Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4371 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 10/02/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 10/02/2022), n.4371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2045/2021 R.G. proposto da:

A.C., + ALTRI OMESSI, tutti rappresentati e difesi

dall’Avv. Marco Tortorella, con domicilio eletto presso il suo

studio in Roma, via Domenico Chelini, n. 5;

– ricorrenti –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute,

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e

Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi ex

lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici

domiciliano ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2835/2020,

depositata il 12 giugno 2020;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 19 gennaio

2022 dal Consigliere Iannello Emilio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Alcuni medici specializzati, tra i quali gli odierni ricorrenti, convennero davanti al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri, il M.I.U.R., il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive Europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione in anni per alcuni compresi nel periodo 1983-1991 (per alcuni con termine anche successivo).

Il tribunale accolse le domande solo per quelli che avevano iniziato il corso di specializzazione nel 1983 o in anni successivi.

La Corte d’appello, in parziale riforma di tale decisione, la accolse anche per altri tre medici che tale corso avevano iniziato nel 1982.

Confermò per tutti la liquidazione del dovuto indennizzo, nella misura stabilita dalla L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, ossia nell’importo di Euro 6.713,94 per ogni anno o frazione di anno successiva al 1 gennaio 1983.

3. Per la cassazione di tale sentenza A.C. e gli altri sedici medici indicati in epigrafe propongono ricorso con tre mezzi.

Le amministrazioni intimate non hanno depositato controricorso, ma c.d. “atto di costituzione”, “al fine di ricevere l’avviso di udienza per partecipare alla discussione”.

Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie, degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE; delle Dir. CEE 82/76, 75/363 e 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25 febbraio 1999 (procedimento C-131/97) e del 3 ottobre 2000; degli artt. 2,3,10 e 97 Cost.; del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6 e della L. n. 370 del 1999, art. 11; violazione o falsa applicazione del Reg. CE 03/05/1998, n. 974/98 (in G.U.C.E. 11 maggio 1998, n. L 139) e Reg. CE 31 dicembre 1998, n. 2866/982 (in G.U.C.E. 31 dicembre 1998, n. L 359); degli artt. 1223,1226,1227 e 2056 c.c., violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in punto di liquidazione del danno in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.”.

Lamentano che erroneamente la corte territoriale ha liquidato il danno, utilizzando come parametro la remunerazione annua stabilita dal legislatore nel citato L. n. 370 del 1999, art. 11, anziché quella fissata in sede di attuazione delle direttive comunitarie (D.Lgs. n. 257 del 1991), in ossequio ai principi dettati dalla giurisprudenza comunitaria di equivalenza, effettività ed adeguatezza.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “violazione o falsa applicazione degli artt. 1223,1226,1227 e 2056 c.c., della L. n. 370 del 1999, art. 11 e del D.Lgs. n. 257 del 1991, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in punto di liquidazione del danno in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.”.

Si dolgono della mancata liquidazione degli interessi compensativi, che assumono invece spettare trattandosi di debito di valore.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie; degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE.; delle Dir. CEE 82/76, 75/363 e 93/16; delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25 febbraio 1999 (procedimento C-131/97) e del 3 ottobre 2000; degli artt. 2,3,10 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU (diritto al rispetto dei beni); del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6 e della L. n. 370 del 1999, art. 11; violazione o falsa applicazione del Reg. CE 03/05/1998, n. 974/98 (in G.U.C.E. 11 maggio 1998, n. L 139) e Reg. CE 31 dicembre 1998, n. 2866/982 (in G.U.C.E. 31 dicembre 1998, n. L 359); degli artt. 1223,1226,1227 e 2056 c.c.; della L. n. 370 del 1999, art. 11 e del D.Lgs. n. 257 del 1991, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in punto di liquidazione del danno in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.”.

Rilevano – “con riferimento alle ultime due censure” – che la mancata corresponsione di un adeguato risarcimento del danno per l’omessa puntuale trasposizione della Direttiva 82/76/CEE, nonché della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi sulle somme tardivamente conferite a titolo risarcitorio, costituiscono un’ingerenza nel diritto al pacifico godimento dei beni incompatibile con l’art. 1 Prot. 1 CEDU.

4. Il primo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

Sul punto la corte di merito ha deciso conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.

Ed invero, come ripetutamente evidenziato nella giurisprudenza di legittimità, gli importi da corrispondere ai medici specializzandi italiani che hanno frequentato il corso di specializzazione dopo il 31 dicembre 1982, derivanti dal tardivo recepimento delle direttive CE n. 362 del 1975 e n. 76 del 1982, non possono essere commisurati all’importo della borsa di studio così come introdotta e quantificata nel D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, che non ha efficacia retroattiva ed è diretto ad individuare, secondo la discrezionalità del legislatore interno, la misura della retribuzione dovuta per le prestazioni fornite dai medici specializzandi.

L’obbligazione scaturente dalla mancata attuazione di direttive, invece, non ha natura né retributiva, né risarcitoria, e non può dar luogo ad una riparazione integrale, desumibile dai criteri di calcolo della legge sopracitata.

La suddetta obbligazione ha invece natura indennitaria e pararisarcitoria da quantificarsi scegliendo un parametro equitativo che sia fondato sul canone di parità di trattamento per situazioni analoghe. Tale parametro deve essere desunto dalle indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad un parziale adempimento soggettivo nei confronti di tutte le categorie che, dopo il 31 dicembre 1982, si siano trovate nelle condizioni fattuali idonee all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, senza però essere ricompresi nel D.Lgs. n. 257 del 1991 (Cass. n. 21498 del 2011, n. 1917 del 2012, n. 23635 del 2014).

Come affermato da Cass. n. 1917 del 2012 e Cass. n. 5533 del 2012, cui si rinvia per lo sviluppo argomentativo, con la L. n. 370 del 1999, art. 11, lo Stato italiano, in coerenza ai criteri dettati dalla Corte di giustizia, ha compiuto – come sopra s’e’ già detto – una aestimatio del danno da ritardata attuazione della direttiva comunitaria in grado di contemplare le sue diverse componenti, e dunque tanto il danno da mancata percezione della remunerazione adeguata da parte dello specializzando, quanto il pregiudizio relativo all’inidoneità del diploma di specializzazione al riconoscimento negli altri stati membri, e al suo minor valore sul piano interno ai fini dei concorsi per l’accesso ai profili professionali.

E’ stato inoltre affermato che il parametro di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11, è di per sé sufficiente a coprire tutta l’area dei pregiudizi causalmente collegabili al tardivo adempimento del legislatore italiano all’obbligo di trasposizione della normativa comunitaria, salva la rigorosa prova, da parte del danneggiato, di circostanze diverse da quelle normali, tempestivamente e analiticamente dedotte in giudizio prima della maturazione delle preclusioni assertive o di merito e di quelle istruttorie (Cass. n. 14376 del 2015).

Della tempestiva allegazione di tali circostanze nel giudizio di merito e della loro mancata considerazione da parte del giudice d’appello non vi è in ricorso alcuna specifica indicazione o doglianza merce’ l’appropriata denuncia di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo solo in rubrica dedotto il vizio motivazionale, peraltro secondo la disposizione non più vigente.

4.1. La difesa dei ricorrenti ha sollecitato, al termine della illustrazione del motivo, l’interpello della CGUE con rinvio pregiudiziale.

L’istanza, reiterata anche in memoria, non può essere accolta.

Lo stabilire quale dovesse essere la remunerazione dovuta ai frequentanti i corsi di specializzazione in medicina e’, infatti, una scelta discrezionale che l’ordinamento comunitario ha lasciato agli Stati membri.

Dunque, nessuna violazione del diritto comunitario è ipotizzabile da parte della sentenza impugnata, per la semplice ragione che il diritto comunitario non si occupa e non si è mai occupato del quantum dovuto ai frequentanti le scuole di specializzazione (V. Cass. n. 31922 del 10/12/2018; n. 17051 del 28/06/2018; n. 15520 del 13/06/2018).

Ne’ è ipotizzabile alcuna disparità di trattamento fra coloro che si sono iscritti alle scuole di specializzazione dopo il 1991 e coloro che le hanno frequentate in precedenza.

Se è vero, infatti, che ai secondi è stata riconosciuta una remunerazione maggiore del risarcimento liquidato ope legis ai primi, è altresì vero che soltanto i secondi nell’iscriversi alle scuole di specializzazione hanno assunto oneri ed impegni (il tempo pieno, in primo luogo) sconosciuti ai primi.

5. Per le stesse considerazioni è inammissibile il secondo motivo, discendendone anche l’inammissibilità del terzo, in quanto dichiaratamente relativi alle medesime doglianze svolte nel primo e nel secondo e proponenti argomenti inidonei a rivedere il più che consolidato orientamento della giurisprudenza.

Trattandosi di un peculiare diritto (para)risarcitorio, la sua quantificazione equitativa – da compiersi, come detto, sulla base delle indicazioni contenute nella L. n. 370 del 1999 – comporta esclusivamente la decorrenza degli interessi nella misura legale (e non anche la necessità della rivalutazione monetaria, salva la prova del maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2) dalla data della messa in mora, in quanto, con la monetizzazione effettuata dalla L. n. 370 del 1999, l’obbligazione risarcitoria ha acquistato carattere di obbligazione di valuta (Cass. n. 23635 del 2014, n. 1917 del 2012, n. 458 del 2019).

6. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese, non avendo le amministrazioni intimate svolto difese nella presente sede. Tale non può infatti considerarsi l'”atto di costituzione in giudizio”, sopra menzionato, poiché finalizzato solo a consentire la partecipazione della parte all’eventuale discussione orale, che però non ha avuto luogo, essendo stato il ricorso destinato a diverso modello processuale che tale incombente non prevede, ossia alla trattazione in Camera di Consiglio non partecipata, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

 

 

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