Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32978 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32978 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GAGLIO CALOGERO N. IL 18/12/1959
avverso la sentenza n. 3947/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
08/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO

Data Udienza: 11/06/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gioacchino Izzo, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Gaglio Calogero è imputato del reato di cui agli articoli 624 e 625

numero 2 del codice penale per essersi impossessato, al fine di trarne
profitto, di due telefoni cellulari sottraendoli ai Grandi Magazzini Orsini

2.

Il tribunale di Firenze, sezione di Empoli, lo ha ritenuto

responsabile del reato ascritto e lo ha condannato alla pena di un anno di
reclusione ed euro 300 di multa, esclusa l’aggravante contestata e
ritenuta la recidiva. La Corte d’appello di Firenze ha confermato
integralmente la sentenza di primo grado.
3.

Il Gaglio propone ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
a. violazione di legge con riferimento agli articoli 192, comma 2,
181, 213 del codice di procedura penale, nonché motivazione
illogica e carente; secondo la difesa la decisione di conferma
della condanna di primo grado valorizza l’attendibilità e
l’affidabilità del riconoscimento dell’autore della condotta
criminosa, operato dal testimone Croce, ma la deposizione di
quest’ultimo, lungi dal fornire elementi di certezza, introduce
un substrato indiziario sfornito dei requisiti di gravità,
concordanza e precisione. La Corte d’appello avrebbe omesso
di considerare che il contatto del teste con il reo fu rapido,
connotato da un brevissimo dialogo e che non gli venne
richiesta una descrizione del soggetto, prima di procedere a
riconoscimento fotografico.
b. Inosservanza od erronea applicazione degli articoli 99 e 133
del codice penale in ordine alla recidiva, nonché manifesta
illogicità della

motivazione sull’aumento di

pena

in

conseguenza della ritenuta sussistenza della recidiva stessa.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata non avrebbe
offerto una corretta ed ineccepibile motivazione sul perché
detta recidiva dovesse ritenersi sussistente.
c.

Inosservanza od erronea applicazione degli articoli 336, 337,
122 in ordine alla ritenuta sussistenza di rituale e valida

1

Dixie.

querela sporta in nome e per conto dei grandi magazzini
Orsini per il reato di cui all’articolo 624 del codice penale; il
ricorrente si lamenta del fatto che il querelante fosse il
responsabile del punto vendita, senza che emerga
l’attribuzione alla sua persona dell’esercizio del diritto di
querela.

1. I primi due motivi di ricorso sono manifestamente infondati; quanto
al sostrato probatorio che ha portato alla sentenza di condanna, si
deve osservare, innanzitutto, che la deposizione del teste Croce
configura di per sé piena prova, in ordine all’individuazione del
soggetto responsabile, e non mero indizio, come ritenuto nel ricorso.
In secondo luogo, il riconoscimento operato dal teste appare rituale e
pienamente affidabile; il teste ha riferito di aver parlato con il
soggetto, poi ripreso dall’impianto di video sorveglianza, in quanto gli
aveva richiesto un’informazione. Ha affermato altresì di non aver
avuto dubbi nell’associare al cliente con cui aveva parlato l’uomo
successivamente visto nel filmato mentre asportava i telefoni. Il
teste, dunque, come affermato dalla Corte, riuscì a stabilire in
termini di certezza che il cliente con cui aveva parlato era lo stesso
che poi aveva sottratto gli apparecchi; peraltro, il teste non effettua
una comparazione tra la foto segnaletica ed il filmato, come sembra
ritenere la difesa, bensì tra la prima e la diretta e personale
osservazione del cliente con cui aveva parlato prima che operasse il
furto, così da mettere a raffronto l’immagine del suo volto conservata
in memoria e quella presente nel fascicolo propostogli.
L’individuazione, poi, fu effettuata pochi giorni dopo il fatto, cosicché
ben poteva il teste aver conservato un ricordo adeguato della
persona.
2. Queste le motivazioni della Corte d’appello, che appaiono adeguate,
congrue ed assolutamente logiche e che pertanto non possono essere
censurate, in punto di fatto, dalla Corte di cassazione.
3. Non si comprende, poi, quale sarebbe la specifica violazione di legge
lamentata, nè per quale motivo dovrebbe essere invalido il
riconoscimento fotografico effettuato tra più fotografie, tra le quali
era ricompresa quella dell’imputato. D’altronde, l’individuazione

2

CONSIDERATO IN DIRITTO

fotografica di un soggetto effettuata dalla polizia giudiziaria
costituisce una prova atipica la cui affidabilità non deriva dal
riconoscimento in sé, ma dalla credibilità della deposizione di chi,
avendo esaminato la fotografia si dica certo della sua identificazione.
(Sez. 6, n. 49758 del 27/11/2012, Aleksov, Rv. 253910); e nel caso
di specie la Corte ha spiegato in modo più che adeguato il motivo per
cui ha ritenuto che il teste fosse credibile.
4.

Il motivo afferente alla recidiva è manifestamente infondato per

alla pagina quattro della sentenza. La Corte spiega il perché ha
ritenuto di applicare la recidiva facoltativa, sia con riferimento alle
modalità dell’azione ed alla personalità del prevenuto, sia perché le
pregresse esperienze devianti non hanno trovato alcuna utile
soluzione nel ripetersi di condanne ed esecuzioni penali, sia ancora
perché esse hanno costituito un bagaglio di esperienza operativa e
tratti di insensibilità soggettiva rispetto a comportamenti illegali tale
da rafforzarlo e spingerlo ulteriormente verso nuove violazioni.
5. Sul principio di diritto invocato nel terzo motivo di ricorso vi è stato
un

lungo

dibattito

giurisprudenziale;

un

primo

indirizzo

giurisprudenziale riteneva esplicitamente od implicitamente che
persona offesa dal reato sia il proprietario o il titolare di altro diritto
reale sul bene sottratto e ne deduceva che il direttore di un esercizio
commerciale che non ne sia pure proprietario non è legittimato a
proporre la querela. Tale figura non rivestirebbe neppure
necessariamente la veste di institore, dovendosi verificare quali
poteri l’imprenditore gli abbia attribuito (Sez. 4, n. 44842 del
27/10/2010, Febbi, Rv. 249068; Sez. 2, n. 37214 del 19/10/ 2006,
Tinnirello, Rv. 235105; Sez. 4, n. 1537 del 15/02/ 2005, Gaffi, Rv.
231547). Altra giurisprudenza, invece, riteneva la legittimazione in
questione in capo all’institore, che conferisce il potere di compiere
tutti gli atti inerenti all’esercizio dell’impresa (Sez. 2, n. 1206 del
09/12/2008, Gulino, Rv. 242714). L’opposto orientamento della
giurisprudenza assumeva, per contro, che il responsabile
dell’esercizio commerciale è legittimato alla querela non in virtù di
investitura formale o implicita da parte del proprietario, bensì nella
veste di persona offesa (Sez. 6, n. 1037 del 15/06/2012, Vignoli, Rv.
253888; Sez. 4, n. 41592 del 16/11/2010, Cacciari, Rv. 249416 ;
Sez. 4, n. 37932 del 08/09/2010, Klimczuck, Rv. 248451; Sez. 5, n.

3

esservi una motivazione specifica ed approfondita, priva di vizi logici,

34009 del 16/06/2010, Labardi, Rv. 248411; Sez. 5, n. 26220 del
18/03/2009, Kalandadze, Rv. 244090). Il contrasto di giurisprudenza
è stato recentemente composto dalle sezioni unite che hanno ritenuto
corretta la soluzione interpretativa proposta da tale ultimo indirizzo,
affermando che il bene giuridico protetto dal delitto di furto è
individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di
godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto
che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche

in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al
titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa
e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela (In
applicazione del principio, la Corte ha riconosciuto proprio al
responsabile di un supermercato la legittimazione a proporre
querela; cfr. Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv.
255975).
6. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’art. 616
c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che
lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento.

p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 11/06/2014

in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce

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