonio Capone, il
quale aveva negato la partecipazione di Vincenzo Della Valle ed affermato quella di
Paolo Brucci ma in modo inconsistente e non riscontrato, ma aveva assegnato al
Mastropietro il ruolo di basista della rapina tentata in danno della gioielleria “OCM
Momenti preziosi” di Maddaloni per averne egli indicato l’ubicazione ai complici,
incaricati dell’esecuzione, nel corso del sopralluogo mattutino;

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giudiziarie nonostante la rimessione in libertà disposta a seguito di annullamento del

b) dell’assenza di riscontri a tale chiamata in correità, dal momento che il coindagato
Paolo Brucci aveva soltanto riferito della presenza del Mastropietro e l’altro coindagato
Antonio Iazzetta aveva assegnato il ruolo di basista a persona diversa, ossia a
Vincenza Gaglione, mentre la telefonata intercorsa tra il ricorrente e tale Angelo non
meglio identificato, nel corso della quale il primo aveva risposto affermativamente alla
domanda dell’interlocutore sulla sua presenza nella gioielleria rapinata, non offriva

che poteva anche contenere una negazione, espressa con tono ironico.
1.1 Tanto premesso, il Tribunale ha ritenuto di poter superare le perplessità
esposte nel precedente provvedimento di annullamento in ragione
dell’implementazione del materiale indiziario nel frattempo acquisito, in specie della
sopravvenuta acquisizione delle dichiarazioni ammissive del coindagato Domenico
Ronga. Ha dunque espresso il convincimento circa la piena credibilità delle chiamate in
correità, formulate a carico del ricorrente dal Ronga e dal Capone, suoi presunti
complici, in quanto provenienti da soggetti partecipi dei fatti descritti, di cui avevano
avuto conoscenza diretta, che avevano ammesso pesanti responsabilità personali e non
erano animati da intenti calunniatori o dall’induzione operata dagli inquirenti e, sotto il
profilo intrinseco, le stesse erano corredate dall’illustrazione dettagliata e completa,
priva di contraddizioni, delle circostanze di realizzazione dei delitti ammessi.
Ha dunque riscontrato positivamente il valore dimostrativo delle informazioni
fornite dal Ronga, il quale per primo aveva riferito che la mattina di quel giorno non si
era svolta soltanto una perlustrazione dei luoghi nei pressi della gioielleria: Antonio
Iazzetta e Vincenza Gaglione erano entrati all’interno dell’esercizio per attuare la
rapina, impedita però dal pretesto della chiusura della cassaforte temporizzata, col
quale la commessa presente, che aveva riconosciuto lo Iazzetta nell’autore di
precedente rapina in danno di altro negozio della stessa famiglia, aveva preso tempo
per allertare le forze dell’ordine, invitando i rapinatori a fare ritorno nel pomeriggio.
Tale circostanza era stata riscontrata dalle indagini compiute e dalle dichiarazioni del
Capone.
In merito alle dichiarazioni di tale collaborante, il collegio del riesame ha
osservato che le indicazioni circa il sopralluogo preliminare eseguito mediante
passaggio nei pressi dell’esercizio preso di mira, a bordo di veicolo condotto dal
Mastropietro hanno trovato riscontro nelle immagini, filmate prima che iniziasse la
rapina dalle telecamere installate presso la gioielleria e la vicina tabaccheria, ritraenti
appunto il ricorrente alla guida con a bordo il Capone ed il Ronga. Ha aggiunto che i
rilievi svolti nella precedente ordinanza sull’inattendibilità del Capone potevano essere
superati, in quanto costui nel secondo interrogatorio del 18/11/2013, da un lato aveva
meglio specificato la chiamata in correità nei riguardi del Della Valle e del Brucci, tanto
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dimostrazione certa di tale circostanza per la laconicità ed equivocità della risposta,

che costoro erano stati attinti a loro volta da provvedimento custodiale definitivo,
dall’altro aveva arricchito le informazioni fornite sul conto del Mastropietro,
consentendo di colmare le lacune inizialmente riscontrate.
Infine, sul punto, particolare di non poco rilievo, ha affermato che la difesa con
l’atto di riesame non aveva formulato specifiche censure in merito all’attendibilità dei
chiamanti in correità e sulle loro complessive dichiarazioni.

allegazione, tale rilievo, che ha semplicemente ignorato; si è dunque affidato a
contestazioni sull’erroneo procedimento valutativo delle chiamate in correità, formulate
per la prima volta in sede di legittimità e non previamente sottoposte all’esame del
collegio del riesame, senza avvedersi che, trattandosi di profili attinenti
all’apprezzamento della genuinità e della valenza dimostrativa del materiale probatorio
raccolto, ossia al giudizio sul fatto, tali censure non possono essere prese in esame
dalla Corte di Cassazione direttamente, ma soltanto nella considerazione critica della
motivazione di un provvedimento di merito che se ne sia già occupato.
Resta comunque la constatazione del corretto e ben giustificato procedimento di
verifica sull’affidabilità dei coindagati chiamanti in correità, condotto dal Tribunale, a
fronte del quale la difesa oppone obiezioni generiche e comunque infondate. Sotto il
primo profilo si assume che la condizione di pregiudicati del Ronga e del Capone,
l’interesse ad alleggerire le loro rispettive posizioni processuali, l’assenza di
spontaneità per avere mutuato la conoscenza dei fatti riferiti dalla lettura degli atti
processuali, li renderebbe inattendibili: nella prospettazione difensiva non si
comprende però quale influenza possano avere i precedenti penali dei dichiaranti, in
quale modo le accuse mosse al ricorrente li scagionino, quali circostanze o particolari
sarebbero stati appresi dagli atti e non dall’esperienza personale e diretta di soggetti
coinvolti in prima persona nel progetto criminoso poi attuato. Il che tanto più rileva in
quanto dall’ordinanza del riesame emerge che essi avevano per primi accusato se
stessi della partecipazione ai delitti descritti, sicchè dal coinvolgimento del Mastropietro
non potevano sperare di conseguire l’impunità e che alcuni particolari fattuali dagli
stessi riferiti per primi, quindi in modo originale e spontaneo, avevano trovato puntuale
riscontro nelle indagini successive.
Sotto diverso profilo, l’assunto che pretende la narrazione di Antonio Capone
confermativa della tesi difensiva incorre in genericità e soffre del difetto di
autosufficienza del ricorso, che non allega i verbali d’interrogatorio del collaborante, né
cita specifici passaggi dell’ordinanza applicativa della misura contenenti la citazione
testuale delle sue dichiarazioni. Tale carenza pregiudica la possibilità di tener conto di
tali doglianze, perché, a fronte delle osservazioni del Tribunale sul contenuto
accusatorio delle propalazioni del Capone, non si dimostra un travisamento della pr

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1.2 Ebbene, il ricorso in primo luogo non supera, nemmeno a livello di

né che essa abbia un contenuto informativo corrispondente a quello citato nel ricorso.
In altri termini, non si dimostra in modo rituale e corrispondente ai requisiti del mezzo
di gravame esperito che il ricorrente avrebbe offerto ai coindagati un’incolpevole ed
inconsapevole collaborazione per non essere stato messo a parte in via preventiva del
progetto di rapina, appreso soltanto all’ultimo minuto.
Altrettanto generiche e non illustrate in riferimento ai profili fattuali coinvolti è la

chiamanti in correità, il che non consente di apprezzare l’effettiva sussistenza dei vizi
di violazione di legge e di illogicità della motivazione denunciati.
1.3 Per contro, l’ordinanza seppur con una tecnica espositiva sintetica ed
improntata al rinvio “per relationem” alla più ampia motivazione del provvedimento
confermato, offre comunque l’indicazione degli indizi considerati: ha rilevato che,
quanto al tentativo di rapina di cui al capo C), a carico del ricorrente militavano le
concordi dichiarazioni del Ronga, del Capone e dell’Esposito Nuzzo, come riportate
nell’ordinanza genetica, secondo i quali, fallito il progetto di assalire una gioielleria a
Grumo Nevano, il gruppo di rapinatori aveva deciso di realizzare il colpo a Maddaloni in
danno di esercizio già attenzionato in precedenza. Si erano, pertanto, avvalsi della
collaborazione del Mastropietro, il quale aveva indicato l’obiettivo, fornito informazioni
sugli orari di apertura e sui turni dei dipendenti di quel giorno ed aveva atteso
all’esterno il compimento dell’azione per recuperarne gli autori materiali e condurli al
sicuro. A riscontro di tali convergenti informazioni, il Tribunale ha indicato l’effettivo
contatto telefonico nella mattina del 27 aprile 2013 tra il cellulare del Capone e quello
del Mastropietro e quanto emerso dagli accertamenti di p.g. sulla pregressa
conoscenza tra questi, il Capone, lo Iazzetta ed il Brucci e sul coinvolgimento, desunto
dalle comunicazioni telefoniche intercettate, dei primi due nel tentativo di rapina
attuato in danno della stessa gioielleria di Maddaloni tra il 7 e l’8 febbraio di quell’anno,
non andato a buon fine per cause indipendenti dalla loro volontà: tale antefatto è stato
indicato a giustificazione del rapido mutamento di programma e dell’altrettanto
agevole organizzazione della rapina di quell’esercizio, già ampiamente studiata e
preparata in precedenza. In ordine al successivo e più tragico tentativo, attuato nel
pomeriggio, sono stati valorizzati: a) le stesse fonti dichiarative; b) le immagini tratte
dai filmati degli impianti di videoripresa collocati nei pressi del negozio OGM Momenti
preziosi, attestanti quattro passaggi dal luogo dell’autovettura del Mastropietro, da
questi condotta -dato certo incontestato- nel primo transito con a bordo il Ronga ed il
Capone, negli altri tre con solo il Capone, nei minuti immediatamente antecedenti e
successivi all’esecuzione del delitto, nonché il passaggio delle altre vetture dei
rapinatori secondo la narrazione dei coindagati; c) i dati del traffico telefonico,
dimostrativi dell’avvenuto aggancio da parte del cellulare del ricorrente, nonché degl
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doglianza sulla divergenza e contraddittorietà delle versioni dei fatti, offerte dai

altri componenti della banda di assalitori, alle celle di Maddaloni ed in specie quelle a
servizio dell’area ove è ubicato l’esercizio rapinato, prima e subito dopo il delitto. Da
tale compendio si è dedotto che la sua presenza sui luoghi non era stata affatto
casuale, come preteso nelle sue dichiarazioni spontanee, ma funzionale a svolgere
attività di appoggio a quanti stavano eseguendo la rapina. In ordine al ruolo di custode
delle armi impiegate nell’azione il Tribunale ha ravvisato i gravi indizi di reità in

riscontrate anche sul piano logico per l’esigenza dei correi di non circolare armati nel
lasso di tempo intercorso tra il primo ed il secondo tentativo e quindi di contare su un
nascondiglio sicuro, ma non troppo remoto dai luoghi d’interesse. Ed, infine, la sua
partecipazione alla fase preparatoria ed esecutiva dei due tentativi, da compiersi con
armi da fuoco, ha giustificato la configurabilità a livello indiziario della sua
responsabilità a titolo di concorso morale anche in ordine ai due delitti di omicidio e
tentato omicidio, in quanto esiti prevedibili ed accettati nella loro verificazione, di un
assalto attuato a mano armata.
A fronte di un quadro probatorio, debitamente analizzato, le cui emergenze sono
state considerate con metodo corretto e privo di vizi logici, di cui la motivazione dà
conto in modo sufficiente e comprensibile, il ricorso ripropone la stessa versione dei
fatti, riduttiva e non esauriente, fornita dal ricorrente nelle sue spontanee
dichiarazioni. Trascura però come sia documentato e non giustificato altrimenti il suo
transito in autovettura poco prima della rapina dal luogo della sua esecuzione, -e non
dopo, come preteso-, con a bordo sia il Capone, che il Ronga; che alcuna
giustificazione plausibile e ragionevole si è offerta per quei reiterati passaggi da quel
luogo; che l’assenza di contatti con il cellulare della Gaglione non esclude il
collegamento con

i rapinatori, mantenuto attraverso il Capone e che del suo

coinvolgimento nel progetto di rapina da parte del Capone e di altri malviventi di
Maddaloni, risalente al febbraio di quell’anno, in danno della stessa gioielleria non si è
offerta alcuna smentita. Tanto è sufficiente per respingere il primo motivo di gravame.
2. Con i restanti motivi il ricorrente si duole delle valutazioni espresse dal
Tribunale in ordine alla ritenuta sussistenza del pericolo di recidivazione specifica:
premesso che lo stato di incensuratezza assume un rilievo soltanto formale, dal
momento che il Tribunale ha evidenziato la denuncia sporta a suo carico per
associazione a delinquere e reati contro il patrimonio, il giudizio sulla sua personalità è
stato ancorato ai fatti ed alla loro oggettiva gravità, alla prestata collaborazione ad un
gruppo di malviventi ben organizzati, in possesso di armi clandestine e veicoli di
origine illecita, spregiudicati e violenti, che, quando scoperti, non avevano esitato a
sparare all’impazzata contro i Carabinieri, uccidendone uno e ferendone gravemente
l’altro, per conseguire l’impunità. E sebbene tali comportamenti non siano direttamen

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considerazione delle concordi indicazioni del Capone e del Ronga, che ha ritenuto

Trmta copia x art. 23

n. 1
Roma, lì

. 332

riferibili alla sua persona, è certo che egli era a conoscenza dei metodi da impiegare,
compreso l’uso delle armi e che non era nuovo a simili iniziative per averle
programmate in precedenza, secondo quanto esposto dai giudici cautelari, né a legami
con personaggi dediti alle rapine in modo continuativo.
Ha quindi considerato che la dedizione ad attività lavorativa non poteva costituire
un profilo positivo a suo favore, dal momento che non lo aveva trattenuto dal prendere

periodo successivo alla sua precedente scarcerazione è stato considerato elemento non
decisivo a fronte degli altri profili negativi sopra evidenziati.
Pertanto, per quanto sintetiche, tali osservazioni danno conto in modo logico e
sufficiente sotto il profilo dell’efficienza esplicativa del giudizio negativo sulla sua
personalità e delle ragioni del ravvisato pericolo di recidivazione specifica.
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al Direttore
dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2014.

parte ad azioni così gravi e pericolose, mentre l’assenza di altre condotte criminose nel

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