Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 53118 del 08/10/2014

Penale Sent. Sez. 6 Num. 53118 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sui ricorsi proposti da

C.C.,

B.B.

nato il 14 luglio1982,

A.A.
dicembre 1976 avverso la sentenza 29 aprile 2013 della Corte di
appello di Reggio Calabria, che ha parzialmente riformato la sentenza
31 maggio 2011 del G.U.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale Mario Fraticelli che ha concluso chiedendo: per C.C., l’annullamento con rinvio, limitatamente alla pena base, ed

Data Udienza: 08/10/2014

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annullamento senza rinvio per l’aggravante della transnazionalità, in
relazione al capo E) e al relativo aumento di pena; rigetto nel resto.
Per le ricorrenti A.A.  conclude chiedendo

relazione al capo E) e del relativo aumento di pena. Rigetto nel resto.
Per gli altri ricorrenti M.M. e B.B. conclude per il
rigetto dei ricorsi. Sentiti altresì: il difensore della parte civile Provincia
di Reggio Calabria, avv. Pietro Catanoso che si è riportato alle
conclusioni scritte, depositate con nota spese; nonché i difensori dei
ricorrenti: l’avv. Fortunato Russo che, per A.A., ha chiesto
l’annullamento con rinvio per il calcolo della pena base, mentre si è
associato al Procuratore generale per la richiesta di annullamento
senza rinvio per l’aggravante della transnazionalità, richiamandosi per
il resto ai motivi; l’avv.Sisto Vecchio ha chiesto l’annullamento senza
rinvio per B.B.; l’avv. Antonino Curatola, per C.C., si è
richiamato ai motivi di impugnazione; l’avv. Carnuccio, per A.A.
ha concluso per l’accoglimento dell’impugnazione e
l’annullamento con rinvio relativamente alla pena base.
RITENUTO IN FATTO
1. C.C., M.M., B.B., A.A. ricorrono, a mezzo dei
loro difensori ; avverso la sentenza 29 aprile 2013 della Corte di appello
di Reggio Calabria che ha parzialmente riformato la sentenza 31
maggio 2011 del G.U.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria,
escludendo per A.A., C.C. e
B.B. la circostanza aggravante di cui all’art. 4 legge 146 del
2006 con riferimento al reato di cui al capo A), nonché nei confronti del
B.B. la circostanza aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91 con
riferimento ai reati di cui ai capi H) ed I), rideterminando la pena nei
confronti di A.A. in anni otto di reclusione, nei confronti di

l’annullamento senza rinvio per l’aggravante della transnazionalità in

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A.A. e C.C. in anni sette e mesi quattro di
reclusione e nei confronti di B.B. in anni sei e mesi otto di
reclusione e confermando integralmente le statuizioni a carico di
2. I fatti oggetto del presente giudizio, concernono l’esistenza e
l’operatività di una associazione mafiosa data dalla articolazione,
denominata cosca, operante, secondo
l’accusa, in Italia, nel territorio di San Luca, ed in Germania nel
territorio di Kaarst e Duisburg, e sono emersi a seguito dell’attività
investigativa coordinata dalla Direzione Distrettuale di Reggio Calabria
in territorio italiano e all’estero, in collaborazione con le competenti
autorità giudiziarie e forze di Polizia, in seguito alla commissione in
data 15 agosto 2007 della cosiddetta strage di Duisburg.
3. Per la corte distrettuale, che aderisce alle considerazioni del
G.U.P., il comune di San Luca, ricadente nel territorio della provincia di
Reggio Calabria, aveva assunto una posizione eminente nella storia
della ‘ndrangheta, tanto da essere denominato “casa madre della
‘ndrangheta”, posto che al suo interno erano state individuate 39
famiglie mafiose, alcune delle quali legate da vincoli di parentela, altre
in conflitto tra loro, comunque tutte dedite alla commissione di reati
anche al di fuori del territorio calabrese, tanto da arrivare ad assumere
una connotazione internazionale.
4. La Corte di appello riprende sul punto l’analisi contenuta nella
sentenza emessa dal GUP di Reggio Calabria il 19-3-2009 nel processo
a carico di Aguì + 45 (c.d. Fehida) in cui era ricostruita l’origine storica
del fenomeno associativo in questione e spiega come le famiglie di
San Luca fossero cresciute nel tempo, in termini di autorevolezza
nell’ambito della ‘ndrangheta, grazie anche alle alleanze con i gruppi
criminali di Platì e Africo nella comune gestione dei sequestri di

M.M..

4

persona, ed

a seguito delle condotte di traffico di sostanze

stupefacenti su larga scala.
4.1. Al vertice del gruppo di San Luca si era posto, all’inizio degli

era accresciuta dal patto stipulato con il boss di Africo Morabito
Giuseppe alias , che risultava essere, sulla base di quanto
emerso nell’ambito del processo , il capo del cosiddetto
mandamento ionico.
4.2. Anche il gruppo degli A.A.-I.I. aveva accresciuto la
propria influenza coalizzandosi con altre famiglie, continuando a
dedicarsi alle tradizionali attività criminali, evitando di inserirsi nel
settore del traffico di stupefacenti, appannaggio del gruppo capeggiato
da Gambazza.
4.3. L’importante riferimento a San Luca è stato spiegato anche
con il fatto che la ‘ndrangheta ha il suo luogo principale a San Luca,
comune nel quale ricade il famoso santuario-monastero della Madonna
di Polsi, ove si tiene ogni anno, all’inizio di settembre, una riunione in
coincidenza con la festa della Madonna alla quale generalmente San
Luca manda un suo componente per il “battezzo” del neo costituito
locale di ‘ndrangheta.
4.4. Nelle due decisioni di merito sono stati elencati una serie di
fatti delittuosi, ricondotti alla c.d. faida di San Luca, che hanno
preceduto temporalmente la strage di Duisburg, ritenuta l’ultima e più
grave espressione della contrapposizione fra i gruppi criminali dei
A.A. da un lato e V.V. dall’altro.
4.5. Il primo giudice, alla luce degli elementi in atti, consistenti
in un’intensa attività di intercettazione delle comunicazioni via chat
intercorse tra alcuni degli odierni imputati, nonché negli esiti
dell’attività di pedinamento, svolta anche in territorio estero, culminata
con l’arresto di F.F. cl. 73 avvenuto ad opera della polizia

anni novanta, A.P., alias , la cui autorevolezza

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olandese ad Amsterdam il 23-11-2008 e  ha ritenuto
l’esistenza all’interno dell’associazione mafiosa

denominata

della stessa, non soltanto in San Luca e paesi limitrofi, ma anche in
Germania ed in particolare a Kaarst ed a Duisburg.
4.6. Il G.U.P. ha denominato tale articolazione operante in
Germania come “cellula di Kaarst” dal nome della cittadina tedesca
sita nei pressi di Duisburg, ove si erano stabiliti alcuni dei componenti
dell’associazione: la cellula di Kaarst rappresenterebbe quindi una
propaggine all’estero dell’organizzazione criminale di base.
4.7. Secondo la ricostruzione dei fatti, a Kaarst aveva deciso,
con ogni probabilità, di appoggiarsi durante la latitanza Romeo
Francesco, raggiunto da ordinanza emessa nell’ambito dell’Operazione
Drina per traffico di sostanze stupefacenti, come dimostra il
rinvenimento nell’appartamento di GG, sito appunto in
Kaarst, nel corso di una perquisizione eseguita in data 24-8-2007, del
passaporto italiano intestato al predetto Romeo.
4.8. La suddetta organizzazione criminale, secondo quanto
riferito anche da Rechichi Antonio, era capeggiata da GG
e di essa facevano parte oltre a lui stesso e nelle due
pizzerie italiane, “XX” e “YY”- site nella suddetta località e
gestite entrambi da GG, sono state individuate le basi
della suddetta cellula criminale.
4.9. In conclusione, la scansione nel tempo della faida di San
Luca, culminata con la strage di Duisburg del 15 agosto 2007, nella
quale furono uccisi sei giovani originari di San Luca, ha visto
contrapposti, in modo irreversibilmente cruento e per anni, i clan PelleVottari e F.F.-AA: gli imputati AA

`ndrangheta della cosca denominata F.F.-Versu e l’operatività

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C.C. e B.B. sono stati ritenuti appartenenti a
tale associazione, operante anche dopo la strage di Duisburg al cui
interno era esistente un gruppo particolarmente attivo del quale
giudiziari, e che hanno potuto fattivamente contare, durante la
latitanza, di una rete di efficace supporto e favoreggiamento.
4.10. Il G.U.P. ha poi evidenziato le circostanze che consentono
di considerare armata l’associazione tra cui la riconducibilità alla cosca
delle armi rinvenute in data 20 maggio 2007 presso il cimitero vecchio
di San Luca.
4.11. Il primo giudice ha inoltre ritenuto sussistente
l’aggravante speciale di cui agli artt. 3 lett. b) e c) e 4 della L.
146/2006 essendo stato accertato un reato transazionale perché
commesso, oltreché in Italia e precisamente a San Luca e territori
limitrofi, anche all’estero e cioè in Germania, segnatamente in Kaarst
e Duisburg ad opera di un gruppo organizzato che ha dimostrato di
svolgere attività criminali in più stati.
5. la Corte di appello, con la decisione oggi impugnata, ha
parzialmente riformato la sentenza 31 maggio 2011 del G.U.P. presso il
Tribunale di Reggio Calabria, escludendo perAA, C.C. e B.B. la circostanza aggravante di
cui all’art. 4 legge 146 del 2006, con riferimento al reato di cui al capo
A), nonché nei confronti del B.B. la circostanza aggravante di cui
all’art. 7 L. 203/91 con riferimento ai reati di cui ai capi H) ed I),
rideterminando la pena nei confronti di AA in anni otto di
reclusione, nei confronti di AA e C.C. in anni
sette e mesi quattro di reclusione e nei confronti di B.B. in
anni sei e mesi otto di reclusione e confermando integralmente le
statuizioni a carico di M.M..

facevano parte persone che si erano sottratte a provvedimenti

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5.1 Quanto ai legami ed alle relazioni parentali va
preliminarmente rilevato:
a)

che AA sono sorelle di

AA

della strage di Duisburg del 15 agosto 2007;
b) che AA è inoltre la nuora di F.F. cl.
’40, condannato con sentenza irrevocabile per sequestro di persona a
scopo di estorsione e considerato partecipe della strage di Duisburg;
c) che le imputate sono inoltre sorelle di AA,
coniugata con F.F., ritenuto anch’egli uno dei promotori
dell’organizzazione criminosa: all’epoca dei fatti, sia F.F. che
GG risultavano latitanti in Olanda e proprio per prestare
loro soccorso sarebbe stato organizzato dalle odierne imputate il
viaggio nel novembre 2008;
d) che C.C. è cugino dei predetti AA.
5.2. Per la gravata sentenza ricorre nella specie l’esistenza di
una stabile struttura organizzativa che controlla il territorio t avvalendosi
della forza di intimidazione del vincolo associativo con le conseguenti
condizioni di assoggettamento e di omertà; in particolare la condotta
posta in essere da AA era rivolta ad
agevolare l’intera organizzazione e non i singoli.
5.3. Le due donne difatti non hanno esitato a recarsi in Olanda
per fornire assistenza al fratello Giovanni, latitante a seguito della
strage di Duisburg, a nascondere armi e denaro dell’associazione, a
depistare gli investigatori per fare perdere loro le tracce del cognato
F.F..

Giovanni, ritenuto uno dei promotori dell’organizzazione ed autore

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CONSIDERATO IN DIRITTO
I. C.C..

1.1. C.C., cugino di primo grado di A.A.
rimasto ferito il 25 dicembre 2006 nell’agguato teso dalla cosca
avversaria dei Pelle -Vottari, è stato ritenuto dal G.U.P. colpevole dei
reati di cui ai capi A) ed E (detenzione e porto di due pistole in
Amsterdam il 18 novembre 2008) e condannato alla pena di anni otto
di reclusione; la Corte di appello ha parzialmente riformato la prima
decisione, escludendo la circostanza aggravante di cui all’art. 4 legge
146 del 2006 con riferimento al reato di cui al capo A), rideterminando
per lui la pena in anni sette e mesi quattro di reclusione.
1.2. Secondo il G.U.P., l’imputato, dopo l’arresto dei mariti delle
AA, avrebbe offerto alle stesse la propria disponibilità ad
accompagnarle in occasione delle visite ai congiunti detenuti ed il
comportamento dell’imputato è stato ritenuto un indice affidabile
dell’appartenenza al sodalizio criminoso; il C.C., infatti, quando i
mariti delle AA, nonchè il fratello delle stesse GG,
si erano dati alla latitanza, aveva trasportato le sorelle AA in
Olanda. L’autovettura sulla quale gli stessi si trovavano veniva infatti
seguita fino ad Amsterdam, dove, in data 23-11-2008, la Polizia
olandese aveva arrestato F.F. e M.M..
1.3. Dagli atti di indagine è emerso inoltre che C.C.
il 18 novembre 2008 aveva partecipato alla fuga delle sorelle AA, le quali, resesi conto di essere
costantemente pedinate, riuscivano, grazie alla collaborazione del
C.C., a far perdere le loro tracce; dalle immagini emergerebbe che il
gruppo nell’occasione trasportava delle borse e degli zaini, che si è
ritenuto contenessero munizioni, armi e denaro.

 

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1.4. In sostanza C.C. sarebbe rimasto in Olanda
proprio per offrire al gruppo ed in particolare alle sorelle AA il suo
apporto collaborativo, che si è rivelato particolarmente utile
una somma di denaro e di una pistola in un nuovo nascondiglio, nel
timore di un’imminente perquisizione dell’appartamento fino ad allora
occupato.
1.5. Per i giudici di merito risulterebbe con chiarezza che il
C.C. si è attivamente adoperato per il raggiungimento dei fini propri
del sodalizio, non essendo rilevante il fatto che tale contributo sia stato
accertato per un lasso di tempo non particolarmente lungo, considerato
che il C.C. è rientrato in Italia in data 21 novembre 2008 (come
documentato dalle videoriprese) da solo e in treno, tenuto conto che
la collaborazione dello stesso si era resa necessaria soprattutto al
momento della partenza e nel periodo iniziale di permanenza in
Olanda.
1.6. Il C.C. si è inoltre operato, unitamente alle sorelle
AA, per occultare il denaro e le armi dell’associazione, con ciò
ponendo in essere una condotta funzionale al raggiungimento degli
interessi del sodalizio, in un momento di fibrillazione, dovuto allo stato
di latitanza di alcuni membri dell’organizzazione e di detenzione di altri
sodali: il C.C. ha quindi svolto un ruolo di estremo rilievo per
l’organizzazione, indicativo della sua appartenenza alla consorteria.
1.7. La conclusione della gravata sentenza è stata pertanto nel
senso che il C.C. debba ritenersi intraneo al sodalizio con un ruolo
operativo e dinamico, avendo svolto un intervento di supporto
all’associazione, espressione evidente della sua attività in sinergia con
il sodalizio e con gli obiettivi dello stesso, implicante sicuro
affidamento nei suoi confronti, come dimostra il fatto che fosse a
conoscenza dei vari nascondigli, ed avendo espresso piena e usuale

nell’occasione della delicata operazione consistita nel trasferimento di

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disponibilità da parte sua ad operazioni rischiose di spostamento di
armi e denaro, in un momento difficile e importante per il
mantenimento degli assetti e degli equilibri interni della cosca.
primo motivo di impugnazione viene dedotta

inosservanza ed erronea applicazione della legge in relazione agli artt.
192 1comma 2 1 e 533 cod. proc. pen., 416 bis cod. pen. e 418 comma 3
cod. pen. , nonché vizio di motivazione sotto il profilo della manifesta
illogicità.
2.1. In particolare si lamenta che il reato associativo sia stato
affermato in assenza dell’indefettibile stabilità e senza comunque
considerare che, se contributo vi sia stato, esso era finalizzato a
prestare aiuto non all’organizzazione, ma solo a persone (le sorelle
A.A.) che non erano neppure attinte, al momento della condotta,
da provvedimenti cautelari.
2.2. Inoltre, quanto all’elemento soggettivo, esso sarebbe stato
inferito, nel protocollo indiziario, utilizzando un dato carente di
univocità nella sua interpretazione, ignorando la diversa praticabile
alternativa che l’aiuto era stato prestato alle sorelle AA quali
«parenti», al di là di ogni nesso associativo connotato da una condotta
volontariamente partecipativa.
2.3. In tale ottica il comportamento del ricorrente sarebbe
inquadrabile nella violazione dei disposti dell’art. 418 cod. pen. /
trattandosi di assistenza agli associati, comunque non punibile in
presenza di fatto commesso in favore di prossimo congiunto -le sorelle
A.A.- e non invece come affermato dalla Corte di appello in favore
di GG e F.F.
2.4. Ritiene la Corte che le doglianze come sopra esposte siano
in parte inammissibili ed in parte infondate.
2.5. Per ciò che attiene all’inammissibilità, questa si estende alle
censure intese a prospettare una interpretazione alternativa

2. Con un

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favorevole, nella lettura delle emergenze processuali, le quali sono
state invece vagliate con doppia conforme disamina dai giudici di
merito, a seguito di un percorso argomentativo privo di illogicità,
relazioni tra le parti, sia nell’applicazione delle norme.
2.6. L’esito di infondatezza residua infine per la parte
dell’impugnazione in cui la difesa tende a svalorizzare il contributo
operativo assicurato dal comportamento dell’imputato e funzionale alla
vitalità e sussistenza dell’organizzazione criminosa, in tal modo
dimenticando il valore essenziale e non fungibile dell’apporto del
C.C., la necessaria sua consapevolezza dell’inserimento della
condotta nel quadro generale della vitalità dell’associazione, nel
perseguimento dei suoi obiettivi, tra cui la preminenza territoriale negli
affari illeciti, nonché la conseguente e coerente tutela dei membri,
resisi responsabili dei gravissimi delitti, funzionali alla continuità ed
all’efficace conseguimento delle utilità criminose fondanti l’entità
organizzata sanzionata dall’art. 416 bis cod. pen. .
2.7. Realtà questa inquadrabile nel contestato delitto del capo
A) e delle ulteriori correlate accuse del capo E), a nulla rilevando, per il
primo delitto, la modesta durata cronologica degli apporti (cfr. cass.
pen. Sez. 1, Sentenza n. 31845/2011, r.v. 250771 e 3685/98, r.v.
212682), rilevante apparendo invece la qualità dell’apporto, il tempo,
le circostanze, le modalità e la stessa efficacia della concordata e
condivisa attività di partecipazione.
2.8. La doglianza va quindi respinta, risultando le prospettate
alternative di lettura delle univoche emergenze processuali
inammissibili in sede di legittimità.
3. Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione per
manifesta illogicità in ordine alla ritenuta detenzione di armi di cui al
capo E, che è stata fondata sulle comunicazioni informatiche di

incongruenze, stacchi narrativi sia nella ricostruzione dei fatti e delle

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A.A.e sugli accertamenti della polizia olandese, e,
comunque senza alcuna prova circa la consapevolezza del ricorrente
circa il contenuto delle borse.

quanto non si confronta con la doppia conforme giustificazione offerta
dai giudici di merito che hanno individuato -in modo corretto e privo di
invalidità logiche e giuridiche- nella detenzione e porto delle armi la
condotta ragionevole che dava “compiutezza” e forza reale all’aiuto
garantito ai sodali ed oggetto sostanziale, tra le altre finalità, del
viaggio all’estero che rivestiva una tappa fondamentale nell’economia
di sopravvivenza del sodalizio.
4. Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge sulla
circostanza aggravante di cui all’art. 7 del decreto legge 13 maggio
1991, n. 152, convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, senza
considerare che l’interesse salvaguardato era quello soggettivo delle
A.A..
4.1. Il motivo, per come prospettato, è infondato.
4.2. Ritiene la Corte che nella specie si versi pacificamente in un
quadro di

sovrapponibilità speculare di interessi ove occorre

determinare la non facile linea di confine da un lato tra «i motivi e le
ragioni, anche emotive, della condotta» e, dall’altro la «finalità
perseguita o comunque conseguibile: i primi, adesi all’intimità non
esplorabile della psiche del soggetto agente, l’altra invece
obiettivizzabile mediante la doppia indagine causale ex ante ed ex post
del comportamento ad esito illecito.
4.3. Nella vicenda è del tutto evidente come l’elemento
dominante appare essere, in tutta la sua complessità, non tanto la
relazione affettivo-soggettiva, pur esistente tra le parti, quanto invece
il valore assorbente della “tutela del clan nella sua organizzazione
mafiosa”, messa a dura prova dalle vicende omicidiarie e dagli

3.1. Il motivo, al limite dell’inammissibilità, non è accoglibile, in

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interventi della magistratura, e realizzabile in modo efficace mediante il
consistente apporto (armi e denaro all’estero) assicurato in favore dei
membri autorevoli del sodalizio.
sociologia criminale, ed in relazione all’utilizzo semantico, fatto nelle
sentenze in esame, del sostantivo femminile

“faida”, qui peraltro

intesa estensivamente (ben oltre i confini dell’omonimo istituto
giuridico di diritto medievale germanico) come «itinerario criminale di
vendetta cruenta, senza regole (si pensi nella specie al descritto
omicidio di MM), tra gruppi familiari antagonisti, in contesti
affaristici di illiceità, onore e prestigio criminale » , ritiene il Collegio,
riprendendo e confermando le condivisibili considerazioni del G.U.P.
(pag. 56 e segg.), che se le vittime degli eventi di sangue, nelle
sequele azione/reazione, sono state sempre (o quasi sempre) persone
appartenenti ai medesimi nuclei parentali contrapposti, va da sé,
secondo logica, che il “vincolo parentale” non assurge ad elemento di
prova a carico, in punto di 416 bis cod. pen., ma detto legame però si
propone e si costituisce come l’unitaria ed intensa forza aggregante e
coesiva, tale che l’uccisione degli avversari non può che transitare
attraverso l’eliminazione di “congiunti”, ma soltanto perché costoro
sono i diretti protagonisti del gruppo organizzato avversario, e non
semplici astanti.
4.5. Come più volte chiarito da questa Corte (cfr.
Sez. 1, 1364/2012 Rv. 251666, 2186/2000 Rv. 216051), una
associazione a delinquere può avere origine nei vincoli di parentela,
amicizia e legami clientelari che normalmente intercorrono fra i membri
di una medesima famiglia e che diventano patologici quando li
inducono -come avvenuto, e si rileva dalla cronologia dei fatti
omicidiari che sottendono alle odierne vicende- ad ingaggiare lotte
sanguinarie con famiglie antagoniste, destinate a protrarsi per un

4.4. Senza invadere campi di pertinenza della psicologia e della

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tempo indeterminato, dovendosi distinguere fra la “vendetta”, intesa
quale movente di un singolo delitto contro la persona, e la
“programmazione di una serie indeterminata di delitti contro la

all’opposta famiglia, ciascuno dei quali collegato ad un precedente
delitto attribuito alla famiglia avversaria.
4.6. Da ciò il rigetto del terzo motivo di impugnazione.
5. Con un quarto motivo si evidenzia vizio di motivazione e
violazione di legge nella negazione delle circostanze attenuanti
generiche e nella scelta della determinazione della pena base per le
quali vi è assenza grafica di motivazione.
5.1. Le critiche del IV motivo sono senza fondamento.
5.2. Il riconoscimento delle attenuanti generiche risponde infatti
a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia,
deve essere bensì motivato, ma nei soli limiti atti a far emergere in
misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento
della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità
del reo.
5.3. Detta motivazione, sia pure in forma sintetica ed essenziale,
è espressa a pag. 99 della sentenza d’appello e trova adesivo
fondamento nella decisione del G.U.P., nella cornice di una valutazione
particolarmente negativa dei fatti e dei contesti delle azioni illecite
realizzate.
6. Con motivi aggiunti, ritualmente depositati il 3 giugno u.s., si
lamenta con un primo motivo violazione di legge nella determinazione
della pena.
6.1. L’imputato infatti è stato condannato in appello alla pena di
anni 7 e mesi 4 di reclusione così determinata pena base anni 9 per il
capo A) aumentata ex art. 81. cpv. c.p. di anni 1 e mesi 6 di reclusione

in relazione al porto delle armi ed aumentata ancora di mesi 6 in

persona”, da commettere indiscriminatamente in danno di appartenenti

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relazione alla detenzione delle armi sino alla pena totale di anni 11 di
reclusione successivamente ridotta la scelta del rito.
6.2. In primo grado invece la pena era stata fissata in anni 8 di

reclusione, aumentata ex art. 81 capoverso cod. pen. di anni 1 e mesi 6
di reclusione in relazione ai porto delle armi ed aumentata ancora di
mesi sei in relazione alla ulteriore detenzione sino al totale di anni dodici
di reclusione, ridotti per il rito ad anni 8.
6.3. La Corte di Appello ha quindi modificato la pena base a
seguito dell’esclusione dell’aggravante dell’art. 4 L. 146/2 006, il cui
riconoscimento comporta quanto meno un aumento di 1/3: da ciò la
richiesta di annullamento con rinvio, in quanto la determinazione della
pena base in anni 9 prova la mancata applicazione della diminuzione
conseguente alla esclusione dell’aggravante che nel calcolo della pena
ha comportato l’aumento minimo di un terzo.
6.4. Il motivo è fondato
6.5. La circostanza aggravante introdotta dalli art. 4. legge 16
marzo 2006 n.146, per i reati puniti con la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a quattro anni, nella commissione dei quali abbia
dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato, impegnato in
attività criminali in più di uno Stato, prevede, al I comma, che la pena
sia aumentata da un terzo alla metà; al comma II la stessa norma
stabilisce che si applichi altresì il comma 2 dell’articolo 7 del decretolegge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla
legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni, il quale
testualmente dispone « che le circostanze attenuanti (diverse da quelle
previste dagli articoli 98 e 114) del codice penale , concorrenti con
l’aggravante di cui al comma 1 non possano essere ritenute
equivalenti o prevalenti rispetto a questa e che le diminuzioni di pena

reclusione: pena base per il reato di cui al capo A), anni dieci di

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si operino sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente
alla predetta aggravante.
6.6. La pena base determinata quindi dal primo giudice (anni 10)
alla metà.
6.7. Da ciò consegue l’annullamento dell’impugnata sentenza nei
confronti di C.C. e, per l’effetto estensivo, anche nei
confronti di B.B., A.A.,
limitatamente alla determinazione della pena e rinvio per nuovo giudizio
sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
6.8. Con una seconda censura si contesta la responsabilità per il
reato associativo, ottenuta senza tener conto che gli atti di indagine non
coprono tutti ì movimenti delle sorelle A.A. e, in tale ottica, prive di
fondamento risulterebbero: l’asserzione circa la consegna di un
cellulare, l’ulteriore affermazione della «gelosia dell’interlocutore», la
conclusione che il C.C. si fosse allontanato insieme alle A.A.
dall’abitazione-rifugio del F.F..
6.9. Con ulteriori motivi aggiunti si ribadisce e si sviluppa la
doglianza sulla determinazione della pena e il vizio di violazione di
legge e motivazione sul formulato giudizio di intraneità all’associazione.
6.10. Le critiche dei punti sub 6.8. e sub 6.9. (esclusa la
determinazione della pena) non possono essere accolte, per essi qui
richiamate e riprese le medesime ragioni dianzi esposte nei §. 2.4. e
successivi.

IL M.M..
1. Il G.U.P. ha condannato il M.M. alla pena di anni quattro di
reclusione in relazione del reato di cui agli artt. 378 e 7 L. 203/1991,
così riqualificato il fatto di cui al capo 3) di concorso esterno in
associazione mafiosa. La Corte di appello ha confermato la decisione
del primo giudice.

aveva quindi necessariamente applicato tale aumento nei termini da 1/3

17

1.1. La corte distrettuale ha fondato il giudizio di responsabilità
del M.M. in ordine alla sussistenza del reato di favoreggiamento
aggravato, nel fatto che egli ha consapevolmente agevolato l’attività

contestato al M.M. (cfr. pag. 83 ultimo capoverso della sentenza della
Corte di Appello):
a) di aver consegnato la propria autovettura a ZZ,
per consentirle di recarsi in Olanda dal marito F.F.;
b) di aver consegnato uno zaino al F.F., ricevuto dalla di lei
moglie ZZ presso la stazione metropolitana;
c) di essere stato trovato in possesso di codici alfanumerici al
momento dell’arresto, avvenuto (cfr. pag. 80 primo capoverso della
sentenza della Corte di Appello) subito dopo la consegna dello zaino,
mentre si accingeva ad allontanarsi da un garage a bordo della propria
autovettura Passat.
1.2. Con un primo motivo di impugnazione il M.M. deduce:
a)

inosservanza ed erronea applicazione della legge, in

relazione all’art. 606.1 lettera d) C.P.P. per mancata assunzione di
prova decisiva, avendone la parte fatto richiesta anche nel corso
dell’istruzione

dibattimentale

limitatamente

ai

casi

previsti

dall’art.495.2 C.P.P..;
b) mancanza della motivazione (risultante da altri atti del
processo e dall’atto di appello, dai verbali di sequestro effettuati il
23/11/2008 dalla Polizia Olandese e dal raccoglitore contenente le
fotocopie delle fotografie degli oggetti sequestrati dalla Polizia
Olandese, trasmesso con nota della Squadra Mobile di Reggio il
09/10/2010), in relazione al rinvenimento sulla persona del M.M.  in
data 23/11/2008 di due foglietti contenenti parole e numeri, desunto
dall’informativa redatta dalla Squadra Mobile di Reggio il 29/09/2009; .

dell’associazione mafiosa del F.F., in particolare si è

18

c) contraddittorietà ed illogicità della motivazione (risultante da
altri atti del processo ed in particolare dall’ordinanza di custodia
cautelare emessa 1’11 febbraio 2010 e dal testo del provvedimento

costitutivo del reato ex art. 378 c.p. ed in particolare circa la
consapevolezza delle investigazioni dell’Autorità Giudiziaria in ordine al
reato commesso da F.F..
1.3. Con un

secondo motivo, caratterizzato da quattro

articolazioni, sì lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, in
relazione alla consapevolezza del M.M. circa il ruolo apicale di F.F.
e quindi in relazione alla ritenuta sussistenza della
circostanza aggravante di cui all’art. 7 L.203/91.
1.4. I due motivi per la loro naturale interconnessione vanno
congiuntamente esaminati.
1.5. Va subito osservato come tutto il ricorso si qualifichi per
una analisi, minuta ed attenta, degli sviluppi e degli esiti processuali
dedotti dalla corte distrettuale e si articoli con molteplici censure che,
partendo dalla mancata assunzione di una prova decisiva, elenca una
serie di ritenute omesse risposte da parte dei giudice di merito
integranti vizio di motivazione.
1.6. Orbene siffatto suggestivo argomentare impone un breve
richiamo alle regole di giudizio ed alle invalidità della motivazione,
apprezzabili in sede di legittimità.
1.7. Premesso che la ricostruzione-narrazione dei fatti, rilevanti
ex art. 187 cod. proc. pen. , altro non è che la prospettazione delle loro
connessioni, si può affermare che la stessa successione degli eventi,
quale proposta nell’esposizione della corte distrettuale corrisponde ad
una scelta, rispetto a quello che si ritiene essere il senso desumibile
dalla complessiva scansione delle condotte e delle loro interrelazioni,

impugnato) in relazione alla conoscenza del M.M. circa l’elemento

19

considerato che il linguaggio dei fatti” può avere una sua implicita
molteplicità di registri e la scelta dell’interpretazione ragionevole
compete al solo giudice di merito, con la naturale conseguenza che essa
laddove, come nella specie, essa risulti condotta in modo coerente, con
giustificazioni adeguate, prive di invalidità od aporie logiche, senza
petizioni di principio o tautologie.
1.8. Inoltre, in questa sede, va ribadito:
a) che è priva di efficacia ogni critica che, estrapolando singole
realtà, quali ricostruite dalla decisione impugnata, cerchi di aggredirle
“singolarmente”, ignorando appunto le “connessioni altre” che, nella
complessiva disamina del fatto storico, danno forza e valore logico
euristico alla linearità e coerenza dei punti nodali del provvedimento;
b) che non è necessario che, nel momento del controllo di
legittimità, la Corte di cassazione debba stabilire se la decisione di
merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei
fatti né debba condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a
verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e
con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente Cass. Pen. sez.V, sent.39843 del 930 novembre 2007, pres. Foscarini, est. Nappi, in ric.Gatti
c) che motivazione coerente e non contraddittoria è quella priva
di illogicità interne, avuto riguardo al materiale probatorio presente nel
i
processo (utilizzabile ex art. 191 cod. proc. pen.)vapprezzato per la
decisione, nonchè dotata di congruenza narrativa, in relazione al
resoconto del fatto e delle sue implicazioni in diritto, con un risultato di
consistenza, sintattica e semantica, rispetto a ciò che, sull’imputazione,
è stato oggetto di prova ex art. 187 cod. proc. pen. in punto di
imputabilità, responsabilità, colpevolezza, punibilità, determinazione

si sottrae ad ogni possibilità di controllo nel giudizio di legittimità,

20

della pena o della misura di sicurezza, responsabilità civile derivante da
reato;
d) che la sentenza di merito non è tenuta a compiere un’analisi
dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che,

anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e
risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del
convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto
presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata (cass. pen. sez. 4,
26660/2011 Rv. 250900).
1.9. Orbene nella vicenda, quanto alla posizione del M.M., i
giudici di merito hanno fatto buon governo delle regole suindicate
(spiegando tra l’altro in modo ineccepibile la non necessità di
rinnovazioni istruttorie), ed hanno concluso in punto di responsabilità ex
art. 378 cod. pen., aggravato ex art. 7 legge 203/91, in favore di F.F., e la difesa del ricorrente sembra dimenticare, nella
frantumazione dei singoli elementi di colpevolezza:
a) che l’imputato è la persona che, il 14 novembre 2008, ha
consegnato in Roma, presso la stazione Tiburtina e provenendo dalla
Germania, la sua vettura “coperta” a ZZ (non decisiva è
stata ritenuta la circostanza della consegna o meno di un cellulare,
neppure contestata), successivamente usata dal C.C. per il viaggio
ad Amsterdam (con a bordo le sorelle A.A.) dove si trovaval latitante F.F.: e tanto basterebbe a
fondare la materialità del delitto contestato;

approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame

21

b) che i tabulati degli apparecchi cellulari in uso al M.M. ed alle
A.A. davano comunicazioni cronologicamente antecedenti
all’incontro alla stazione romana;
che dai servizi di registrazione della Polizia olandese consta

che il 23 novembre 2008, in Amsterdam, il M.M. aveva consegnato al
latitante F.F. una ‘borsa-zaino” che poco prima aveva
ricevuto da ZZ presso una fermata della metropolitana;
d) che tali fatti hanno avuto un rilievo -determinante e decisivoagli effetti dell’accusa, a prescindere dal contenuto della borsa stessa
e/o dalla collocazione degli oggetti sequestrati.
1.10. Bene quindi la corte distrettuale ha rilevato:
a) che le eventuali discrasie «in ordine al materiale rinvenuto nel
corso delle operazioni di perquisizione e sequestro operate dalla Polizia
olandese, nonché in ordine al luogo di rinvenimento non giustificano in
ogni caso la richiesta di riapertura dell’istruttoria invocata dalla difesa,
che appare peraltro incompatibile con la scelta del rito »;
b)

che, in ogni caso, la conferma del ruolo del M.M. è

ulteriormente desumibile da alcune “sessioni chat” le quali, pur
dimostrando (come era peraltro prevedibile nella pragmatica logica del
“favorire”) la “non intraneità alla consorteria” dell’imputato -circostanza
questa di assoluto rilievo nella vicenda, dove si trattava di dare “efficace
copertura” a un latitante mafioso, evidenziano «non solo lo spessore
criminale del favorito F.F., ma anche il fatto che era persona “favorita”
che si stava sottraendo ad un provvedimento custodiale»;
1.11. Da ciò il rigetto del ricorso, avuto riguardo alla doppia
conforme statuizione di responsabilità, aggredita, con l’impugnazione,
attraverso una mirata, ma non consentita, prospettazione alternativa
degli eventi, oppure mediante una enfatizzazione di dati circostanziali (o
richieste di integrazione istruttoria), ritenuti dai giudici di merito non

c)

22

decisivi nell’economia e nello schema dogmatico del contestato delitto
ex art. 378 cod. pen., anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo
2. Con un terzo motivo si prospetta vizio di motivazione nella
2.1 Anche questa doglianza non può essere accolta, considerato
che in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del
merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione
di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve
adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione, infatti,
rientra nella sua discrezionalità e non postula una analitica esposizione
dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Cass. Penale sez.II,
12749/2008, Rv. 239754 Gasparri; conformi 56/1989 Rv. 180075),
tenuto in particolare conto che -nella specie- la corte distrettuale ha
espressamente richiamato, a fondamento dell’entità della sanzione, non
solo la «notevole disponibilità dimostrata nei confronti di un personaggio
di elevato spessore delinquenziale, quale il F.F., ma anche il
precedente penale risultante a carico dello stesso».
III. PFtATTICO’ PIETRO.

1. Secondo la prospettazione accusatoria ed i giudici di merito, il
B.B. era il principale interlocutore di A.A. ed in qualche
circostanza anche della sorella A.A., con le quali
condivideva informazioni riservate sull’attività del sodalizio criminale
che soltanto un intraneo aveva titolo per conoscere (G.U.P. pag. 172 e
segg.); ritenuto quindi colpevole dei reati di cui ai capi “A”, “I”
(detenzione di una pistola cal. 9 bifilare) e “H “(detenzione di
esplosivo) è stato condannato alla pena di anni otto di reclusione. La
Corte di appello ha parzialmente riformato la prima decisione,
escludendo la circostanza aggravante di cui all’art. 4 legge 146 del
2006 con riferimento al reato di cui al capo A), nonché la circostanza
aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91 con riferimento ai reati di cui ai

determinazione della pena.

23

capi H) ed I), rideterminando la pena in anni sei e mesi otto di
reclusione.
1.1. Il giudizio di responsabilità è stato contestato dalla difesa del
colloqui, conversazioni telefoniche, comunicazione chat; esistenza di un
privilegiato rapporto di fiducia; disponibilità all’accompagnamento delle
sorelle) suscettibile di una ragionevole opposta interpretazione, in
quanto i giudici avrebbero ignorato che la dimestichezza e la confidenza
dimostrata erano conseguenti ad una relazione sentimentale del B.B.
con l’Angela, che ebbe ad indurre il giovane ad esternare la sua
“disponibilità”, peraltro male valutata dalla sentenza oggetto di
impugnazione.
2. Su tale premessa, con un primo motivo, viene dedotta
inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di
motivazione anche sotto il profilo della ritenuta condotta di custodia
delle armi e di mantenimento dei contatti con i sodali in stato di
latitanza.
2.1. In particolare si evidenzia: a) che le pretese informazioni
riservate ed il loro racconto ha come destinataria una persona che in
più occasioni dimostra di non conoscere fatti illeciti notori o addirittura
denota indifferenza sulle sorti del preteso sodale SS; b)
che la disponibilità ad aiutare è del tutto generica e non è stata seguita
da alcuna specifica attività esecutiva; c) che priva di efficacia è
l’intenzione, manifestata da Angela, di fare del ricorrente il Padrino di
battesimo del nipote, figlio di F.F. e ZZ,
iniziativa questa ignota al padre del bambino, che neppure conosceva il
B.B.; d) che analoga situazione di confidenza, di cui è stato
destinatario Palamara Domenico, non ha determinato alcun
provvedimento nei suoi confronti; e) che priva di rilievo è l’espressione
usata dal B.B. nella chat 13 novembre 2008: «non ci ho pensato»,

ricorrente che ritiene il materiale probatorio utilizzato (concernente

24

a fronte del rimbrotto della donna che gli ricorda di «non parlare di
certe cose per telefono»; f) che nella conversazione 5 dicembre 2008,
in cui si parla del «perdutu=SS» e dei mozziconi di
parte dell’Angela, considerato che detti reperti non sono stati “buttati
là”, ma rinvenuti nella spazzatura vicino alla casa di Scarpello; g) che,
quanto a F.F., il tenore della conversazione 10 novembre
2008 altro non è che l’esito della lettura di un giornale su internet e il
commento (dialetto) «non hanno prove ed i testimoni non li hanno
riconosciuti» significa soltanto che i testimoni non hanno riconosciuto
nessuno, non che i testi non hanno individuato F.F..
2.2. In particolare per le armi ed il materiale esplodente (capi H
ed I), non vi sarebbe prova della qualità di arma della pistola, ripresa
via web, e la pretesa detenzione di materiale esplodente altro non
sarebbe che l’esito di un atteggiamento da millantatore del B.B..
2.3. Ritiene la Corte che nessuno degli anzidetti due motivi
meriti accoglimento, sia per i profili di inammissibilità che per le ragioni
di infondatezza che li connotano.
2.4. Infatti, su ciascuna delle doglianze rassegnate esiste una
ragionevole e persuasiva spiegazione dei giudici di merito, i quali
hanno dato coerente lettura alle emergenze processuali, in linea e
conformità di argomenti con gli assunti del primo giudice.
2.5. Le diverse e contrastanti ipotesi, prospettate sui richiamati
punti (§. 2.1 lettere da “a” a “g”) dalla difesa, altro non salto che
tentativi manifesti di esigere dalla Corte di legittimità una non
consentita rivalutazione ed apprezzamento dei dati probatori, i quali
invece risultano tutti, una volta sinergicamente assemblati e
valorizzati, argomentati in modo inoppugnabile, nel senso del
conclusivo giudizio di responsabilità, sia in termini di sussistenza dei
requisiti oggettivi e soggettivi del sodalizio, sia in termini di

sigaretta, è evidente una sconoscenza delle dinamiche dei fatti da

25

qualificazione giuridica delle altre residue condotte, contestate in tema
di armi e di materiale esplodente.
2.6. Conclusioni queste notoriamente non invalidabili, ex se ed
escludere quella dimestichezza e informativa sugli “interna corporis”
del sodalizio criminoso, accettabili secondo massime di comune
esperienza ed in relazione al “l’id quod plerumque accidit” soltanto in
relazione ad una condizione di pacifica intraneità e “condivisione
consapevole” dell’esistenza dell’organizzazione mafiosa, delle sue
finalità e delle sue esigenze di sopravvivenza e di egemonia, in un
contesto lugubremente segnato dal frequente ricorso all’omicidio, come
mezzo radicale e risolutivo dei problemi esistenziali del contrastato
sodalizio.
3. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio
di motivazione per l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche e
determinazione della pena, avuto riguardo alla vita esemplare
dell’imputato ed all’assenza di vantaggi pratici ed operativi per
l’associazione.
3.1. Il motivo non ha pregio: il dovere di motivazione sulla
ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche è adempiuto dal giudice, quando come nella specie
(cfr: pag.99) abbia dato dimostrazione di avere valutato la gravità del
fatto, che è uno degli indici normativi per la determinazione del
trattamento sanzionatorio (cass. pen. sez. 3, 11963/2011 Rv.
249754), e tenuto altresì conto che in tema di determinazione della
misura della pena, il giudice del merito, con la enunciazione, anche
sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati
nell’art. 133 cod. pen., assolve adeguatamente all’obbligo della
motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella sua discrezionalità e

in assenza di confortanti e conformi diverse circostanze idonee ad

26

non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi
in concreto (cass. pen. sez. 2, 12749/2008 Rv. 239754).
4. Il ricorso va quindi rigettato, salva la determinazione della

motivo di gravame, proposto dalla sola difesa del C.C., di cui
beneficiano oltre al C.C. stesso, il B.B. e le sorelle A.A., in relazione appunto alla quantificazione della pena
base per il reato del CAPO A.

pena, in ragione dell’effetto estensivo dell’accoglimento dello specifico

27

IV. A.A.

1. A.A. è stata dichiarata colpevole dei reati di cui ai capi “A”, “E”
tipo M16 e mitragliette Skorpion) e “G” (detenzione di pt-stoea- ), e
condannata dal G.U.P. alla pena di anni otto e mesi otto di reclusione.
1.1.La Corte di appello ha parzialmente riformato la prima
decisione, escludendo la circostanza aggravante di cui all’art. 4 legge
146 del 2006 con riferimento al reato di cui al capo A), rideterminando
la pena finale in anni otto di reclusione.
2. In atti vi è un ricorso dell’avv. Managò, cui sono seguiti
motivi nuovi dell’avv. Carnuccio .
2.1. Con un primo motivo di impugnazione, nel ricorso dell’avv.
Managò, per violazione dei disposti degli artt. 525, comma 2, e 179,
comma 2 1 cod. proc. pen., viene dedotta inosservanza ed erronea
applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo
che l’unica effettiva discussione del merito del processo è avvenuta
all’udienza del 12 luglio 2012 nella composizione, Russo-CampagnaPastore, mentre la sentenza è stata deliberata dal collegio Russo,
Pastore, Statti.
2.2. Per il ricorrente,

allorquando il P.G. all’udienza del

12.7.2012 ha rassegnato le sue conclusioni discutendo il processo, il
Collegio era diverso in uno dei suoi componenti, (la Dott.ssa Giuliana
Campagna è stata sostituita dal Dott. Carmelo Statti) da quello che ha
pronunciato la sentenza, ragion per cui l’ultimo Collegio giudicante non
ha sicuramente recepito la discussione del P.G., discussione, peraltro,
non registrata, per come risulta dalla certificazione che si allega ai
presenti motivi di ricorso.

2.3. Anche all’udienza del 29.4.2L13 – dopo la produzione del
dispositivo della sentenza emessa dalla Corte Suprema di Cassazione –

(detenzione e porto di 2 pistole in Amsterdam), “F” (detenzione di fucili

28

il P.G. si è riportato alle conclusioni già rassegnate, per cui l’unica
discussione del P.G. nell’ambito dell’intero processo di appello è stata
quella dell’udienza del 12.7.2012 davanti ad un Collegio diversamente
2.4. Per il difensore dell’imputato quindi non sussisterebbe
dubbio sulla radicale nullità della sentenza impugnata citandosi in
proposito Cass. Perì. 6.2.2004 n. 4916/2004.
2.5. In proposito deve rilevarsi che nel verbale dell’udienza 16
ottobre 2012 risulta testualmente «Sull’accordo delle parti ,
espressamente interpellate per il mutamento del Collegio, si procede
alla rinnovazione degli atti compiuti a cominciare dall’ordinanza di
sospensione dei termini di custodia cautelare. Il consigliere relatore
rinnova la relazione. Il Procuratore generale si riporta alla requisitoria
già fatta dal proprio ufficio».
2.6. Ritiene il Collegio, seguendo un diverso e più recente
orientamento, ed anche in adesione al principio di lealtà, che deve
presiedere alle relazioni tra le parti, nel processo e nel loro rapporto
con il Giudice, che non sussista la nullità della sentenza qualora le
prove siano valutate da un collegio in composizione diversa da quello
davanti al quale le stesse sono state acquisite e le parti, presenti, non
si siano opposte alla lettura degli atti del fascicolo dibattimentale
precedentemente assunti, né abbiano esplicitamente richiesto la
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in quanto, in tal caso, si
deve intendere che esse abbiano prestato consenso, sia pure
implicitamente, alla lettura degli atti suddetti (cass. pen. sez.
5, 5581/2014 Rv. 259518; Massime precedenti Conformi: N. 17804 del
2002 Rv. 221694, N. 34723 del 2008 Rv. 241000, N. 35975 del
2008 Rv. 241835, N. 13308 del 2011 Rv. 250220)
2.7. Il motivo va quindi respinto.

composto.

29

3. Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione e
violazione di legge con riferimento alla ritenuta associazione senza che
skve.h.
vi sia stata una pronuncia definitiva sulla faida di S. Luca eV strage di

4. Con un terzo motivo si evidenzia vizio di motivazione in
relazione alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 7 del
decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla L. 12 luglio
1991, n. 203, posto che non si è considerato che l’aiuto non era diretto
all’associazione ma rispettivamente ad un fratello (Giovanni) ed al
marito (PP).
5. Nell’ambito del secondo motivo la difesa evidenzia ancora: a)
che le eventuali pronunce, non irrevocabili, devono essere valutate alla
stregua della regola probatoria ex art. 192, comma 3 1 cod. proc. pen.
come dato probatorio che va corroborato con altri elementi di
riscontro; b) che non è stata documentata la serie di elementi
rivelatori dell’affectio societatis non bastando sul punto il viaggio in
Olanda, o la mera relazione di parentela degli imputati , oppure ancora
l’interpretazione contra reum di commenti intercettati sui fatti che
costituivano enunciazioni prive di significato indiziante; c) che, in tale
ambito, il viaggio aveva come finalità esclusiva quella di appianare
l’incresciosa situazione familiare tra A.A. ed il marito
Francesco Romeo, da ciò l’espressione «summit»; d) che comunque le
condotte erano da valutarsi alla stregua dell’art. 418 1 comma 3, cod.
pen. come peraltro avvenuto nel procedimento Aguì + 42, che ha
ritenuto non punibili le “donne” coinvolte per condotte in favore di
familiari, esponenti della ‘ndrangheta;

e) che, infine, quanto alle

armi, non si rinviene nessun dato obbiettivo della loro presenza e
disponibilità.
5.1. Il secondo ed il terzo motivo esigono una congiunta
trattazione.

Duisburg.

30

5.2. Innanzitutto, preliminarmente, quanto al secondo motivo,
in punto di deduzione dell’assenza di una pronuncia definitiva sulla
Faida di S. Luca ecdPastrage di Duisburg, va rilevato come la censura
fatti, operato in modo conforme in primo e secondo grado, emerge, al
di là di ogni ragionevole dubbio, una realtà associativa che, per
estensione, penetrazione nel territorio, modalità operative, livelli di
organizzazione, relazioni interpersonali nella programmazione illecita,
rientra «pieno jure» negli schemi dogmatici del contestato reato
associativo di cui ricorrono, all’evidenza, l’azione esecutiva ed i profili
soggettivi, senza necessità di superflue “altre” conferme giudiziarie
“esterne”.
5.3. Quanto al resto, ci si trova di fronte ad un complesso di
deduzioni critiche, abilmente proposte e sviluppate, ma che non
superano il vaglio dell’ammissibilità, consistendo esse in una non
consentita rielaborazione e disamina del materiale probatorio, qui
valendo le medesime argomentazioni dianzi esposte per la posizione
del M.M. (II, §.1.6 e segg.).
5.4. Per ciò che attiene invece alle doglianze del §. 5.1. sub “d”
e sub “e” (aiuto diretto a familiari e non alla associazione), e richiesta
di applicazione della norma di cui all’art. 418 cod. pen., va
preliminarmente osservato (come già fatto per il C.C. I, §.4.2.),
che, pur preso atto della sovrapponibilità speculare di interessi, che
impone di determinare la non facile linea di confine, da un lato, tra «i
motivi e le ragioni, anche emotive, della condotta» e, dall’altro la
«finalità perseguita o comunque conseguibile» , va chiarito -come già
detto- che i primi elementi sono adesi all’intimità non esplorabile della
psiche del soggetto agente, mentre l’altra risulta obiettivizzabile
mediante la doppia indagine causale “ex ante ed ex post” del
comportamento ad esito illecito.

non abbia consistenza, in quanto, nel quadro della ricostruzione dei

31

5.5. In tale contesto appare chiaro come

nella vicenda,

globalmente apprezzata nelle sue dinamiche illecite, gli elementi
dominanti e risolutivi siano, in tutta la loro complessità, non tanto le
valore assorbente del clan nella sua organizzazione mafiosa, messa in
pericolo e stremata dalla catena di fatti omicidiari e dagli interventi
della magistratura.
5.6. “Una bilancia di valori” che si esprime e si risolve nella
spinta criminosa ‘dominante” a favore del “gruppo” il quale, per la sua
stessa esistenza, ed effettività nell’esercizio del potere criminale,
riesce a garantire, mediante la sua non interrotta e continuativa azione
illecita, “benessere e sicurezza all’intera realtà familiare”: un
significativo ed indicativo segnale della subvalenza, nelle condotte
incriminate, della «affectio familiaris» rispetto all’incombente «affectio
societatis» .
5.7. Il secondo ed il terzo motivo vanno quindi respinti, anche
per le ragioni e le argomentazioni sulla “faida”, prima espresse per la
posizione del C.C. (capo I, §.4.2-4.5), ed ulteriormente ribadite ed
ampliate nella valutazione della posizione di A.A. (capo IV,
§.4.1-4.2).
6. Con un quarto motivo si prospetta l’erronea asserzione di
sussistenza dell’aggravante di cui agli artt. 3 e 4 legge 146/2006,
avuto riguardo alla pronuncia 18374/2013 delle S.U..
6.1. Il motivo è infondato.
6.2. La gravata sentenza, infatti, ha correttamente escluso
l’aggravante ex art. 4 legge 146/2006 per il reato associativo del capo
031
“A”, in adesionevprincipio di diritto espresso dalle S.U. nella sentenza
18374/13, secondo cui la speciale aggravante della transnazionalità,
prevista dall’art. 4 della I. n. 146 del 2006, è applicabile al reato

relazioni soggettive ed affettive, esistenti tra le parti, quanto invece il

32

associativo,

soltanto

laddove

il

gruppo

criminale

organizzato transnazionale non coincida con l’associazione a delinquere.
6.3. Nella specie sia il G.U.P. che la corte distrettuale hanno

a)

che la “cellula di Kaarst” dal nome della cittadina tedesca

sita nei pressi di Duisburg, ove si erano stabiliti alcuni dei componenti
dell’associazione, costituiva

una propaggine all’estero

della

organizzazione criminale di base;
b)

che le persone, che ne facevano parte, erano anche

componenti del sodalizio criminoso di base, con la conseguenza che
siffatta articolazione della “cosca F.F.-A.A.”, manteneva stretti
contatti con la ‘ndrina principale costituita ed operante in San Luca.
6.4. Pertanto, l’avvenuta esclusione della transnazionalità del
sodalizio non risulta affatto incompatibile con la successiva attribuzione
della connotazione di “transnazionalità ai singoli reati in tema di armi”,
in quanto trattasi di delitti (detenzione e porto) preparati, pianificati e
commessi nel territorio di più Stati (art. 3 1 comma 1 1 1egge 16 marzo
2006 n.146),I. TIA:-Settj2a ,” cettN3 eszAiy~k

o

6.5. Il motivo va quindi respinto.
7. Con un quinto motivo si sostiene vizio di motivazione nella
negazione delle circostanze attenuanti generiche e determinazione
della pena, censurandosi comunque l’errore di una pena base di anni 9,
a fronte di una sanzione base che doveva essere invece ridotta quanto
meno di 1/3 per effetto dell’esclusione dell’aggravante ex art. 4 legge
146/2006.
7.1. Il motivo è fondato limitatamente alla determinazione della
pena per il reato sub A) nei termini dianzi argomentati per la posizione
del C.C. (parte I, §. 6.).
7.2. Nei motivi nuovi redatti dall’avv. Carnuccio, la prima
doglianza concerne il vizio di motivazione sui giudizi di responsabilità,

infatti spiegato:

33

in tema di associazione e di armi, ottenuti sulla scorta del fatto che la
ricorrente si sarebbe recata in Olanda per portare armi, che custodiva,
e denaro ai familiari latitanti.
dichiarazione della donna (nella chat) e l’indagine tecnica che la
gravata sentenza pone a riscontro della condotta partecipativa (zaini o
borse ed il loro corrispondente contenuto); b) così escluso il trasporto
di armi e denaro, la condotta accertata rientrerebbe nello schema
dogmatico dell’art. 418 1 comma 3, cod. pen. con conseguente non
punibilità della ricorrente; c) l’erroneità del giudizio di colpevolezza per
i delitti dei capi F) e G), ottenuto mediante modalità congetturali che
ignorano il particolare rapporto personale della donna con B.B. e la
vanteria della ricorrente, priva di reali riscontri.
7.4. Le censure, per come formulate, sono inammissibili in
quanto finalizzate ad invalidare la ricostruzione dei fatti, quale
effettuata dai giudici di merito con doppia conforme valutazione dei
dati probatori, e che risulta aderente alle risultanze processuali nonchè
giustificata con una motivazione che risulta coerente, completa, priva
di illogicità e contraddizioni e, per ciò stesso, esente da invalidità
apprezzabili in questa sede, considerato che alla prospettazione della
dinamica degli eventi il ricorso pretende sostituire una sua propria
alternativa ed inammissibile rivalutazione del compendio probatorio
stesso.
7.5. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge sulla
circostanza aggravante di cui all’art. 7 del decreto legge 13 maggio
1991, n. 152, convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203: il motivo
ricalca la doglianza del III motivo dell’avv. Managò e valgono, per lo
stesso, le medesime considerazioni di rigetto ivi espresse.

7.3. In particolare si sottolinea: a) la divergenza sull’unica

34

V. A.A..

1. A.A. (moglie del latitante Romeo Francesco) è
condannata dal G.U.P. alla pena anni otto di reclusione; la Corte di
appello, escludendo la circostanza aggravante di cui all’art. 4 leggA46
del 2006 con riferimento al reato di cui al capo A), ha parzialmente
riformato la prima decisione, rideterminando la pena finale in anni
sette e mesi quattro di reclusione.
1.1. La difesa di A.A. propone sei motivi di ricorso.
2.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta

inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di
motivazione sotto il profilo dell’affermata responsabilità art. 416 bis
cod. pen., ottenuta mediante un errato «automatismo identificativo»
tra faida di S. Luca ed “esistenza dell’organismo mafioso”.
3. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge in
ordine all’art. 416 bis, 378, 418 c.p., 125, 192, 546 c.p.p.,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione

sulla

esclusione della “affectio familiaris”; erronea ed illogica individuazione
dell’affectio societatis; erronea ed illogica qualificazione della condotta
addebitata alla ricorrente A.A..
4.

I primi due motivi -comuni per più profili anche agli altri

ricorrenti- impongono una trattazione e disamina unitaria, qui peraltro
richiamato quanto argomentato sul punto per il ricorrente C.C. e per
A.A. sul tema delle relazioni soggettive-affettive tra le parti
e sul doppio sinergico interesse alla sopravvenienza dell’organizzazione
mafiosa e, per essa, alla operatività delle singole essenziali componenti
personali dell’associazione stessa.
4.1. Nel caso in esame infatti non vi è stato alcun “automatismo
identificativo” tra la cruenta faida di famiglia e sodalizio mafioso,

stata dichiarata responsabile dei reati di cui ai capi A) ed E) e

35

finalizzato al perseguimento della dominanza criminale, tant’è che la
richiamata ed acquisita sentenza Aguì ha ben ribadito i confini di
lettura tra i due epifenomeni criminali, concludendo nel senso
line” di assoluta modestia causale nell’economia generale dei crimini
(commessi e da compiere) ed in funzione del minor danno
organizzativo-affaristico: circostanze queste nella presente vicenda per
nulla realizzate.
4.2. In conclusione, i motivi vanno quindi entrambi rigettati,
considerato che da parte dei giudici di merito non vi è stato alcuno
“scambio” tra elementi di solidarietà naturale, perché appunto familiare,
con gli elementi tipici e costitutivi della partecipazione al sodalizio, nella
specie sussistenti con notazioni di dominanza ed assorbenza.
5. Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine alla specificata assenza di condotta associativa
con riferimento all’unico episodio del viaggio in Olanda; insussistenza
del reato concernente le armi; insussistenza delle aggravanti di cui agli
artt. 416 bis 4 0 comma c.p. e 7 L. 203/1991.
5.1. Le doglianze non hanno fondamento.
5.2. Quanto alla prima censura (unicità del viaggio in Olanda)
questa Corte, per risalente giurisprudenza, ha infatti statuito che il
delitto di partecipazione ad associazione mafiosa è sì di natura
permanente, ma ciascun atto di partecipazione è da solo sufficiente ad
integrarlo.
5.3. Pertanto se i fatti rilevanti ai sensi dell’art. 416 bis cod. pen.
sono plurimi (cass. pen. sez. 5, 3098/2006 Rv. 233746), in essi bene si
colloca per il suo valore ed efficacia operativa il viaggio (con armi e
denaro) in Olanda, organizzato proprio al fine di sovvenire -con
apporto di armi ed altro- alle difficoltà dei membri del sodalizio in
particolare stato di pericolo e bisogno.

dell’invocato art.418 cod. pen. soltanto per quelle condotte “border

36

5.4. Per ciò che attiene poi al tema delle armi e delle aggravanti
ritenute, i motivi finiscono con il proporre una serie di profili di lettura
alternativa” dei fatti, in questa sede non valorizzabili in quanto
nel suo apprezzamento di merito, ha ragionevolmente escluso, non
sottraendosi all’obbligo di giustificazione degli assunti di volta in volta
a rgomentati.
6. Con un quarto motivo si evidenzia violazione di legge in
relazione all’art. 15 c.p., artt. 2 e 4 legge 895/1967, art.7 legge
203/1991, artt. 125,192 e 546 cod. proc. pen..
6.1. Le censure non sono accoglibili, attesa anche la verificata
sussistenza della materialità dei fatti e la finalizzazione delle condotte
alla garanzia della vitalità del sodalizio criminoso in esame.
6.2. Sul concorso tra detenzione e porto, criticata dal difensore
sulla base di alcune espressioni in motivazione, non vi sono ragionevoli
dubbi sulla sua corretta praticabilità, avuto riguardo a quanto
evidenziato nella doppia conforme pronuncia di responsabilità, che ha
messo in luce la non sovrapponibilità delle condotte di detenzione, con
quelle di trasporto, che si sono caratterizzate da un rapporto di
anteriorità della prima rispetto al secondo, avuto anche riguardo alla
maggior consistenza temporale della detenzione stessa, che si è attuata
e consolidata pure mediante la ricerca di efficaci nascondigli nel timore
di imminenti perquisizioni.
7. Con un quinto motivo si sostiene violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione agli artt. 3 e 4 lett. b) e c) legge 146/2006,
rilevandosi che alla condanna per il reato di cui al capo E), concernente
le armi, è stata applicata l’aggravante della transnazionalità che è stata
invece esclusa per il reato associativo.

delineano pretese “evidenze critiche valoriali”, che la corte distrettuale

37

7.1.

La critica, infondata, è stata valutata nell’esame della

posizione della ricorrente A.A.(Parte III), con
argomentazione alla quale va qui fatto integrale rimando.
vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 bis cod. pen. e 133, 125
cod. pen. , 192- 546 cod. proc. pen..
8.1. La doglianza al limite dell’inammissibilità è inaccoglibile.
8.2. La sussistenza di attenuanti generiche è infatti oggetto di un
giudizio dì fatto, e può essere esclusa dal Giudice con motivazione
fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, per cui
la motivazione, purché congrua e non contraddittoria -come nella
specie- non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti
di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori
attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato” (Cass. Penale sez. IV,
12915/2006 Billeci).
9. Per concludere: la gravata sentenza va annullata nei confronti
di C.C. e per l’effetto estensivo, anche nei confronti di
B.B., A.A., limitatamente alla
determinazione della pena, con rinvio per nuovo giudizio sul punto, ad
altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. Rigetto nel resto
i ricorsi dei predetti. Rigetto del ricorso di M.M..
Condanna di tutti i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese
sostenute, in questo grado, dalla parte civile Provincia di Reggio
Calabria, spese che liquida in C. 4.000,00, oltre i.v.a. e c.p.a..
P.Q.M.

Annulla l’impugnata sentenza nei confronti di C.C. e, per
l’effetto estensivo, anche nei confronti di B.B., A.A., limitatamente alla determinazione della pena e rinvia
per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di
Reggio Calabria. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti. Rigetta il ricorso

8. Con un sesto motivo si illustra ancora violazione di legge e

38

di M.M.. Condanna tutti i ricorrenti in solido alla
rifusione delle spese sostenute, in questo grado, dalla parte civile
Provincia di Reggio Calabria, spese che liquida in €. 4.000,00, oltre

C ì deciso in Roma il giorno 8 ottobre 2014

i.v.a. e c.p.a.

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