Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20934 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/07/2021, (ud. 15/07/2021, dep. 21/07/2021), n.20934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 35218/2019 R.G. proposto da:

C.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Domenico Ferrucci,

con domicilio eletto in Roma, Via Labicana, n. 92, presso lo studio

legale Testa/Crocetta;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare del Cassinate soc. coop. per azioni, rappresentata e

difesa dal Prof. Avv. Stefano Recchioni, con domicilio eletto presso

il suo studio in Roma, Corso Trieste, n. 37;

– controricorrente –

e contro

Unicredit S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Achille Buonafede,

con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Federico

Cesi, n. 72;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte Suprema di Cassazione, n. 10814/2019,

pubblicata il 18 aprile 2019;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 15 luglio

2021 dal Consigliere Iannello Emilio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza n. 5102/2015 del 15 settembre 2015 la Corte d’appello di Roma, quale giudice del rinvio, confermò il rigetto della domanda risarcitoria proposta da C.L. nei confronti delle banche odierne resistenti, per i danni subiti a causa della negoziazione di assegni bancari (emessi da terzi e versati su conti correnti accesi presso dette banche da società amministrate dal C.) rivelatisi successivamente nulli o sprovvisti di copertura: sulla scorta di quei versamenti le società avevano infatti ottenuto finanziamenti successivamente revocati per effetto, appunto, della scoperta nullità dei detti titoli, con grave conseguente danno per le società e, in tesi, anche in capo al C., fideiussore della società correntiste;

con la sentenza in epigrafe la S.C. ha rigettato il ricorso proposto avverso detta decisione dal C., sul triplice rilievo che: a) la sentenza impugnata aveva ravvisato nella condotta del predetto la causa esclusiva dei danni sulla base della “stessa esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo”; b) che tale ratio decidendi non era stata specificamente impugnata, avendo argomentato il ricorrente solo in relazione ad altro fondamento giustificativo evocato dal giudice di rinvio (provvedimento penale di rinvio a giudizio a dello stesso C. per i medesimi fatti); c) che siffatta conclusione valeva ad escludere la risarcibilità dei danni in quanto lamentati sia in nome e per conto delle due società fallite, sia in proprio come fideiussore delle loro obbligazioni;

pur mancando, infatti, nella sentenza del giudice del rinvio, una specifica considerazione della pretesa risarcitoria avanzata dal C. in proprio (e non solo quale legale rappresentante delle società garantite), quella motivazione – secondo la Corte di cassazione, nella sentenza qui impugnata – ne implicava comunque il rigetto, di guisa che non era configurabile né il dedotto vizio di omessa pronuncia, né l’inosservanza dei vincoli derivanti dal precedente annullamento ex art. 384 c.p.c.;

detta sentenza viene in questa sede impugnata per revocazione dal C.;

le banche intimate resistono con controricorso;

entrambe le controricorrenti hanno depositato memorie, ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

secondo il ricorrente la sentenza suindicata è frutto di errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, rilevabile – in tesi – sotto due profili:

– per avere la S.C. ritenuto che non fosse stata impugnata la ratio decidendi rappresentata dall’attribuzione allo stesso C., in base alla “stessa esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo”, di un contributo decisivo nella causazione del danno; afferma il ricorrente che tale asserto del giudice del rinvio era stato invece specificamente impugnato e contestato, essendo stato in particolare dedotto che il relativo convincimento non poggiava su alcuna prova, tale in particolare non potendo considerarsi l’esposizione dei fatti contenuti nello stesso atto di appello;

– per avere la S.C. affermato che legittimamente la corte d’appello aveva valorizzato la richiesta di rinvio a giudizio penale del C. per i fatti di causa, nonostante il successivo annullamento di tale provvedimento per indeterminatezza del capo d’imputazione, sul rilievo che in virtù del “principio dell’unità della giurisdizione”, il giudice civile può “porre anche ad esclusiva base del suo convincimento gli elementi di fatto acquisiti in sede penale, ricavandoli dalla sentenza o dagli atti di quel processo, con apprezzamento non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e logica motivazione”: l’errore di fatto deriverebbe, per tale parte della sentenza, dalla omessa considerazione che, in realtà, non era mai stata pronunciata alcuna sentenza in sede penale, né risultavano prodotti o acquisiti gli atti di quel processo;

la censura è inammissibile, sotto entrambi i profili dedotti;

rimane anzitutto inosservato l’onere di specifica indicazione dell’atto richiamato, omettendo il ricorrente di riportare il contenuto del ricorso per cassazione nella parte in cui sarebbe stata, in tesi, impugnata l’autonoma ratio decidendi che la S.C. ha invece affermato, nella sentenza revocanda, non essere stata specificamente impugnata;

ciò in palese violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che, dettato per il ricorso per cassazione, è da osservare anche per il ricorso per revocazione in forza dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 391-bis c.p.c., comma 1, a mente del quale la revocazione di sentenza o ordinanza della Corte di cassazione va chiesta “con ricorso ai sensi degli artt. 365 c.p.c. e ss.” (v., in tal senso, in motivazione, Cass. 20/06/2017, n. 15346 e, da ultimo, Cass. 21/01/2021, n. 1119, in motivazione);

tale onere non può considerarsi soddisfatto nella specie attraverso la mera indicazione della pagina del ricorso per cassazione (pag. 7) ove il ricorrente afferma essere presente il motivo di ricorso che invece la S.C. ha affermato mancare, ma doveva esplicarsi anche attraverso la trascrizione della parte di quella pagina che in tesi integrava l’impugnazione di quella ratio, tanto più in funzione dell’esigenza di dimostrare che tanto si imponeva al giudice di legittimità alla stregua di univoco e oggettivo dato semantico (donde la possibilità di predicare l’esistenza di un vero e proprio errore di fatto percettivo) e non invece quale mero possibile (o anche solo probabile) risultato interpretativo (che come tale potrebbe al più configurare non sindacabile errore di giudizio, sub specie di erronea valutazione delle risultanze processuali, impingente in particolare nella interpretazione del motivo di ricorso: v. Cass. n. 17110 del 21/07/2010; n. 25653 del 15/11/2013; n. 7194 del 13/04/2016);

che tale in realtà sia la sostanza della doglianza, che rende anche sotto questo profilo inammissibile il ricorso per revocazione, può del resto trarsi dalle argomentazioni spese;

l’istante invero si limita ad affermare che nel ricorso per cassazione egli aveva contestato il suo contributo causale, ma non dice anche di avere contestato la fonte indicata nella sentenza del giudice del rinvio a fondamento del diverso convincimento (ossia la “stessa esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo”);

in questa sede nega che alcuna ammissione o riconoscimento sul punto vi sia stato: ma questo è quanto avrebbe dovuto dire con il ricorso per cassazione e che nella sentenza revocanda si dice non essere stato fatto;

negare oggi che tale ammissione fosse contenuta nell’atto introduttivo non equivale certo a dire che una specifica, chiara e univoca contestazione sul punto fosse presente nel ricorso per cassazione;

il secondo motivo rimane assorbito ed è comunque inammissibile per aspecificità;

viene infatti travisata la motivazione sul punto esposta nella sentenza impugnata per revocazione, nella quale il riferimento alla possibilità di desumere elementi di convincimento nel giudizio civile dalla sentenza penale o da altri atti del procedimento penale è meramente incidentale nel ragionamento ed espressamente indicato come non fondante il convincimento (si dice, infatti, nella sentenza revocanda, che, “a prescindere” da quel rilievo, “dirimente è il rilievo, su cui insiste la difesa di Unicredit, che il contributo decisivo dell’odierno ricorrente alla causazione del danno dallo stesso lamentato sia stato motivato, dal giudice di appello, con riferimento alla “stessa esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo dei fratelli C.”, ovvero sulla base di una “ratio decidendi” che il ricorso non provvede ad impugnare”);

il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese processuali liquidate, per ciascuna, come da dispositivo;

va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuna, in Euro 12.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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