Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23908 del 03/09/2021
Cassazione civile sez. III, 03/09/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 03/09/2021), n.23908
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele G. A. – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31890-2019 proposto da:
D.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELL’ELETTRONICA
20, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PIERO SIVIGLIA,
rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE OCCHIPINTI;
– ricorrenti –
nonché contro
MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO
PROTEZIONE INTERNAZIONALE VERONA, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che
lo rappresenta e difende;
– resistenti –
avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il
18/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
17/03/2021 dal Consigliere Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
1. D.K., cittadino del Senegal (Casamance), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
2. Il richiedente dedusse a fondamento delle proprie ragioni di essere fuggito da una regione caratterizzata da forti instabilità come il Casamance, per salvarsi dalla vendetta degli appartenenti al movimento separatista MFDM, l’adesione al quale gli veniva imposta alla morte dello zio.
La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
3. Avverso tale provvedimento D.K. ha proposto ricorso dinanzi il Tribunale di Venezia, che con Decreto n. 7588 del 2019, pubblicato in data 18/09/2019, lo ha dichiarato inammissibile.
Il Tribunale ha rilevato che già in data antecedente (18/03/2016) la Commissione Territoriale aveva rigettato una prima domanda di protezione internazionale avanzata dal richiedente e che lo stesso tribunale lagunare si era pronunciato, con Decreto 13 febbraio 2017, rigettando il ricorso del richiedente avverso il suddetto provvedimento di diniego. Pertanto, la domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale era inammissibile, non essendo allegati motivi sopravvenuti.
Nel merito, il Tribunale ha ritenuto:
a) infondata la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, perché il richiedente non aveva dedotto alcun nuovo fatto di persecuzione grave e personale;
b) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione sussidiaria, perché nella regione di provenienza non era in atto un conflitto armato;
c) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria, poiché l’istante non aveva né allegato, né provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per se dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.
4. Il decreto è stato impugnato per cassazione da D.K. con ricorso fondato su tre motivi.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione ex art. 360, comma 1, n. 3, in considerazione del D.Lgs. n. 251 del 2007”, in quanto ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, rileverebbe anche la mancata protezione del soggetto da parte dello Stato e delle Autorità statali locali mentre il Tribunale non avrebbe approfondito adeguatamente tale aspetto.
Il primo motivo è innanzitutto inammissibile, in quanto ignora il dicturn del Tribunale circa la sussistenza di cosa giudicata sia quanto alla rivendicazione dello status di rifugiato sia quanto alla protezione sussidiaria di cui alle lett. a) e b). Infatti il Giudice del Tribunale afferma che non può essere riconosciuto lo status di rifugiato non avendo il ricorrente allegato motivi sopravvenuti tale da consentire la concessione di tale tutela (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
E comunque il motivo sarebbe comunque infondato.
Il dovere di cooperazione da parte del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a cio preposti alla luce dell’obbligo, sancito dall’art. 10, comma 3, lett. b) della cd. Direttiva Procedure, “di mettere a disposizione del personale incaricato di esaminare le domande informazioni precise e aggiornate provenienti dall’EASO, dall’UNHCR e da Organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani circa la situazione generale nel paese d’origine dei richiedenti e, all’occorrenza, dei paesi in cui hanno transitato”. Spettera, dunque (all’amministrazione, prima, e poi) al giudice fare riferimento anche di propria iniziativa a informazioni relative ai Paesi d’origine che risultino complete, affidabili e aggiornate”.
Nel caso di specie il giudice del merito ha utilizzato fonti ufficiali del 2016/2017 e 2018 ed il ricorrente nei motivi di ricorso non ha allegato fonti diverse e phi recenti rispetto alla decisione impugnata.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 in considerazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) e art. 14”, in quanto il Tribunale non avrebbe considerato il periodo di carcerazione trascorso in Libia dal richiedente.
Il motivo è infondato.
La decisione del Tribunale è conforme a quanto sostenuto da questa Corte, secondo cui l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrile’vante.ai fini della decisione, perché l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (ex plurimis, Cass. 06/12/2018, n. 31676).
5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la “violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 10 Cost., laddove non è stata riconosciuta al richiedente asilo la protezione umanitaria” in quanto alla luce delle condizioni sociali presenti in Senegal, caratterizzato da indigenza e violazione dei diritti umani, il richiedente avrebbe diritto alla protezione umanitaria.
Il motivo è infondato in quanto si risolve nella mera prospettazione di una serie di dati sulla situazione del Senegal, senza fornire alcuna indicazione della fonte da cui originano, nonché nell’evocazione di precedenti di merito che avrebbero riconosciuto la protezione umanitaria a senegalesi.
Il motivo ignora la motivazione resa dal Tribunale e non contiene alcuna argomentazione in iure atta a dimostrare la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
E comunque il Tribunale ha correttamente adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria citando numerose fonti in merito alla condizione sociale presente in Senegal, con particolare riferimento alla regione del Casamance, da cui proviene il richiedente. Alla luce di tali informazioni i giudici di merito hanno ritenuto assente una situazione di conflitto armato o di violenza indiscriminata tale da giustificare sia la protezione sussidiaria ma anche la protezione umanitaria. In particolare, il richiedente non ha allegato alcun percorso di integrazione intrapreso in Italia, elemento di per sé non sufficiente ma sicuramente necessario per il giudizio di comparazione tra la condizione raggiunta dal soggetto in Italia e quella in cui si troverebbe in caso di rimpatrio, comparazione che assume valore centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione umanitaria.
6. Pertanto la Corte rigetta il ricorso. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.
7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021