Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37773 del 01/12/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/12/2021, (ud. 15/09/2021, dep. 01/12/2021), n.37773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14915-2020 proposto da:

M.C., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO TALLARICO;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ COSTRUZIONI 3000 SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’avvocato GAETANO RIZZUTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1211/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 15/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALERIA

PICCONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza depositata il 15 ottobre 2019, la Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’appello proposto da M.C. nei confronti della Soc. Costruzioni 3000 s.r.l. avverso la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda da lui proposta nei confronti della società resistente, volta ad ottenere la corresponsione delle somme pretese a titolo di lavoro straordinario;

-la Corte, in particolare, condividendo l’iter motivazionale del giudice di primo grado, ha ritenuto inammissibile la prova testimoniale articolata dal lavoratore in quanto carente dell’indicazione dei nominativi dei testi da escutere;

– per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.C. deducendo un unico, articolato, motivo di censura;

– resiste, con controricorso, la società Costruzioni 3000 s.r.l.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico motivo di censura parte ricorrente allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 244,414,420 e 421 c.p.c., nonché dell’art. 6 CEDU, per aver la Corte territoriale ritenuto non ammissibile la prova testimoniale articolata in difetto della indicazione dei nominativi dei testi da escutere;

– ritiene il Collegio di dover riaffermare il principio (ribadito di recente da Cass. n. 12573 del 2020 che ha superato la diversa opzione interpretativa, su cui ad es. Cass. n. 5950 del 2014), ormai consolidato in sede di legittimità, secondo cui nel rito del lavoro, qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all’esercizio del potere – dovere di cui all’art. 421 c.p.c., comma 1, avente ad oggetto l’indicazione alla parte istante della riscontrata irregolarità e l’assegnazione di un termine perentorio per porvi rimedio, formulando o integrando le indicazioni relative alle persone da interrogare o ai fatti sui quali debbono essere interrogate; l’inosservanza di detto termine produce la decadenza dalla prova, rilevabile anche d’ufficio e non sanabile nemmeno sull’accordo delle parti;

non può invece ritenersi che la regolarizzazione della prova testimoniale sia venuto meno con la soppressione (ad opera della L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 89) dell’art. 244 c.p.c., comma 3;

-invero, nelle controversie di lavoro – e soltanto in queste – per la disparità socio-economica che vi è sottesa e che si riflette sulla stessa configurazione giuridica del rapporto, la normativa processuale, consente al giudice del lavoro il dispiego di poteri ben più incisivi di quelli in discorso, potendo egli sanare eventuali carenze nelle istanze di prova testimoniali mediante assegnazione d’un termine perentorio, non soltanto per integrarle quanto alle generalità dei testi, ma anche in ordine ai fatti su cui i testi devono essere interrogati (cfr. Cass. n. 12573 del 2020 cit., Cass. n. 1995 del 2016; Cass. n. 12210 del 2014) potendo financo disporre d’ufficio “in qualsiasi momento” l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche al di fuori dai limiti del codice civile, ad eccezione del solo giuramento decisorio, sulla base dell’unico presupposto dell’esistenza di una c.d. pista probatoria dedotta dalle parti, prescindendo quindi da preclusioni e decadenze già verificatesi (su cui Cass. Sez. Un. 17 giugno 2004, n. 11353);

– invero, per quanto concerne i poteri del giudice in ordine all’ammissione della prova, l’art. 421 c.p.c., commi 1 e 2, sono disposizioni che vanno necessariamente lette in modo unitario, come espressione della medesima esigenza volta a contemperare il principio dispositivo con la ricerca della verità materiale cui è ispirato il rito del lavoro, per il carattere costituzionale delle situazioni implicate nel rapporto di lavoro, nella previdenza e nell’assistenza sociale (fra le tante, Cass., n. 18410 del 2013; Cass. n. 13353 del 2012) e ciò consente quindi al giudice del lavoro di assegnare anche un termine alle parti per regolarizzare la propria lista di testimoni;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere accolto;

– la sentenza deve essere quindi cassata e la causa rinviata per la prosecuzione al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi sopraindicati e provvederà anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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