Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16437 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 10/06/2021), n.16437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15220-2019 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e

difeso dall’avvocato DONATO DI CAMPLI;

– ricorrente –

contro

ASP – Azienda pubblica di servizi alla persona della Provincia di

Pescara, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA

CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO

CALABRESE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1972/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata l’08/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/04/2021 dal Consigliere Relatore Don. FRANCESCO

MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Pescara, Sezione specializzata agraria, l’Azienda pubblica dei servizi alla persona della Provincia di Pescara (ASP) convenne in giudizio F.F. chiedendo che, dichiarata la morosità del convenuto in relazione al pagamento di alcune annualità di canone relative ad un fondo rustico a lui affittato, fosse pronunciata nei suoi confronti sentenza di rilascio del fondo, con condanna al pagamento dei canoni non corrisposti.

Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale per il riconoscimento del suo diritto alla riduzione del canone di affitto per gli anni dal 2010 al 2014 a causa della perdita del raccolto per calamità naturali, nonchè per l’accertamento dell’avvenuto compimento, da parte sua, di lavori straordinari, con condanna dell’ASP al pagamento delle relative somme.

Il Tribunale, dichiarata inammissibile per tardività la domanda riconvenzionale del convenuto, accertò la gravità dell’inadempimento del medesimo in relazione all’obbligazione di pagamento del canone, dichiarò la risoluzione del contratto di affitto e condannò il F. al rilascio del fondo per la data del 10 novembre 2018, nonchè al pagamento della somma di Euro 6.247,50 per canoni non corrisposti, con il carico delle spese di lite.

2. La pronuncia, impugnata dalla parte soccombente, è stata integralmente confermata dalla Corte d’appello di L’Aquila, Sezione specializzata agraria, con sentenza dell’8 novembre 2018, la quale ha condannato l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale che la domanda riconvenzionale del F. non era da considerare inammissibile, in quanto tempestivamente proposta; ma ha aggiunto che il Tribunale, pur avendo erroneamente dichiarato tale inammissibilità, aveva in realtà esaminato nel merito quella domanda ed aveva accertato, con giudizio condiviso dalla Corte d’appello, che l’affittuario non aveva dimostrato il fondamento dell’eccezione di compensazione. Da un lato, infatti, l’inadempimento rispetto all’obbligo di pagamento del canone si era protratto per gli anni 2012, 2013 e 2014, per cui doveva essere considerato grave; da un altro lato, il canone di affitto non poteva essere ridotto se non a seguito di un provvedimento della Commissione tecnica provinciale, alla quale, però, il F. si era rivolto solo nel 2015, cioè in un momento successivo rispetto alla richiesta di pagamento dei canoni arretrati da parte del locatore.

Quanto, poi, agli ulteriori esborsi urgenti che il F. sosteneva di aver dovuto fronteggiare per la coltivazione del fondo, la Corte d’appello ha rilevato che essi non erano stati comunicati in anticipo al proprietario, nè la prova testimoniale espletata poteva ritenersi sufficiente al riguardo.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila ricorre F.F. con atto affidato a tre motivi.

Resiste l’Azienda pubblica dei servizi alla persona della Provincia di Pescara con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 1635 c.c. e della L. 12 giugno 1962, n. 567, art. 12.

Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciare sulla domanda, proposta in via riconvenzionale in primo grado e riproposta in appello, di riduzione del canone di affitto, ai sensi dell’art. 1635 cit. e della L. n. 567 del 1962, art. 12 in conseguenza delle perdite del raccolto dovute a calamità naturali. Su tale aspetto la Corte di merito si sarebbe pronunciata solo in relazione all’inadempimento dell’obbligo di pagamento del canone, mentre dagli atti e dalle testimonianze risultava l’effettiva esistenza di tali perdite. Errata sarebbe, poi, l’affermazione della Corte di merito secondo cui la riduzione del canone non poteva operare se non a seguito di una pronuncia della Commissione tecnica provinciale; a parere del ricorrente, invece, il diritto alla riduzione potrebbe essere esercitato anche in via giurisdizionale, a prescindere dall’iter amministrativo.

1.1. Il motivo non è fondato.

Osserva il Collegio, innanzitutto, che la lamentata omissione non sussiste, perchè la Corte d’appello – confermando la decisione del Tribunale, che si era pronunciato sul merito della domanda riconvenzionale, pur avendola erroneamente giudicata tardiva – ha affermato che il diritto alla riduzione non sussisteva, perchè il conduttore non poteva autoridursi il canone fino a quando non si fosse pronunciata sul punto la Commissione tecnica provinciale, ai sensi della L. n. 567 del 1962.

Ciò premesso, si rileva che la sentenza impugnata ha anche aggiunto che la richiesta a detta Commissione era stata avanzata solo nel 2015, cioè ben dopo che l’inadempimento si era palesato. Ne consegue che il ricorrente ha indirettamente dimostrato di essere consapevole della necessità di una previa richiesta in tal senso. Il che, a ben vedere, si coniuga col testo dell’art. 1635 cit., dal quale risulta che l’affittuario “può domandare una riduzione del fitto” in caso di perimento di almeno la metà dei frutti per caso fortuito; ciò che di per sè esclude la possibilità dell’autoriduzione.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. in relazione all’art. 1635 c.c. ed alla L. n. 567 del 1962, art. 12.

Il ricorrente osserva che la mancata risposta, da parte della locatrice, alla richiesta di riduzione del canone costituirebbe una forma di inadempimento che, di per sè, giustifica il mancato pagamento dei canoni; la Corte di merito avrebbe erroneamente omesso di fare applicazione dell’art. 1635 c.c., secondo cui il giudice può dispensare provvisoriamente l’affittuario dal pagamento di una parte del fitto in proporzione alla perdita subita.

2.1. Il motivo, quando non inammissibile, è comunque privo di fondamento.

La sentenza impugnata ha valutato la gravità dell’inadempimento alla luce della sua reiterazione negli anni, e su questo accertamento di merito non è ammissibile il sindacato di legittimità. Quanto alla presunta mancata risposta alla richiesta di riduzione, la Corte osserva che nessuna disposizione di legge consente di collegare a tale omissione la natura di un inadempimento; tutto ciò senza trascurare il fatto che la censura appare comunque tesa al riesame del merito.

3. Col terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 1577 e 1621 c.c.. Secondo il ricorrente, il diritto dell’affittuario al rimborso delle riparazioni non può essere subordinato alla preventiva comunicazione al locatore. Le prove documentali e testimoniali avrebbero, ad avviso del ricorrente, dimostrato che le opere ed i miglioramenti erano stati eseguiti e di tali prove la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto, concentrandosi solo sul punto della mancata comunicazione al locatore.

3.1. Il motivo non è fondato.

Questa Corte ha già enunciato il principio secondo cui in tema di affitto a coltivatore diretto, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1621 e 1577 c.c. (dettato con specifico riguardo al contratto di locazione, ma senz’altro applicabile anche a quello di affitto, di fondi rustici in particolare), in pendenza del rapporto il locatore è tenuto ad eseguire a sue spese le riparazioni straordinarie, mentre il conduttore è tenuto a dare avviso al locatore se la cosa necessita di riparazioni a carico di quest’ultimo, potendo eseguire direttamente le riparazioni urgenti, salvo il rimborso, purchè ne dia contemporaneamente avviso al locatore (sentenza 26 maggio 2005, n. 11194).

A tale orientamento l’odierna pronuncia intende dare continuità. Ne consegue che il ricorrente non può limitarsi a sostenere di aver compiuto alcune riparazioni e di averne documentato la relativa spesa, dovendo invece dimostrare da un lato l’urgenza delle riparazioni e dall’altro l’avvenuta comunicazione al locatore. E poichè nel caso specifico la Corte di merito ha escluso che vi fosse prova sia dell’urgenza che della comunicazione – aggiungendo, anzi, che le spese risultavano documentate in riferimento ad un periodo successivo rispetto a quello in cui era maturato il credito del locatore – correttamente i giudici di merito hanno rigettato la relativa domanda.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, trattandosi di causa esente per legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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