Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27803 del 12/10/2021

Cassazione civile sez. III, 12/10/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 12/10/2021), n.27803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30518-2019 proposto, da:

H.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONCA D’ORO

184/190, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO DISCEPOLO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE ANCONA, PUBBLICO MINISTERO;

– resistente –

nonché contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 10/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. H.K., proveniente dal (OMISSIS), ha proposto un ricorso articolato in quattro motivi, notificato il 9 ottobre 2019, per la cassazione del decreto n. 10637/2019 emesso dal Tribunale di Ancona e pubblicato in data 10 settembre 2019.

2. Il Ministero dell’interno ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si è dichiarato disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

4. Il ricorrente, secondo la ricostruzione della sua vicenda personale contenuta nel ricorso, nato nel 1996, giunge in Italia nel 2017 passando per la Libia, ove è stato tenuto sotto sequestro e liberato solo in cambio di un riscatto. Parte dal suo Paese perché era stato arrestato e più volte denunciato e minacciato per ragioni politiche. In Italia si è inserito nel tessuto sociale e lavorativo, conseguendo anche un attestato di conoscenza della lingua italiana, e provvedendo ad inviare denaro alla sua famiglia per contribuire ad estinguere il debito contratto dal padre, che aveva dovuto impegnare la sua casa per procurare il denaro necessario a far uscire il figlio dal Paese.

5. La Commissione territoriale e poi, in sede giurisdizionale, il Tribunale di Ancona gli hanno negato il riconoscimento delle varie forme di protezione internazionale gradatamente richieste.

5.1. Il decreto del tribunale, quanto al riconoscimento dello status di rifugiato, afferma che esso non può riconoscersi perché il ricorrente “non ha allegato di essere affiliato politicamente o di avere preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili”, che manchino atti persecutori diretti e personali e che non che sussistano altri motivi atti a giustificare una persecuzione, quali l’appartenenza a minoranze etniche o religiose. Complessivamente, lo ritiene non credibile afferma che non è stato in grado di circostanziare la sua vicenda e che non ha fornito elementi pertinenti a supportare la sua storia né una idonea motivazione circa la loro mancanza.

5.2. La protezione sussidiaria è poi negata perché non si è ritenuto che il richiedente provenisse da una zona di conflitto armato né che corresse un grave rischio in caso di rimpatrio.

5.2. Gli è stato negato anche il riconoscimento della protezione umanitaria in quanto l’apprendimento della lingua e l’integrazione lavorativa del richiedente sono stati ritenuti elementi rilevanti ai fini dell’integrazione ma non sufficienti per ottenere il permesso di soggiorno, non attestando di per sé una elevata vulnerabilità né uno “sforzo serio” di integrarsi.

Diritto

RITENUTO

che:

il ricorrente ha articolato quattro motivi di ricorso.

6. Con il primo motivo si censura la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, per cui le dichiarazioni del richiedente devono essere considerate veritiere se, pur non suffragate da prove, il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda. Nel caso di specie si lamenta inoltre la mancata valutazione di documenti – dei quali il Khaer aveva curato la produzione davanti alla Commissione, erano rimasti agli atti del procedimento e poi la Commissione, parte nel giudizio dinanzi al tribunale, non ne aveva in quella sede curato la produzione – nonché altre documentazioni fotografiche, che lo mostravano insieme ai compagni di partito, feriti – che sarebbero stati atti a dimostrare l’attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente.

7. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 2, comma 1, lett. d), la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra nonché del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 8, laddove non si è riconosciuta protezione al ricorrente, che ha subito diverse denunce ed è stato perseguitato per ragioni politiche. In argomento viene segnalato il rapporto EASO relativo alle lotte fra partiti di (OMISSIS) e (OMISSIS) (alle manifestazioni di quest’ultima fazione avrebbe partecipato il ricorrente venendo perciò anche arrestato e, denunciato) e si sottolinea che la presenza di una situazione politica che non garantisca i diritti umani nel paese di provenienza ed il fatto che il ricorrente subirebbe persecuzioni in caso di rimpatrio sono elementi che sarebbero stati sufficienti al riconoscimento dello status di rifugiato.

8. Con il terzo motivo si lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 e la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3. Si sostiene che avrebbe dovuto riconoscersi il diritto alla protezione sussidiaria correndo il richiedente il rischio, in caso di rimpatrio, di subire il grave danno di essere picchiato o ucciso dalla polizia e dalle forze politiche della fazione opposta, risultando peraltro il sistema giudiziario del (OMISSIS) incapace di tutelare i cittadini, come risulta anche dai rapporti di Amnesty International e non rispettoso dei diritti umani, tanto che il ricorrente segnala il rischio di essere sottoposto a tortura ove rimpatriato.

Evidenzia inoltre che non si sia tenuto conto del conflitto armato diffuso presente in (OMISSIS). Segnala la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, in virtù del quale deve essere tenuta in conto anche la situazione del paese di transito: il particolare, il tribunale avrebbe dovuto tenere in conto la permanenza in Libia dove, fra l’altro, il ricorrente è stato sequestrato da criminali che lo hanno rilasciato solo in cambio di un riscatto.

9. Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 349 del 1999, art. 11, lett. c.- ter e art. 28, lett. d; dell’art. 19, comma 2 della Carta di Nizza. Si censura il mancato riconoscimento della protezione umanitaria visto il livello di integrazione del ricorrente che ha un lavoro stabile, in virtù del quale percepisce un dignitoso salario, parla bene l’italiano e, per la giovane età (ventiquattro anni), rientra fra i soggetti vulnerabili (stante anche la frustrazione che seguirebbe al rimpatrio, dopo tutto l’impegno profuso per l’integrazione e i buoni risultati conseguiti).

10. Il primo motivo è fondato e va accolto, ed il suo accoglimento determina l’assorbimento dei successivi motivi.

10.1. La decisione impugnata si pone in violazione di legge, in conformità alle censure proposte, in quanto la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5); detta valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01).

In particolare, il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato eloquente anche di una singola circostanza ritenuta di per sé assorbente rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purché di detta circostanza se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati; nel caso di specie, il giudice a quo, nel trattare della questione relativa alla credibilità della vicenda narrata dal ricorrente, si è inammissibilmente limitato a rilevare la mancanza di prova a sostegno di quanto narrato dall’istante, senza indicare quale questo narrato fosse.

10.2. Ciò posto, varrà considerare come la corte territoriale abbia propriamente trascurato di circostanziare e articolare la valutazione di credibilità del richiedente in rapporto a ciascuno dei parametri di attendibilità dichiarativa sul cui necessario rilievo insiste la disposizione imperativa di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, finendo col porsi in evidente contrasto con i canoni di interpretazione delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale espressamente raccomandati dalla legge e, più in generale, con la struttura procedimentale e comprensiva del ragionamento argomentativo imposto ai fini del controllo di quelle stesse dichiarazioni; in forza di tali premesse, le lacune indicate devono ritenersi tali da riflettersi inevitabilmente sulla legittimità della motivazione in tema dettata dal giudice di merito, atteso che il mancato rispetto del modello legale di lettura delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo vale a escludere l’avvenuta giustificazione, in modo legalmente adeguato, del giudizio di inattendibilità così espresso dal giudice di merito Tali rilievi impongono di rinviare al giudice del merito per la doverosa rinnovazione della valutazione delle dichiarazioni rese dal richiedente, anche in relazione alla verifica istruttoria (da compiere anche attraverso l’esercizio dei poteri di cooperazione istruttoria rimessi al giudice del merito) circa la fondatezza delle domande relative al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui alle ipotesi indicate nelle lett. a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, anche alla luce della copiosa documentazione da questi prodotta davanti alla Commissione territoriale, attestante le aggressioni fisiche subite da lui e da altri studenti, le denunce ricevute, le lettere provenienti dal suo paese di origine (dal sindaco, dal preside della sua scuola), che il ricorrente si sarà procurato presumibilmente con consistenti sforzi, e che la Commissione, parte del giudizio dinanzi al tribunale non ha curato di produrre né il tribunale di acquisire (documentazione specificatamente indicata in questa sede, nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

10.3. Occorre aggiungere che si pone in violazione di legge, nella sua assolutezza, l’affermazione contenuta a pag. 7 del provvedimento impugnato, secondo la quale “la persecuzione o il danno generato esclusivamente nel paese di transito come nel caso in oggetto (avendo il tribunale escluso che fosse stata fornita la prova di persecuzioni subite in patria) restando confinato nel territorio del paese terzo e non avendo alcun nesso con il paese di origine, non rileva ai fini del riconoscimento della protezione”. Deve ribadirsi infatti che in tema di protezione umanitaria, il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, impone al giudice del merito di valutare la domanda alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine del richiedente e “ove occorra” nel Paese in cui è transitato, allorché l’esperienza vissuta in quest’ultimo presenti un certo grado di significatività in relazione ad indici specifici quali la durata in concreto del soggiorno, in comparazione con il tempo trascorso nel paese di origine (Cass. n. 13758 del 2020).

In altri termini, ai fini dell’accertamento della vulnerabilità del ricorrente, da valutare caso per caso, dovranno essere considerate, ove allegate e sufficientemente circostanziate nel senso sopra indicato, le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. n. 13565 del 2020).

11. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei i successivi, in quanto l’intero giudizio di appello dovrà essere ripetuto, in riferimento a tutti i motivi di appello formulati dall’attuale ricorrente, nel rispetto dei sopra richiamati principi di diritto. Il ricorso è accolto, la sentenza cassata con conseguente rinvio al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

 

 

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