Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17563 del 18/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 18/06/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 18/06/2021), n.17563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27399-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

GRACCHI, 6, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO LUCARELLI, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 975/2018 della COMM. TRIB. REG. LAZIO,

depositata il 16/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

16/02/2021 dal Consigliere Dott. MARTORELLI RAFFAELE.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

M.S., notaio, ricorreva contro l’avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva richiesto il pagamento delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale, complessivamente pari a Euro 22.170,00, dovute in relazione all’atto del 25 febbraio 2015, Rep. n. 10355, Raccolta n. 7038, registrato al n. 1099, serie IT.

Con tale atto la società Gesafin Immobiliare Srl che si poneva, al tempo stesso, quale disponente e quale trustee di un trust “auto-dichiarato” (“Trust Stabilimento di San Severo”), aveva trasferito l’intera proprietà superficiaria, con diritto di superficie anche sulle aree pertinenziali, di un complesso immobiliare sito nel Comune di San Severo, in favore delle società Sagedil S.r.l. (quanto ai nove decimi) e Rhe S.p.A. (quanto al decimo residuo), verso un corrispettivo di Euro 450.000,00. L’atto in esame veniva sottoposto al regime di imposizione Iva, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972. L’Ufficio procedente, tuttavia, disconosceva l’assoggettamento a IVA, non riscontrando in capo al trust i requisiti soggettivi previsti, ai fini dell’applicazione del regime di tassazione proprio dell’Iva, dal D.P.R. n. 633 del 1972.

Veniva conseguentemente applicata, in luogo dell’Iva, l’imposta proporzionale di registro in misura pari al 9%, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa, Parte prima, allegata, art. I, calcolata sulla base imponibile di Euro 450.000,00, oltre alle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa, pari a Euro 50,00 ciascuna.

La CTP di Roma, con sentenza n. 18151/21/16, accoglieva il ricorso ed affermava che il trust era un soggetto giuridico dotato di una propria personalità e che il trustee era l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non quale “legale rappresentante” di un soggetto (inesistente), ma come soggetto che dispone del diritto. L’effetto proprio del trust, validamente costituito, non era, pertanto, quello di dar vita ad un nuovo soggetto, ma unicamente quello di istituire un patrimonio con vincolo di destinazione. Pertanto la cessione a terzi di beni immobili conferiti nel trust andava ricondotta al disponente. E dove costui fosse stato munito di partita iva, all’atto andava applicata l’imposta di registro in misura fissa. Pertanto aveva errato l’Ufficio nel riliquidare l’imposta di registro in misura proporzionale, posto che la cessione del terreno era stata effettuata da un soggetto munito di partita Iva.

La CTR di Roma, con sentenza n. 975/3/18, rigettava l’appello dell’Ufficio ritenendo che il soggetto che aveva disposto la cessione aveva partita IVA, per cui scontava l’imposta in misura fissa.

Proponeva ricorso l’Agenzia delle Entrate D.P.III Roma che deduceva:

1. Violazione/falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4, e del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, Tariffa, allegato primo, art. 1, letti in una con l’art. 73, comma 1, lett. b) e c), preso nel testo modificato dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Sul punto l’Agenzia rilevava che il principio di diritto su cui la decisione si fondava (al fine di stabilire il regime indiretto applicabile agli atti di alienazione posti in essere da un trustee), era errato. Infatti, i giudici della CTR erano incorsi in errore nella misura in cui avevano valutato, al fine di accertare la natura imprenditoriale dell’atto sottoposto a scrutinio e, quindi, la sua assoggettabilità a Iva, la natura dell’attività normalmente svolta dal trustee nella cura dei suoi interessi soggettivi e non l’attività a questo devoluta proprio in adempimento della sua funzione di trustee.

Viceversa andava affermato il principio di diritto in base al quale ciò che contava, al fine di verificare se un atto esecutivo di un trust fosse gravato o meno dal prelievo Iva, era la natura, commerciale o meno, dell’attività demandata al trustee nell’adempimento del patto fiduciario con esso concluso e non la natura dell’attività da questi svolta, al di là del trust e a prescindere da esso, per la cura dei propri affari personali.

Sempre secondo il ricorrente, una volta affermato tale principio astratto di diritto, la controversia poteva essere definita nel merito non essendo richiesto, a tal fine, alcun ulteriore accertamento di fatto. In tal senso, la natura non commerciale dell’attività devoluta al trustee che veniva qui in rilievo e, conseguentemente, del singolo atto di disposizione scrutinato, sembrava emergere pacificamente in atti, come evidenziato nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, con cui erano stati tracciati i confini del thema decidendum.

In tal senso era agevole notare come l’attività descritta non potesse rientrare tra quelle imprenditoriali indicate dall’art. 2195 c.c., oggetto di esplicito rinvio ad opera del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 1, trattandosi di una mera attività liquidatoria volta ad adempiere preesistenti obbligazioni. Nè emergeva l’altro requisito, alternativo, prefigurato dallo stesso art. 4, comma 1, per poter qualificare una data attività come imprenditoriale, vale a dire lo svolgimento di attività non rientrante tra quelle propriamente imprenditoriali, ex art. 2195 c.c., ma comunque svolte avvalendosi dell’organizzazione di impresa. L’esclusione dell’applicabilità della disciplina in materia di Iva conduceva inesorabilmente a ritenere applicabile l’alternativa imposta proporzionale di registro e, precisamente, l’imposta di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, Parte I della Tariffa allegata, art. I, nella parte in cui definiva l’aliquota riferibile agli “Atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi”.

Il motivo è infondato. Nel caso in esame, infatti, non si tratta di imposta che grava sul trust ma sul settlor (disponente), sicchè occorre avere riguardo alla qualifica di quest’ultimo. Infatti, va premesso che tra gli atti di “costituzione di vincoli di destinazione”, di cui all’art. 2, comma 47, cit. rientra anche il trust e che ciò è stato interpretato nel senso che la costituzione del vincolo di destinazione di cui al D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, conv. in L. n. 286 del 2006, non costituisce autonomo presupposto impositivo, per il quale risulta necessario un effettivo trasferimento di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale. Conseguentemente è stato ritenuto che nel caso di trust cd. autodichiarato (come nel caso in esame) non ricorre il presupposto del reale arricchimento mediante effettivo trasferimento di beni e diritti, in quanto il disponente beneficerà i suoi discendenti o se stesso, se ancora in vita, al momento della scadenza (Cass. n. 8082 del 23/04/2020; n. 16699 del 21/06/2019; n. 19167 del 17/07/2019; n. 31445 del 05/12/2018; n. 21614 del 26/10/2016).

E va ribadito come il trust non sia soggetto passivo di imposta di registro o di Iva in quanto l’unica ipotesi in cui è prevista la soggettività passiva tributaria del trust è quella di cui al TUIR, art. 73, in tema di IRES. Ne consegue che la qualifica del soggetto Iva va ricercata in colui che è soggetto all’imposta, ossia nel disponente, che, nel caso in esame, era soggetto Iva, per cui il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.200,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio da remoto, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2021

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