Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1597 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 19/01/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 19/01/2022), n.1597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26642-2020 proposto da:

COMUNE DI TORINO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G. ANTONELLI, 49, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO COLARIZI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DONATELLA SPINELLI;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE S.M. CLINICA DEL LAVORO E DELLA

RIABILITAZIONE, in persona elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DONATELLO 11, presso lo studio dell’avvocato CECILIA NUSINER,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO GINO MAINARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 129/6/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 22/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la parte contribuente ricorreva avverso il diniego di rimborso relativo all’IMU per l’anno d’imposta 2015;

la Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso della parte contribuente ma la Commissione Tributaria Regionale ne accoglieva l’appello riconoscendo che la parte contribuente ha sia i requisiti soggettivi che oggettivi per il diritto ad usufruire dell’esenzione dall’IMU, affermando che l’attività istituzionale della Fondazione consiste nell’operare nel campo della tutela della salute e della medicina riabilitativa e che si tratta di un ente non commerciale che – quanto al requisito soggettivo – svolge all’interno dell’immobile una delle attività indicate nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), fra le quali quelle assistenziali, sanitarie e di ricerca scientifica (quali risultano dallo Statuto della fondazione), attività che devono essere svolte con modalità non commerciali perché la distribuzione di utili è vietata dallo Statuto e che – quanto al requisito oggettivo – l’immobile è utilizzato direttamente dall’Ente.

Avverso la suddetta sentenza propone ricorso il comune di Torino, affidato a due motivi di impugnazione e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il comune di Torino lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 9, nonché ai sensi del D.M. n. 200 del 2012, artt. 3 e 4, in quanto dallo Statuto si evince che la Fondazione M. è legittimata a svolgere attività commerciale e pertanto il divieto di distribuzione degli utili non esclude la natura commerciale dell’attività svolta e spettando alla parte contribuente l’onere della prova del diritto all’esenzione; la Fondazione inoltre avrebbe dovuto assolvere all’obbligo di legge di dichiarare gli immobili non assoggettati all’imposta per poter usufruire dell’esenzione in parola;

con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il comune di Torino lamenta difetto assoluto di motivazione circa l’entità del volume d’affari denunciato dalla Fondazione relativamente all’anno al quale si riferisce l’istanza di rimborso nonché circa l’omessa dichiarazione da parte della Fondazione stessa delle porzioni immobiliari (eventualmente anche in termini percentuali) alle quali riferire la richiesta di esenzione.

Entrambi i motivi di impugnazione sono inammissibili per difetto di autosufficienza, facendo gli stessi continuo riferimento a documenti, fatti e circostanze che non sono né allegati né trascritti all’interno del ricorso (Statuto della Fondazione contribuente, sentenza di primo grado, difese in appello, volume d’affari denunciato dalla Fondazione relativamente all’anno al quale si riferisce l’istanza di rimborso, prova dell’omissione della dichiarazione da parte della Fondazione stessa delle porzioni immobiliari alle quali riferire la richiesta di esenzione).

Secondo questa Corte infatti il principio di autosufficienza prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass. n. 24340 del 2018; Cass. n. 17070 del 2020).

I motivi di impugnazione inoltre, pur formalmente volti a denunciare una violazione di legge e la decisività della considerazione di fatti decisivi da parte della sentenza impugnata, investono in realtà il merito della lite – contrapponendo alla situazione di fatto relativa all’attività svolta dalla Fondazione M. e alle modalità del suo svolgimento descritta dalla sentenza una diversa ricostruzione – e sono pertanto insuscettibili di poter essere valutate in Cassazione, in quanto con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404 del 2017; Cass. n. 5811 del 2019; Cass. n. 27899 del 2020).

A tal proposito, secondo questa Corte:

in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., SU, n. 23745 del 2020);

in tema di ricorso per cassazione, il vizio

di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 14986 del 2021; Cass. n. 3340 del 2019).

In effetti, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass. n. 24340 del 2018; Cass. n. 17070 del 2020).

Con particolare riferimento al secondo motivo di impugnazione, secondo Cass. n. 20414 del 2021: il motivo è inammissibile, in quanto il vizio di omesso esame del fatto decisivo è dedotto in modo inesaustivo.

Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, nell’interpretare il novellato art. 360 c.p.c., n. 5, hanno stabilito (già molto tempo prima dell’introduzione del ricorso oggi in esame) che colui il quale intenda denunciare in sede di legittimità un errore consistito nell’omesso esame d’un fatto decisivo, ha l’onere di indicare:

(a) quale fatto non sarebbe stato esaminato;

(b) quando e da chi era stato dedotto in giudizio;

(c) come era stato provato;

(d) perché era decisivo (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Nel caso di specie, il secondo motivo di impugnazione non contiene le analitiche indicazioni relative ai punti b), c) e d).

Il primo motivo di impugnazione, peraltro, è infondato anche nel merito.

considerato che secondo il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), sono esenti dal pagamento dell’ICI gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, art. 87, comma 1, lett. c), approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a);

considerato che, in tema di esenzione dall’ICI questa Corte ha affermato:

l’esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 39, conv. in L. n. 248 del 2006, presuppone l’esistenza sia di un requisito soggettivo, costituito dalla natura non commerciale dell’ente, sia di un requisito oggettivo, ovvero che l’attività svolta nell’immobile rientri tra quelle previste dal medesimo art. 7 (Cass. n. 7415 del 2019; Cass. n. 6795 del 2020; Cass. n. 9037 del 2020).

La Commissione Tributaria Regionale (affermando che l’attività istituzionale della Fondazione consiste nell’operare nel campo della tutela della salute e della medicina riabilitativa e che si tratta di un ente non commerciale che – quanto al requisito soggettivo – svolge all’interno dell’immobile una delle attività indicate nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), fra le quali quelle assistenziali, sanitarie e di ricerca scientifica (quali risultano dallo Statuto della fondazione), attività che devono essere svolte con modalità non commerciali perché la distribuzione di utili è vietata dallo Statuto e che – quanto al requisito oggettivo – l’immobile è utilizzato direttamente dall’Ente) si è attenuta ai suddetti principi laddove, con riferimento al cd. requisito soggettivo ha evidenziato la natura non commerciale dell’ente in quanto non distribuisce utili come si deduce dallo Statuto (evidentemente allegato dalla parte contribuente la quale dunque ha assolto il relativo onere della prova) mentre con riferimento al requisito oggettivo ha evidenziato che all’interno degli immobili in questione si svolgono attività assistenziali e sanitarie.

Pertanto, inammissibili entrambi i motivi di impugnazione, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 4.500, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

 

 

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