Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5640 del 12/03/2014
Civile Sent. Sez. 3 Num. 5640 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA
SENTENZA
sul ricorso 13617-2008 proposto da:
MANCUSO ANNA SVEVA, MANCUSO MAIA ROSA, MANCUSO
PIERVINCENZO, MANCUSO MARIA SIMONA, elettivamente
domiciliati in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo
studio dell’avvocato PALMERI GIOVANNI, rappresentati
e difesi dall’avvocato MILITELLO PAOLO giusta delega
2014
a margine;
ricorrenti
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contro
UNIVERSITA’ STUDI PALERMO, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
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Data pubblicazione: 12/03/2014
in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende
per legge;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 361/2007 della CORTE D’APPELLO
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/01/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO
MARIA STALLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
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di PALERMO, depositata il 04/04/2007 R.G.N. 975/04;
Ric.n. 13617/08 rg.
Svolgimento del giudizio.
Con atto di citazione del 30 aprile 91, Carlo Chiaramonte
Bordonaro, Pier Vincenzo Mancuso, Anna Sveva Mancuso, Maia Rosa
Mancuso e Maria Simona Mancuso convenivano in giudizio l’
locali di loro proprietà concessi in locazione all’ente convenuto
con distinti contratti del ’72 e del ’73 – la condanna al
risarcimento dei dànni loro derivati dall’occupazione abusiva (a
far data dal 1986) dell’immobile locato (di particolare pregio
storico-artistico), nonché dall’utilizzo improprio del medesimo.
Nella costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di
Palermo, interveniva la sentenza 20 gennaio 2004 con la quale il
tribunale di Palermo condannava l’ente convenuto al pagamento a
favore degli attori di vari importi a titolo di: – occupazione
abusiva dei locali dall’aprile ’86 a luglio ’97; – differenza tra
somme corrisposte in corso di rapporto e maggiori canoni dovuti
per contratto; – danni arrecati all’immobile; – danni arrecati ai
mobili; – danni (stimati in euro 100.000,00) da perdita di valore
dell’immobile e da impossibilità di sua nuova locazione per tutto
il tempo occorrente al ripristino.
Proposto appello principale dall’Università degli Studi ed
appello incidentale da parte dei locatori, interveniva la sentenza
n. 361 del 4 aprile 2007 con la quale la corte di appello di
Palermo – per quanto qui rileva – dichiarava la nullità della
sentenza di primo grado per vizio di extrapetizione nella parte in
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Università degli Studi di Palermo, chiedendone – con riguardo a
Ric.n. 13617/08 rg.
cui aveva condannato l’Università degli Studi al suddetto importo
risarcitorio di euro 100.000,00.
Avverso tale statuizione veniva proposto ricorso per cassazione
da parte di Pier Vincenzo, Anna Sveva, Maia Rosa e Maria Simona
Mancuso, sulla base di due motivi, ai quali resisteva con
ricorrente depositava memoria ex art.378 cod.proc.civ.
Motivi della decisione.
1.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa
applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, 1″ co.n.3)
cod.proc.civ., con riferimento all’articolo 112 cod.proc.civ. oggi
vigente ed all’articolo 184 cod.proc.civ. in vigore nel 1991,
atteso che la corte di appello aveva dichiarato la nullità del
capo di condanna al pagamento dell’importo risarcitorio di euro
100.000,00 ritenendo che quest’ultimo fosse stato dedotto in una
domanda nuova (con conseguente violazione del divieto di mutatio)
perché proposta soltanto in sede di precisazione delle
conclusioni, ed in assenza di accettazione del contraddittorio.
Al contrario, la domanda in questione doveva ritenersi ammissibile
perché:
– mera specificazione della domanda risarcitoria
originaria, essendo essa conseguenza di vari accertamenti peritali
svolti in corso di causa, dai quali era emerso che determinati
danneggiamenti (quali l’asportazione di dipinti dai sovrapporta)
dovevano ritenersi irrimediabili ed avevano pertanto determinato
una riduzione di valore dell’immobile; e che i lavori di
ripristino dei locali (ove possibili) avrebbero richiesto lunghi
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controricorso l’Università degli Studi di Palermo. Parte
Ric.n. 13617/08 rg.
tempi di esecuzione, con conseguente impossibilità di celere
rilocazione; il giudizio in oggetto era assoggettato
all’articolo 184 cpc previgente, con la conseguenza che le parti
potevano modificare le domande, eccezioni e conclusioni
precedentemente formulate.
diritto ex articolo 366 bis c.p.c., qui applicabile
ratione
temporis: “Le domande volte al risarcimento per la perdita di
valore dell’immobile illegittimamente occupato e quella di
risarcimento per la perdita di reddito durante il tempo necessario
al restauro, non possono considerarsi nuove ed inammissibili
rispetto alla domanda di risarcimento globale di tutti i danni
subiti a seguito dell’occupazione, ma costituiscono una semplice
specificazione della domanda originaria”.
Con il secondo motivo di ricorso,
si deduce omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto
decisivo della controversia, ex articolo 360 1^ co. n.5 cpc,
atteso che la corte di appello non aveva fornito nessuna
motivazione “sul perché la perdita subita dagli immobili nel loro
valore storico-artistico per i gravi danneggiamenti arrecati
dall’Università durante il periodo di occupazione abusiva ed il
danno conseguente all’impossibilità di utilizzarli durante il
tempo necessario al loro recupero, dessero luogo ad un pregiudizio
diverso e non rientrassero nella domanda proposta sin dall’atto di
citazione, volta ad ottenere il ‘… risarcimento del danni subiti
dagli immobili, utilizzati impropriamente, e la condanna
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A sostegno del motivo, viene formulato il seguente quesito di
Ric.n. 13617/08 rg.
dell’amministrazione al pagamento delle somme corrispondenti al
pregiudizio subito’ “.
In altri termini, non aveva la corte di
appello spiegato perché si vertesse nella specie di domanda nuova,
e non di mera specificazione della domanda originaria,
genericamente riconducibile a tutti i danni subiti dalla
1.2
I due motivi di ricorso vanno trattati unitariamente perché
entrambi incentrati – nella prospettiva vuoi della violazione di
legge vuoi del vizio motivazionale – sulla erronea valutazione di
novità della domanda risarcitoria (accolta dal tribunale fino alla
concorrenza di euro 100.000,00) avente ad oggetto la diminuzione
di valore dell’immobile per effetto delle asportazioni e dei
danneggiamenti arrecati, nonché il mancato reddito da nuova
locazione per il tempo necessario al ripristino.
Ha in proposito osservato la corte di appello (pag.8) che:
“del
pari viziata da extrapetizione è poi la sentenza appellata
relativamente alla condanna della convenuta al risarcimento del
danno per la perdita del valore degli immobili locati e di quello
conseguente all’impossibilità, per i proprietari, di locarli per
tutto il tempo occorrente per il loro restauro, trattandosi di
voci di danno non specificate nella originaria domanda (non
diretta, peraltro, a far valere la sola responsabilità
precontrattuale dell’amministrazione) ed integranti un pregiudizio
diverso, il cui ristoro è stato chiesto solo all’atto della
precisazione delle conclusioni senza accettazione del
contraddittorio”.
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proprietà.
Ric.n. 13617/08 rg.
Sul
piano
della
congruità
motivazionale
va
esclusa
l’accoglibilità della censura, dal momento che l’onere
motivazionale da parte del giudice di merito – logicamente
commisurato al livello di articolazione e di complessità giuridica
della questione controversa – è stato qui assolto mediante:
a.
questione (nella sua duplice articolazione di perdita di valore
dell’immobile e di ritardo nella nuova locazione) recava “voci di
danno non specificate nella originaria domanda”,
“un pregiudizio diverso”
e presupponeva
rispetto a quello fatto inizialmente
valere; b. la puntuale ricostruzione comparativa delle domande via
via svolte da parte attrice nel corso del giudizio di primo grado
(pag.6); ponendo in tal modo in evidenza come: con l’atto
introduttivo del giudizio i locatori avessero chiesto, tra il
resto, che l’Università degli Studi di Palermo venisse condannata
al risarcimento dei danni subiti dagli immobili, utilizzati
impropriamente; in sede di conclusioni 30 marzo 98, essi
avessero chiesto altresì il risarcimento dei danni provocati agli
immobili anche per l’avvenuta sottrazione dagli stessi di fregi ed
oggetti artistici di rilevante valore; – in sede di precisazione
definitiva delle conclusioni 8 marzo 2002, avessero chiesto il
risarcimento insito nella diminuzione di valore dell’immobile
locato per effetto dei danneggiamenti arrecati nonché nel mancato
reddito da ri-locazione nel periodo necessario ai restauri.
Orbene,
dalla
interdipendenza
di
questi
due passaggi
motivazionali emerge in maniera sintetica ma univoca come la
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l’esplicito rilievo del fatto che la domanda risarcitoria in
Ric.n. 13617/08 rg.
domanda sia stata ritenuta nuova dalla corte di appello perché
relativa ad una pretesa risarcitoria non includibile in quella,
ancorché ampia ed articolata, inizialmente avanzata; e perché,
segnatamente, riferita ad una duplice lesione patrimoniale
costituente aggiunta, e non semplice specificazione, della domanda
iniziale.
Va del resto osservato come la motivazione così evincibile sia
non soltanto del tutto congrua, ma anche condivisibile nel momento
in cui ha colto l’effettivo profilo di novità della domanda.
E’ orientamento costante di questa corte di legittimità che la
semplice
‘emendatio’
si ravvisi quando la parte proponga una
diversa interpretazione o qualificazione giuridica della
petendi
causa
intesa quale definizione del fatto costitutivo del
diritto, ovvero incida sul
petitum
nel senso di adeguarlo al
concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere
ma sempre, ben inteso, nei limiti della domanda proposta (da
ultimo: Cass.n. 12621 del 20/07/2012, e molte altre in termini). E
che, viceversa, si abbia vera e propria
ogniqualvolta “si
‘mutati° libelli’
avanzi una pretesa obiettivamente diversa da
quella originaria, introducendo nel processo un “petitum” diverso
e più ampio oppure una “causa petendi” fondata su situazioni
giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatt
costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga
giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della
controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della
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i
Ric.n. 13617/08 rg.
controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo”
(ivi).
Adattato questo insegnamento alla materia del risarcimento del
danno, si è affermato che:
“le allegazioni che devono accompagnare
la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere
controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi
agisce in giudizio, ma devono includere anche la descrizione delle
lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale
condotta, dovendo l’attore mettere il convenuto in condizione di
conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento,
a prescindere dalla loro esatta quantificazione e
dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo.
(Cass. n.
691 del 18/01/2012).
Va dunque qui ribadito che la domanda di risarcimento del
danno, ancorché formulata in maniera indeterminata nel
quantum
perché comprensiva di tutti i danni subiti a causa
dell’inadempimento della controparte, trova purtuttavia
definizione sulla base delle singole ragioni giuridiche nelle
quali si articola la
causa petendi;
vale a dire, sulla base dei
singoli danni subiti.
Nel caso di specie deve trovare conferma che la deduzione in
sede di precisazione delle conclusioni del risarcimento dei danni
insiti nella perdita di valore dell’immobile e nel ritardo nella
nuova locazione abbia inammissibilmente introdotto in giudizio
delle voci di danno – e, dunque, degli eventi lesivi – diversi ed
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limitate alla prospettazione della condotta colpevole della
Ric.n. 13617/08 rg.
ulteriori rispetto a quelli inizialmente dedotti. Se ciò è
addirittura eclatante con riguardo al mancato reddito per il
ritardo nella nuova locazione (implicante un’indagine a tutto
campo sulle modalità del restauro, la relativa tempistica,
l’appetibilità dei locali restaurati sul mercato della locazione
lo è anche per la diminuzione di valore dell’immobile. Pregiudizio
che, risultando intrinseco al valore commerciale dell’immobile
medesimo in un determinato momento, appare per sua natura
ontologicamente (ancor prima che giuridicamente) diverso ed
autonomo dai danni (quelli, soltanto, fatti inizialmente valere)
derivanti in quanto tali dai danneggiamenti agli arredi ed ai
decori e, più in generale, dall’
“uso improprio” dei locali. Anche
in tal caso, infatti, la domanda comportava l’espansione del
contraddittorio al vaglio di aspetti nuovi e diversi rispetto a
quelli dedotti nella domanda risarcitoria iniziale, ed insiti non
soltanto nel costo dei restauri, ma anche nel deprezzamento
commerciale eventualmente subito dall’immobile per effetto della
impossibilità di determinati ripristini, ovvero del ripristino di
decori e componenti estetiche non originali.
Si verte dunque di una tipica ipotesi nella quale la nuova
domanda amplia i termini iniziali del contraddittorio; introduce
la necessità di nuovi temi di prova e valutazione; menoma il
diritto della controparte di rappresentarsi stabilmente e fin
dall’inizio i profili di responsabilità e gli eventi lesivi
addebitatile.
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di immobili con quelle particolari caratteristiche ecc…), evidente
Ric.n. 13617/08 rg.
Quanto al fatto che le voci risarcitorie in questione siano
puntualmente emerse in esito ai vari accertamenti peritali che si
sono succeduti nel corso del giudizio di primo grado, non appare
decisivo; atteso che l’esito della ctu – mero mezzo ausiliario del
giudice nella valutazione della prova dei fatti costitutivi
riguardato e trovare contenimento alla luce e nei limiti della
domanda di parte. Non senza rilevare come l’affermazione secondo
e
cui tali componenti di danno sarebbero emerse’ nel corso degli
accertamenti peritali/ finisc£con il confermare, essa stessa, come
si sia trattato di danni ‘nuovi’ perché non rappresentati dalla
domanda iniziale. La ‘novità’, peraltro, era di natura meramente
processuale e non storica, nel senso che non si trattava di danni
verificatisi (o incrementatisi) nel corso del giudizio sulla base
dello stesso fatto genetico inizialmente dedotto, bensì di danni
riscontrabili ‘in natura’ già prima della introduzione del
giudizio e purtuttavia non enucleati né enucleabili, per le
anzidette ragioni, nella domanda iniziale. Quest’ultima
considerazione rimarca la diversità della presente fattispecie
rispetto a quella vagliata da Cass.18.4.13 n.9453, invocata dai
ricorrenti in memoria d’udienza.
La conclusione della corte di appello appare corretta anche
alla luce del previgente regime procedurale, dal momento che anche
sulla base del ‘vecchio rito’ la violazione delle preclusioni
processuali e, in particolare, del divieto di ‘mutatio’ – pur non
trovando rilevanza pubblicistica ed ufficiosa – poteva essere
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ritualmente sottoposti al contraddittorio – deve pur sempre essere
Ric.n. 13617/08 rg.
sanata
unicamente
dall’accettazione
ex
adverso
del
contraddittorio; vale a dire da un fatto processuale che qui non
si è verificato, come osservato – con affermazione non censurata
sul punto specifico – dalla corte di appello (pag.8, cit.).
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte
liquidate, come in dispositivo, ai sensi del DM Giustizia 20
luglio 2012 n.140.
P qm
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione che liquida in euro 5.200,00, di cui euro
200,00 per esborsi; oltre accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio della terza sezione civile
in data 15 gennai 2014.
ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio