Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21846 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 30/07/2021), n.21846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 683/2014 R.G. proposto da:

Spettacolo s.r.l., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Paolo Sisto elettivamente

domiciliata in Roma, via Pier Luigi da Palestrina, 19, presso lo

studio legale Balducci per procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura

generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, alla via dei

Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia n. 42/13/13 depositata il 13.5.2013.

Udita la relazione svolta alla udienza camerale del 13.4.2021 dal

Consigliere Rosaria Maria Castorina.

 

Fatto

OSSERVA

L’Agenzia delle Entrate emetteva, nei confronti della Spettacolo s.r.l., esercente attività nel settore della vendita all’ingrosso di complementi, attrezzature ed arredi per negozi e vetrine commerciali, due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2004 e 2005 con i quali, sulla base di un processo verbale di constatazione redatto in data 18.7.2009 a conclusione di una verifica parziale nei confronti della società, venivano accertati maggiori ricavi e recuperati a tassazione tributi omessi, oltre sanzioni ed interessi. La verifica scaturiva da una attività ispettiva a carattere generale effettuata nei confronti di un fornitore abituale – la società Fidia s.p.a. – nel corso della quale era stata rilevata una contabilità parallela da cui era emerso che la contribuente aveva effettuato acquisti in violazione dell’obbligo di fatturazione.

A seguito dell’impugnazione della contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Bari accoglieva i ricorsi riuniti.

Avverso la sentenza di primo grado proponeva gravame l’Agenzia delle entrate; la Commissione tributaria regionale della Puglia accoglieva l’appello sul presupposto della legittimità dell’accertamento basato su documenti acquisiti presso terzi, costituenti un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità precisione e concordanza, legittimante l’accertamento dell’ufficio, non idoneamente contrastato.

Avverso la sentenza Spettacolo s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo e il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 2727 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con entrambi i motivi deduce che la CTR aveva tratto presunzioni da altre presunzioni, mentre l’amministrazione non aveva assolto l’onere di provare i fatti posti a base della rettifica.

Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta. Esse non sono fondate.

Come correttamente rilevato dalla CTR “In tema di accertamento tributario, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, anche se rinvenuta presso terzi, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e legittima di per sé, a prescindere da ogni altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14150 del 11/07/2016).

E’ pure pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la inattendibilità della contabilità aziendale e quindi l’accertamento induttivo possono essere fondati su documentazione reperita presso terzi e su annotazioni elaborate da terzi. L’Amministrazione può inoltre fornire elementi anche indiziari da cui sia possibile dedurre con ragionevole consequenzialità che i documenti elaborati dal contribuente non siano veritieri, quali, nel caso di specie, l’esistenza di diverse operazioni regolarmente annotate tra il terzo ed il contribuente, rilevate sulla base dell’analitico raffronto tra le relative scritture contabili, ed il fatto che la documentazione extracontabile riportasse il nominativo, la data di consegna, la quantità e la descrizione dei prodotti oltre agli importi relativi alle diverse operazioni (Cass. 17133/2007; 6411/2008).

Si osservi che ai fini dell’accertamento del reddito delle persone fisiche, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 3 legittima gli Uffici ad utilizzare “i dati e le notizie di cui all’articolo precedente”; il precedente art. 37, comma 1 consente di effettuare il controllo delle dichiarazioni dei contribuenti “sulla scorta dei dati e delle notizie acquisiti ai sensi degli articoli precedenti… e delle informazioni di cui siano comunque in possesso”; l’art. 32, comma 1, n. 1 consente l’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento mediante “accessi, ispezioni e verifiche”. Ne deriva che i dati documentali acquisiti nel corso di un accesso sono utilizzabili ai fini dell’accertamento del reddito a prescindere dal fatto che essi abbiano natura contabile o extracontabile e che siano stati acquisiti presso un soggetto terzo anziché presso il contribuente destinatario dell’avviso di accertamento.

Nella specie non può, pertanto, correttamente parlarsi di violazione del divieto di doppia presunzione, la cui sussistenza nell’ordinamento è stata esclusa da questa Corte, secondo cui: “a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o “divieto di doppie presunzioni” o “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perché non è riconducibile né agli evocati artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 c.c., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea – in quanto, a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento de fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015);” (Cass., 16/06/2017, n. 15003, in motivazione, al p. 3; Cass. 20748/2019).

Nella specie l’Ufficio ha considerato fatti e documenti noti, dati relativi agli ordini di clienti della Fidia s.p.a. e alle fatture emesse, risultanti tra loro difformi. La CTR ha osservato che “le discrepanze tra gli ordini effettivamente accettati dalla società fornitrice e la documentazione fiscale, realmente emessa, rilevate dalla Guardia di finanza sono conseguenti a una minuziosa attività ispettiva, gli elementi proposti hanno una indubbia valenza probatoria salvo prova contraria non fornita”.

La CTR ha dunque fatto corretta applicazione delle presunzioni e della distribuzione dell’onere della prova.

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato.

Nulla sulle spese in assenza di attività difensiva di parte resistente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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