Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22672 del 11/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 11/08/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 11/08/2021), n.22672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16398-2015 prcposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA VERBANO 22,

presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA DELLA GATTA, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO ROMANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso il cui Ufficio domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4968/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata 11 30/06/2014 R.G.N. 10830/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/02/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 4968 del 2014, pronunciando sull’impugnazione proposta da D.A. nei confronti del MIUR, avverso la sentenza n. 7214 del 2009, emessa tra le parti dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha rigettato l’appello.

2. Il lavoratore appartenente al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola (ATA), transitato dalla Provincia di Napoli allo Stato, aveva chiesto ai sensi della L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2, il riconoscimento a fini giuridici ed economici dell’intera anzianità di servizio maturata presso l’ente locale di provenienza.

3. Il Tribunale aveva rigettato la domanda.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospetta due motivi di impugnazione.

5. Resiste con controricorso il MIUR.

6. In prossimità dell’adunanza camerale il lavoratore ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

E’ censurata la statuizione con cui la Corte d’appello avrebbe ritenuto il ricorso nullo ex art. 414 c.p.c., n. 4, e per l’effetto avrebbe rigettato la domanda senza statuire sul fatto controverso, relativo allo stipendio annuo riconosciuto dallo Stato al lavoratore, con decorrenza 1 gennaio 2000, in modo inferiore a quello dell’ente di provenienza.

La Corte d’Appello aveva valutato il ricorso carente e/o insufficiente rispetto alle allegazioni fattuali, in particolare nel raffronto tra le due retribuzioni.

Nell’illustrazione del motivo e della memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., il ricorrente espone che con il ricorso introduttivo aveva dedotto che lo stipendio annuo attribuitogli dallo Stato era inferiore a quello percepito preso la Provincia, e che il peggioramento era conseguente al mancato riconoscimento del livello professionale dirigente cat. D – già ricoperto presso l’ente di provenienza; pertanto la differenza economica tra i due stipendi annui era data dalla retribuzione di posizione che gli era stata riconosciuta dal CCNL enti locali, ed era stata negata dallo Stato.

Richiama l’evoluzione normativa e giurisprudenziale intervenuta, anche in sede Eurounitaria, in materia, e ripercorre le diverse fasi del giudizio.

2. Il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

3. Va premesso che la Corte d’Appello ha rigettato l’impugnazione proposta dal D. in quanto il ricorso era insufficiente circa l’allegazione sulla sussistenza di un trattamento stipendiale peggiorativo, inteso globalmente al momento del passaggio dalla Provincia allo Stato, e non ha pronunciato la nullità del ricorso come espone il ricorrente.

4. Tanto premesso, si osserva che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (ex aliis, Cass., n. 4086 del 2019) un peggioramento “sostanziale”, impedito dalla tutela che la direttiva Eurounitaria riconosce ai lavoratori coinvolti nel trasferimento d’impresa, è ravvisabile solo qualora, all’esito della comparazione globale, emerga una diminuzione “certa” del compenso che sarebbe stato corrisposto qualora il rapporto fosse proseguito con il cedente nelle medesime condizioni lavorative, sicché non possono essere apprezzati gli importi, che se pure occasionalmente versati prima del passaggio, non costituivano il “normale” corrispettivo della prestazione, perché, in quanto legati a variabili inerenti alle modalità qualitative e quantitative di quest’ultima, non erano entrati nel patrimonio del lavoratore, che sugli stessi non avrebbe potuto fare sicuro affidamento neppure qualora la vicenda modificativa non fosse stata realizzata.

Corollario di detto principio è quello, egualmente consolidato da tempo nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in caso di passaggio di personale conseguente al trasferimento di attività concorrono a formare la base di calcolo ai fini della quantificazione dell’assegno personale le voci retributive corrisposte in misura fissa e continuativa, non già gli emolumenti variabili o provvisori sui quali, per il loro carattere di precarietà e di accidentalità il dipendente non può riporre affidamento, o perché connessi a particolari situazioni di lavoro o in quanto derivanti dal raggiungimento di specifici obiettivi e condizionati, nell’ammontare, da stanziamenti per i quali è richiesto il previo giudizio di compatibilità con le esigenze finanziarie dell’amministrazione (cfr. fra le tante Cass. n. 31148/2018; Cass. n. 18196/2017; Cass. n. 3865/2012).

Il principio di irriducibilità della retribuzione, che questa Corte ha precisato nei termini sopra indicati (cfr. fra le tante Cass. n. 29247/2017; Cass. n. 4317/2012; Cass. n. 20310/2008), non si atteggia diversamente nei casi di modificazione soggettiva del rapporto perché, se la direttiva 77/187 “non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento di impresa” (punto 77 sentenza Scattolon), non possono essere opposti al cessionario limiti ulteriori rispetto a quelli che valevano, prima della cessione, per il datore di lavoro cedente.

Deve essere qui ribadito il principio di diritto già affermato da Cass. nn. 3663, 6345, 7470 del 2019, secondo cui i premi ed i compensi incentivanti previsti dagli artt. 17 e 18 del CCNL 1 aprile 1999 per il personale del comparto regioni ed enti locali non possono avere rilevanza ai fini del cd. maturato economico, perché si tratta di voci del trattamento accessorio correlate ad effettivi incrementi di produttività e di miglioramento dei servizi, ossia di emolumenti non certi nell’an e nel quantum.

Quanto all’indennità di rischio, occorre evidenziare che la tabella b allegata al D.P.R. n. 347 del 1983, richiamato dall’art. 31 del CCNL 6.7.1995 e superato solo dall’art. 37 del CCNL 14.9.2000, individua specificamente le attività comportanti l’attribuzione dell’indennità in ragione dell’esposizione a fattori nocivi, attività fra le quali non rientrano le mansioni espletate dal personale ATA all’interno degli istituti scolastici, come desumibili dalla declaratoria dei relativi profili professionali.

Parimenti nessun rilievo può essere attribuito all’asserita mancata considerazione del LED – Livello Economico Differenziato – perché anche in tal caso i ricorrenti fanno leva su un’interpretazione non corretta della contrattazione collettiva per il personale del comparto enti locali che, a partire dall’adozione del nuovo sistema di classificazione del personale avvenuta con il CCNL 31.3.1999 (quindi in epoca antecedente il passaggio nei ruoli dello Sato), hanno previsto (art. 7, comma 2, del CCNL 1999) l’assorbimento nel trattamento economico fondamentale delle “voci retributive stipendio tabellare e livello economico differenziato di cui all’art. 28, comma 1, del CCNL del 6.7.1995” che, quindi, hanno perso autonomia e sono state ricomprese a tutti gli effetti nel trattamento valutato dall’amministrazione al momento del passaggio.

Infine va rammentato che nell’impiego pubblico contrattualizzato l’attribuzione del buono pasto ha carattere assistenziale, è legata ad una particolare articolazione dell’orario di lavoro e non riguarda né la durata né la retribuzione del lavoro (cfr. Cass. n. 31137/2019).

5. Ciò detto, rileva il Collegio che nel ricorso e nella memoria il ricorrente, sostiene la tesi di un peggioramento sostanziale, nonostante il riconoscimento dell’assegno personale (v. pag. 5 del ricorso, in cui si afferma che dal 1 gennaio 2000, gli era attribuito l’ammontare di Lire 29.244.388, di cui Lire 36.388 per assegno ad personam), in ragione del mancato riconoscimento del livello professionale – dirigente cat. D4 – ricoperto preso l’ente locale, atteso che veniva inquadrato dopo il passaggio nel livello professionale C 1, senza dedurre un complessivo peggioramento retributivo nei termini sopra illustrati.

Il richiamo della ricorrente a determinati istituti retributivi riconosciuti prima e non attribuiti dopo è dunque in sé sterile, perché quello che conta non sono, come afferma anche dalla Corte d’Appello, le singole voci retributive, ma il confronto tra i complessivi valori ante e post trasferimento, in quanto discendenti da poste fisse e continuativi.

Sul punto la Corte d’Appello dopo aver richiamato i principi già enunciati da questa Corte in materia, ha affermato che il ricorrente non aveva addotto nulla in ordine alla dimostrazione di un trattamento peggiorativo inteso globalmente, e che il ricorso introduttivo del giudizio era insufficiente sotto il profilo delle allegazioni, fondandosi sull’attribuzione di una base stipendiale inferiore rispetto a quella dovuta stante l’esclusione della retribuzione di posizione.

Invece era pacifico che, nel passaggio al Comparto scuola, ai lavoratori era stata conservata la medesima retribuzione in godimento mediante l’attribuzione di assegno ad personam concesso al fine di garantire il livello retributivo raggiunto, e non constava l’allegazione puntuale ed effettivamente comparativa, da parte del ricorrente, circa l’asserita insufficienza del predetto assegno ad assorbire anche l’emolumento conteso,

Pertanto la censura proposta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 risulta inammissibile atteso che tale vizio riguarda l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure, come quella in esame, che si estendono al paradigma normativo dei criteri da applicare nella determinazione del peggioramento retributivo.

6. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del procedimento in riferimento al combinato disposto dell’art. 414 c.p.c., n. 4 e art. 416 c.p.c., comma 3, correlati anche agli effetti di cui al combinato disposto dell’art. 164, commi 4 e 5, artt. 157,156 e art. 161, comma 1, nonché art. 112 c.p.c..

Dopo aver ripercorso le difese svolte nel corso del giudizio, il ricorrente deduce che la Corte territoriale non era stata investita da specifico motivo di impugnazione diretto o indiretto, o eccezione, o difesa in ordine alla nullità del ricorso ex art. 414 c.p.c., n. 4. Pertanto, la Corte d’appello, con la sentenza in esame aveva violato l’art. 112 c.p.c.

7. Il motivo è inammissibile.

Nella sentenza di appello oggetto del presente ricorso per cassazione non vi è pronuncia di nullità del ricorso.

La Corte d’Appello ha rigettato l’appello proposto da D.A. dopo aver affermato, tra l’altro (v., pag. 5 della sentenza di appello) l’incertezza circa la sussistenza nella fattispecie concreta degli elementi fattuali che obbligatoriamente devono contraddistinguere tale tipologia di controversia, trattandosi di fatti costitutivi della pretesa.

8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021

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