Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30020 del 26/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 26/10/2021, (ud. 06/07/2021, dep. 26/10/2021), n.30020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25063 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

B.M., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Elisabetta Baldo e

Paolo Panariti per procura speciale a margine del ricorso,

elettivamente domiciliato in Roma, via Celimontana, n. 38, presso lo

studio di quest’ultimo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Emilia-Romagna, n. 59/02/2013, depositata in data 27

marzo 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 6

luglio 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza censurata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a B.M. degli avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta compresi tra il 1996 e il 2002, con i quali erano state accertate maggiori imposte dirette e Iva non versate, in considerazione del fatto che il contribuente, pur avendo trasferito la residenza in un Paese con regime fiscale privilegiato, aveva comunque mantenuto il domicilio ai fini fiscali in Italia; avverso gli avvisi di accertamento il contribuente aveva proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati rigettati dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia; avverso la pronuncia del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: non sussistevano i presupposti per potere accedere alla disciplina del condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9; gli avvisi di accertamento, oltre che sufficientemente motivati, erano stati regolarmente notificati e, comunque, era operante il principio della sanatoria della eventuale nullità del procedimento notificatorio; non sussisteva alcuna violazione dell’obbligo del contraddittorio preventivo, in particolare della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, nonché della procedura di accesso domiciliare eseguita; non sussisteva alcuna violazione del principio di affidamento e di buona fede del contribuente; non sussisteva alcuna preclusione derivante dalla formazione di un giudicato esterno; nel merito, la pretesa dell’amministrazione finanziaria, basata sulla esistenza in Italia del domicilio fiscale del contribuente, si fondava su elementi indiziari dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, quindi idonei a ritenere che il contribuente avesse ivi mantenuto il centro dei propri interessi sia familiari che economici, senza che questi avesse assolto al proprio onere di prova contraria;

il contribuente ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

in via pregiudiziale, va rilevato che parte ricorrente ha dichiarato in ricorso che la sentenza oggetto di censura, depositata in data 27 marzo 2013, è stata notificata il 9 settembre 2013, con conseguente onere di notifica entro il termine di cui agli artt. 325 e 326, c.p.c.;

non risulta dagli atti di causa che parte ricorrente abbia depositato, come richiesto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, copia autentica della sentenza impugnata con la relata di notificazione;

risulta, invero, solo depositata la copia autentica della sentenza, ma non anche il documento comprovante la data in cui è stata eseguita la notificazione della sentenza impugnata;

questa Corte (Cass. Sez, Un, 2 maggio 2017, n. 10648) ha ribadito il principio, già espresso con la precedente pronuncia a Sez. Un., 16 aprile 2009, n. 9005, secondo cui, nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, sebbene, in termini più estensivi, ha ritenuto che deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio;

va peraltro escluso che possa assumere rilievo l’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente o la circostanza che la stessa controricorrente ha confermato, nel controricorso, che la notifica era avvenuta nella medesima data indicata dalla ricorrente;

la pronuncia di questa Corte n. 10648/2017, cit., che ha limitato, come visto, l’ambito di applicabilità della sanzione di improcedibilità, ha comunque ribadito che:

a) la mancata produzione, nei termini, della sentenza impugnata o la mancata prova (mediante la relata di notifica) della tempestività del ricorso per cassazione costituiscono negligenze difensive che, per quanto frequenti, in linea di principio non sono giustificabili;

b) l’improcedibilità disposta dalla previsione normativa in esame, a differenza di quanto previsto in altre “situazioni procedurali”, trova la sua ragione nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo che ostacola la sequenza di avvio di un determinato processo;

c) la suddetta sanzione deve corrispondere ad una violazione della tempistica processuale che sia ex actis irrimediabile;

d) la sanzione massima sarebbe incongrua, irragionevole e sproporzionata se il documento proviene dalla stessa parte interessata a far constare la violazione processuale ovvero se il documento sia già in possesso dell’ufficio perché presente nel fascicolo trasmesso dal giudice di appello;

in definitiva, la possibilità di superare il mancato assolvimento dell’onere del ricorrente di fornire la prova della notifica della sentenza è strettamente connessa, secondo questa Corte, alla verifica della sussistenza in atti del documento da cui evincere con certezza la data di notifica, sicché non può ragionarsi in modo analogo con riferimento alla diversa ipotesi in cui, pur non ravvisandosi la suddetta prova, il controricorrente non abbia contestato o abbia confermato la data indicata nel ricorso;

sotto tale profilo, invero, la prova della notifica deve comunque essere ricavata dalla documentazione esistente in atti, non sussistendo equipollenti, trattandosi di incombenza la cui prova deve essere necessariamente fornita secondo le modalità documentali indicate per ragioni di certezza, immediatezza e decisività dimostrativa direttamente dalla legge (Cass. SSUU 9005/09; tra le altre: Cass. nn. 6712/13; 14207/15; 9987/16; 16498/16);

nella fattispecie, come detto, dinanzi alla affermazione della parte ricorrente che la sentenza impugnata è stata notificata il 9 settembre 2013, la stessa non ha assolto all’onere di depositare la prova dell’avvenuta notifica e non risulta riscontrabile in atti la prova documentale della suddetta notifica;

ne consegue che il ricorso è improcedibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte:

dichiara il ricorso improcedibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che si liquidano in complessive Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2021

 

 

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