Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18705 del 01/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 01/07/2021), n.18705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19806-2019 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliato presso l’avvocato

Giuseppe Zampogna, con studio in Regalbuto, alla via Don G. Campione

n. 36;

– ricorrente –

contro

T.G., elettivamente domiciliato, presso lo studio

dell’avvocato Giuseppe Falduzzi, con studio in Nicosia alla via

Nazionale 81;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 200 della CORTE D’APPELLO di Caltanissetta,

depositata il 28/03/2019.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza del 19 settembre 2017, il Tribunale di Enna condannava P.E. al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal nipote, T.G., per avere impedito a questi l’accesso all’immobile del quale era comproprietario nella misura di 1/3. I fatti di causa erano stati precedentemente accertati in sede penale in due distinti procedimenti, nei quali il convenuto era risultato colpevole del delitto previsto dall’art. 392 c.p.;

avverso la decisione civile proponeva appello P.E., con atto di citazione del (OMISSIS), ribadendo l’infondatezza della pretesa risarcitoria, atteso il disinteresse della controparte rispetto alla manutenzione dell’immobile in oggetto, oltre che per la circostanza di avere messo a disposizione dell’attore la chiave dell’edificio per consentirgli di accedere “senza in questi abbia mai accettato di prenderla in consegna”;

la Corte d’Appello di Caltanissetta, con sentenza del 28 marzo 2019, in parziale riforma della decisione impugnata, riduceva la condanna al risarcimento del danno, all’importo di Euro 3500, compensando le spese di lite del grado di appello;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione P.E., affidandosi ad un motivo. Resiste con controricorso T.G.. Entrambe le parti depositano memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il ricorso si lamenta la violazione dell’art. 832 c.p.c., l’errata interpretazione degli artt. 1226 e 2059 c.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo, oltre all’errata applicazione delle spese di CTU, insistendo per le istanze istruttorie. In particolare, in primo grado era stata disposta consulenza tecnica di ufficio e i costi di tale attività erano stati posti a carico del convenuto, odierno ricorrente, sia in primo grado, che in appello. Poichè i giudici di merito avevano escluso la sussistenza del danno patrimoniale, quell’attività di accertamento era risultata inutile; sotto altro profilo l’attività abusiva che aveva determinato la condanna dell’odierno ricorrente sarebbe superata dal rilascio del permesso di costruire in sanatoria del 4 luglio 2007, depositato in appello. Conseguentemente, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto escludere ogni forma di risarcimento, anche non patrimoniale. Inoltre, il T. non si sarebbe mai occupato della manutenzione dell’immobile e per tale motivo P.E. era stato costretto ad eseguire lavori urgenti per “tamponare le frane del terreno”. Quanto alla liquidazione equitativa, la stessa avrebbe dovuto tenere conto delle precedenti abitudini di vita del danneggiato, il quale non si era mai interessato dell’immobile, con conseguente esclusione di ogni forma di patema d’animo. Tali circostanze avrebbero potuto essere meglio illustrate con le prove richieste davanti ai giudici di merito e ribadite in questa sede;

il motivo, diversamente articolato e relativo a profili giuridici e fattuali, è inammissibile. Con riferimento alle questioni relative all’onere della consulenza, la censura è inammissibile perchè dedotta in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere, allegare e dimostrare di avere sottoposto al giudice di appello la questione relativa all’iniqua attribuzione dell’onere delle spese di CTU. Tale profilo non è neppure dedotto;

quanto alla rilevanza penale dei fatti, oltre alla mancata trascrizione, allegazione e localizzazione all’interno del fascicolo di legittimità del permesso di costruire in sanatoria del 4 luglio 2007, omissione rilevante a pena di inammissibilità per quanto si è già detto con riferimento all’art. 366 c.p.c., n. 6, la questione non e rilevante, poichè la condanna si riferisce al danno morale da reato, che certamente non può essere escluso, con effetto ex post, dall’emanazione di un provvedimento amministrativo, poichè (il danno morale da reato) si fonda su due sentenze penali passate in giudicato;

quanto alle successive questioni (disinteresse del T. riguardo alla manutenzione dell’immobile, deduzione di elementi fattuali idonei a limitare la misura del danno non patrimoniale e rilevanza delle richieste istruttorie), si tratta di profili di merito, di esclusiva competenza del giudice di appello, non sindacabili in questa sede; peraltro dedotti in maniera assolutamente generica, senza individuare le argomentazioni del giudice di secondo grado che avrebbero violato le norme invocate in rubrica (artt. 832,1226 e 2059 c.c.);

e ciò a prescindere dal fatto che l’omessa considerazione di un fatto storico, richiama l’ipotesi prevista all’art. 360 c.p.c., n. 5, che non è consentita nel caso di doppia conforme, atteso il divieto contenuto nell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, in presenza di due decisioni fondate sull’accertamento dei medesimi fatti e divergenti esclusivamente riguardo alla quantificazione del danno;

il profilo di inammissibilità non si connota di evidenza tale da consentire anche la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c.;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2021

 

 

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