Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22646 del 10/08/2021

Cassazione civile sez. I, 10/08/2021, (ud. 01/06/2021, dep. 10/08/2021), n.22646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17957-2020 r.g. proposto da:

B.G., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Daniele

Romiti, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Barnaba

Tortolini n. 30, presso lo studio dell’Avvocato Placidi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna, depositato in data

25.5.2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

1/6/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Bologna ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da B.G., cittadino della (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato nella (OMISSIS); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perché accusato dell’omicidio di uno dei figli del suo datore di lavoro che lo avevano aggredito con bastoni in seguito al furto del bestiame di cui era stato ingiustamente accusato.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile, lacunoso, generico e contraddittorio e perché non erano stati neanche allegati atti di persecuzione in danno del richiedente; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla (OMISSIS), stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perché il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano né una condizione di soggettiva vulnerabilità.

2. Il decreto, pubblicato il 25.5.2020, è stato impugnato da B.G. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del procedimento e del decreto decisorio per error in procedendo e la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, commi 8, 9, 10 e 11, del D.L. n. 13 del 2017, artt. 1 e 2 conv. in L. n. 46 del 2017, degli artt. 12, 14, 31 e 46 dir. 2013/32/UE nonché dell’art. 47 della carta dei diritti fondamentali della Unione Europea.

1.1 Il motivo è infondato.

Il ricorrente pone, in realtà, due questioni come motivi di illegittimità del provvedimento impugnato, e cioè, da un lato, il profilo di nullità del decreto per la presunta violazione del principio di immutabilità del giudice di cui all’art. 276 c.p.c. e, dall’altro, la questione della possibilità di delegare ai got le incombenze istruttorie nel procedimento governato dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35bis.

1.1.1 Sotto il primo profilo, le doglianze sollevate dal ricorrente risultano in contrasto con quanto recentemente affermato dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 5425 del 26/02/2021) secondo cui verbatim “Ne’ la validità del processo è inficiata dalla circostanza che il giudice onorario, delegato all’attività istruttoria, non fa poi parte del collegio giudicante. Da tempo, infatti, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’avviso che nei procedimenti camerali – qual è quello di cui qui si discute, ai sensi del D.Lgs. n. 13 del 2017, art. 3, comma 4-bis, e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 9, – il principio dell’immutabilità del giudice, sancito dall’art. 276 c.p.c., opera con esclusivo riferimento al momento in cui la causa è introitata in decisione, e pertanto non viene violato per il fatto che il collegio in tale momento abbia una composizione diversa da quella di precedenti fasi processuali (Cass., Sez. I, nn. 545 del 1981, 2350 del 1990, 19216 del 2005; Sez. H, n. 452711984), sicché non rileva la circostanza che il giudice che ha proceduto all’attività istruttoria non faccia poi parte del collegio giudicante (Cass., Sez. I, nn. 7757 del 1990, 20166 del 2004, 5060 del 2007, 16738 del 2011… La rilevanza dell’articolazione del giudizio civile in fasi, ai fini del principio di immodificabilità del giudice, è del resto esplicitata nella stessa disciplina fondamentale dell’immutabilità dei giudice nel processo civile, quella dettata per il rito ordinario dall’art. 276 c.p.c., comma 1, secondo periodo: a mente del quale alla decisione “possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione”, non anche all’istruzione”.

1.1.2 Occorre invero precisare che al giudice onorario possono essere delegati, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, comma 11, “compiti e attività” processuali, tra i quali ben può rientrare la celebrazione dell’udienza prevista dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, commi 10 e 11 (senza dubbio facente parte della “trattazione” riservata al componente del collegio all’uopo designato e dal medesimo, quindi, delegabile al giudice onorario ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, comma 11″ cit.) ed anche l’audizione del richiedente. Tuttavia, tale udienza non è da confondere con l’udienza di discussione di cui all’art. 275 c.p.c., la quale è prevista in realtà nel rito ordinario di cognizione, mentre il processo di protezione internazionale segue un suo rito speciale, disciplinato dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, cit., sull’impianto del rito camerale di cui agli artt. 737 c.p.c. e ss., che non prevede una “udienza di discussione”, quale atto iniziale della “fase” di decisione propria del rito ordinario.

1.1.3 In relazione al secondo profilo di doglianza sopra accennato, la giurisprudenza di questa Corte ha invero precisato che, in materia di protezione internazionale, non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito il giudice onorario di tribunale abbia proceduto all’audizione del richiedente, rimettendo poi la causa per la decisione al collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione, poiché il D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10 recante la riforma organica della magistratura onoraria, consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, compresa l’assunzione di testimoni, mentre l’art. 11 medesimo D.Lgs. esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari solo per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non rientrano quelli di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 4887 del 24/02/2020; Cass. 3356/2019; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29629 del 28/12/2020; cfr. anche ss.uuu. 5425/2021, cit. supra).

Ne consegue l’infondatezza delle censure proposte nel primo motivo.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27, degli artt. 16 e 46 Dir. 2013/32/UE, degli artt. 6 e 13 Cedu dell’art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e ciò in relazione al profilo della valutazione di non credibilità del ricorrente.

2.1 Il motivo, per come formulato, è inammissibile perché, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretende, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva inattendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perché per ilú rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 118disp. att. c.p.c. e dell’art. 111, Cost., in relazione alla “manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione”.

Anche il motivo ora in esame è inammissibile già nella sua formale articolazione.

3.1 Occorre infatti evidenziare l’irricevibilità del vizio, per come articolato in rubrica e sviluppato nello svolgimento delle argomentazioni, posto che il vizio motivazionale proposto dal ricorrente non rientra più nel catalogo dei vizi denunciabili in cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.2 Sul punto, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Detto altrimenti, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (così, sempre Cass. n. 8053/2014, cit. supra).

3.3 Ciò posto, il ricorrente – lungi dall’indicare un “fatto storico” allegato nel giudizio di merito il cui omesso esame avrebbe determinato un vulnus sulla tenuta complessiva della motivazione (nel senso già sopra chiarito) – si è invece limitato a censurare in modo generico la tenuta logica della motivazione impugnata.

4. Il ricorrente propone inoltre un quarto motivo con il quale articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 1, nonché degli artt. 2 e 3, Cedu, nonché, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo. Osserva il ricorrente che erroneamente il tribunale felsineo avrebbe considerato la situazione del paese di provenienza solo in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria e non già anche in riferimento alla protezione umanitaria ove in egual modo la questione avrebbe potuto aver rilievo per evidenziare la sua condizione di soggetto vulnerabile.

4.1 Anche l’ultima censura è inammissibile.

4.1.1 Sul punto giova ricordare che, la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 2039/2021) ha precisato che “Nel regime normativo precedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 (conv. nella L. n. 132 del 2018), se i presupposti necessari al riconoscimento della protezione umanitaria devono essere individuati autonomamente rispetto a quelli previsti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (non essendo tra loro sovrapponibili), i fatti storici posti a fondamento della positiva valutazione della condizione di vulnerabilità ben possono essere gli stessi già allegati per ottenere il riconoscimento delle protezioni maggiori, rientrando, invero, nei poteri di qualificazione giudiziale dei fatti la possibile riconduzione all’una o all’altra forma di protezione degli stessi. Ne consegue che, nel giudizio comparativo da svolgersi ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, può rilevare anche una situazione generalizzata di violazione di diritti umani ovvero di conflitto, ancorché di livello minore rispetto a quella rilevante per la concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, fatti quest’ultimi da valutarsi comparativamente in rapporto all’integrazione del richiedente nel paese di accoglienza”. E’ stato tuttavia ulteriormente precisato, nel medesimo contesto decisorio, “L’allegazione da parte del richiedente della situazione generale del paese di provenienza dovrà, tuttavia, proiettare – per essere positivamente apprezzata dal giudice del merito nella valutazione comparativa tra integrazione nel paese di accoglienza e la situazione del paese di provenienza – un riflesso individualizzante rispetto alla vita precedente del richiedente protezione, tale da evidenziare le condizioni di vulnerabilità soggettive necessarie per il riconoscimento dell’invocata tutela protettiva umanitaria, non potendosi ritenere pertinenti né rilevanti allegazioni generiche sulla situazione del paese di provenienza del richiedente in ordine alla privazione dei diritti fondamentali ovvero in ordine alla condizione di pericolosità interna che siano scollegate dalla situazione soggettiva dello stesso richiedente.

L’assolvimento del predetto onere allegatorio innesca, come necessaria conseguenza, l’obbligo di cooperazione istruttoria del giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 8, comma 3, per l’approfondimento di quelle condizioni del paese di provenienza, incidenti sulla situazione di vulnerabilità, allegate dal richiedente protezione” (conf. anche Cass., ord. 13079/2019).

Orbene, la doglianza per come prospettata pecca di genericità, in quanto non è spiegato, nel contesto del motivo, quale sia il riflesso individualizzante della situazione-paese sul profilo di vulnerabilità dedotto dal richiedente. A ciò va aggiunto che la doglianza non si cura neanche di censurare le rationes decidendi poste a sostegno del diniego della richiesta protezione umanitaria, e cioè la mancata allegazione di una condizione di soggettiva vulnerabilità e la non credibilità del ricorrente.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021

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